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Un pieno di silenzi, un vuoto di giustizia |
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Claudio
Alemanno
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Un tempo in Italia
le sentenze venivano pronunciate in nome del Re, adesso sono pronunciate
in nome del Popolo. Nel mezzo è intervenuta una Carta costituzionale
repubblicana, ma l'articolazione del potere giudiziario, i riti processuali
e la disciplina dei soggetti che vi concorrono restano sostanzialmente
invariati. E' cambiata l'ideologia di servizio (l'imparzialità
non appartiene alla giustizia terrena) ma il prodotto resta aristocratico,
non impopolare ma guardato con timoroso e deferente distacco dalla
coscienza civile.
Già Cicerone aveva tuonato più volte contro il "subtilis veterum iudex", l'acuto giudice di cose antiche. Il monito di Cicerone trova nell'Italia odierna motivi nuovi di drammatica attualità. Raramente è accaduto di notare che di fronte a fenomeni imponenti di trasformazione economica e sociale si sia deciso con malcelata caparbietà di mantenere inalterato un modello giudiziario da tutti ritenuto vecchio e inidoneo al punto da dover derogare dall'ordinario quando criminalità, terrorismo e malaffare politico hanno elevato il livello dello scontro con la legalità ufficiale imponendo allo Stato il ricorso ad una legislazione di emergenza. Ora siamo nell'Europa della moneta unica con una vertenza Giustizia aperta su tutti i fronti: riti processuali, diritto sostanziale, ordinamento giudiziario, professione forense. Storicamente le riforme della Giustizia sono state sempre iscritte nell'agenda di lavoro dei governi, ma non hanno mai avuto dignità di seria considerazione fino a quando il declino dell'Esecutivo bilanciato dal ruolo di supplenza svolto dalla Magistratura non ha elevato il livello dello scontro tra poteri e gerarchie. E' la storia amara dei giorni nostri, da cui dovrebbero prendere le mosse impegnative ipotesi di riforma globale (va rilevata l'assenza dal dibattito dei giuristi più accreditati; la generazione di Ascarelli, Visentini, Mignoli, Berliri, De Gennaro ha sempre assunto responsabilità fuori dal Tempio). Ogni riflessione sulla Giustizia deve mettere a fuoco i mutamenti importanti intervenuti nella vita nazionale dal 1948 in avanti coinvolgendo nel dibattito forze culturali e corpi intermedi che Tocqueville considerava l'humus sociale, la forza trainante delle Società liberali. Un impegno doveroso di responsabilità istituzionale che non può essere assolto col fervore delle false partenze che di solito accompagna i casi eclatanti di "sofferenza" giudiziaria. La questione Giustizia è da tempo nei riflettori dei media ma vengono privilegiati solo quegli aspetti del settore penale che manifestano in modo epidermico un quoziente elevato di "notizia politica" (noto esercizio del giornalismo-sogliola appiattito sugli interessi di scuderia). La complessità del fenomeno richiede invece valutazioni sull'attività complessiva dell'impresa-ordinamento giudiziario i cui segnali di disagio sono più ampi e profondi, tali da generare pesanti implicazioni negative nella gestione dell'economia e nel costume civile. E' anomalo ad esempio che i tempi lunghi delle cause civili inducano alla facile litigiosità coloro che sanno di avere torto. Sanno cioè che facendo affidamento sulle lungaggini giudiziarie possono trarre cospicui benefici in sede di risarcimento dalla forbice tasso legale-tassi di mercato (fortunatamente negli ultimi tempi il divario è contenuto). E' anche anomalo che la grande impresa faccia ricorso sempre più frequente alla giustizia arbitrale aggirando il labirinto della giustizia ordinaria. Queste e altre obiettive condizioni di disagio alterano lo sviluppo ordinato della vita civile e puntano l'indice accusatore sulla struttura del processo (la lentezza dei processi civili è stata anche condannata dalla Corte europea di Strasburgo). Il capitolo penale è ricco di problematiche altrettanto suggestive per le implicazioni dirette nell'esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali della persona. Anche in questo caso il malessere più grave risiede nelle contraddizioni interne allo schema processuale e all'organizzazione dei servizi che gli danno impulso. E' anomalo ad esempio che la magistratura abbia ampliato il suo raggio d'azione indirizzando le indagini sui sistemi criminali più che su delitti e responsabilità individuali. Svolge compiti di altre istituzioni ed è difficile stabilire se ciò è accaduto per inerzia di alcuni o invasione di campo di altri (a molti stranieri appare uno spreco tutto italiano avere tre corpi con funzioni di polizia). Il premio Nobel Douglas North ha dimostrato che l'efficienza della giustizia (civile e penale) è una delle variabili determinanti dello sviluppo. Molte buone leggi per difetto di tutela finiscono per disorientare ed esasperare i cittadini, compromettere le politiche industriali, rallentare l'afflusso di capitali esteri e stimolare il deflusso di capitali nazionali verso Paesi in cui sintesi e chiarezza legislativa e certezza giuridica sono più rassicuranti. Esistono diversi indicatori che denunciano lo stato allarmante della giustizia in Italia (un ulteriore contributo potrebbe venire da un dato comparato sui risarcimenti pagati per errori giudiziari; in Italia sono 5.000 a carico del Tesoro). Citiamo l'indice di produttività per gli uffici giudiziari elaborato dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica e l'indice comparato del grado di applicazione della legge civile presentato in un convegno sulla riforma delle società commerciali. La loro lettura denuncia una forte sperequazione nel carico di lavoro degli uffici per aree geografiche e un livello di applicazione della legge civile ridotto rispetto a Francia, Gran Bretagna, USA inferiore alla media europea. Assicurare una buona qualità al servizio-giustizia implica il concorso paritario di due punti di vista: del cittadino che dev'essere tutelato, dello Stato che ha responsabilità nella gestione e organizzazione del servizio. Certo non è facile operare in un cantiere di lavoro in cui si rincorrono animosità interessate e ideologie contrapposte. Ed è ancora meno facile far sentire la voce del cittadino quando la riforma incide su poteri, ruoli e competenze acquisiti. Come sempre accade nei tentativi di riforma strutturale è l'elemento soggettivo che alimenta maggiori tensioni. Tuttavia se con passaggi graduali si sgombra il campo da sovrastrutture ideologiche, tattiche e strategie di supremazia guelfa o ghibellina si può dare impulso a serie ipotesi progettuali cercando con il suggerimento dell'insigne giurista Cesare Vivante "la conoscenza dei fatti fuori dalla logica, per poi costruire saldamente a rigore di logica". Incominciando dalla formazione professionale, le cui problematiche sono oggetto d'interesse anche in sede europea.
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