Per "Addome
Acuto Medico" (AAM), o "non chirurgico", è da
intendersi l'evento doloroso acuto o acutissimo, ad insorgente intensità
e diagnosi variabili, interessante uno o più quadranti dell'ambito
addominale, riportabile a patologie diverse (intrinseche, estrinseche
o sistemiche) che non richiedono interventi cruenti.
In talune circostanze, però, le difficoltà diagnostiche
e la perentorietà della cura possono vedere solidamente impegnati
medico e chirurgo.
L'essermi trovato ad affrontare con la massima tempestività
problemi del genere giustifica, almeno così penso, la stesura
di questo brevissimo articolo ai "giovani colleghi" indirizzato.
Mi si potrebbe obiettare che sono un medico di "altri tempi".
La storia, anche la più recente, ci insegna però che
non dai mezzi tecnologici e dall'apporto del laboratorio, senz'altro
preziosi, ma dalla preparazione tecnico-professionale, dall'attenta
osservazione del malato, dalla anamnesi accurata, dall'intuito clinico
e dalla esperienza soprattutto (figlia spesso di precedenti errori)
talune diagnosi sono possibili. Nella Tabella 1 sono riportate le
affezioni mediche che ad un AAM possono indurre.
Se di esse alcune non appaiono di grande difficoltà interpretativa,
altre sono di tale eccezionalità e complessità che solo
in ambienti altamente qualificati la diagnosi potrà essere
formulata.
Nella stessa tabella esse vengono in dieci gruppi suddivise.
Per maggiore comprensione o meno disagevole discriminazione vengono,
invece, nella Tabella 2 specificate tutte le affezioni sia mediche
che chirurgiche, potenzialmente responsabili di un "addome acuto",
e, nella Tabella 3, i quadranti anatomici parzialmente o totalmente
dalla obiettività clinica interessati.
Un chiarimento m'è d'obbligo: non essendo alcuni termini eponimici
talvolta facilmente decifrabili, preciso che:
a) La sindrome da larva migrans viscerale èuna parassitosi
intestinale (miasi).
b) La sindrome di Zieve può essere sintomatica di una anemia
emolitica, con ittero ed iperlipemia, in etilisti.
c) La sindrome di Fitz-Hugh Curtis ècaratterizzata da pancreatite
acuta, con dolore epigastrico, vomito e collasso.
d) La sindrome di Ogilvie è espressione di una occlusione o
sub-occlusione intestinale, per distonia funzionale della innervazione
simpatica.
E' ovvio che "conditio sine qua non" per la identificazione
diagnostica delle affezioni, nei dieci gruppi inserite, è la
loro conoscenza, la attenta anamnesi e la acuta osservazione, con
l'ausilio del laboratorio e degli esami strumentali, che dovranno
supportare e non surrogare la clinica!
Del primo gruppo, anche se rare, la priorità spetta alle crisi
dolorose della porfiria acuta e all'acidosi diabetica.
Se delle malattie, nel secondo-terzo-decimo gruppo indicate, rarissimamente
il medico verrà interessato, non infrequentemente egli sarà
chiamato a sospettare o accertare quelle nei restanti gruppi inserite.
Del quarto saranno le trombosi artero-venose dei vasi intestinali.
Del quinto-sesto e settimo: la mialgia epidemica (malattia di Bornholm),
le radicolo-nevralgie da zoster, le crisi del plesso solare, la colica
saturnina.

Ma saranno quelle
dell'ottavo-nono gruppo a maggiormente impegnare il medico per la
proteiformità del reperto obiettivo, della localizzazione anatomica,
delle modalità e della gravità dell'evento: pancreatite
acuta, peritonite acuta pluri-eziologica, adenomesenterite acuta,
emoperitoneo non chirurgico, esofago-gastro-enteriti acute, pleuro-polmoniti
basali (specie nei bambini), pericardite acuta e l'infarto miocardico
cosiddetto "anomalo" o "atipico". Come emerge
dall'analisi, pur estrapolando le affezioni, solo in ambienti specialistici
diagnosticabili, il loro numero rimane ugualmente elevato e complesso.

Compito primario del medico è quello di escludere "in
primis" un "addome acuto chirurgico", non richiedendo
quasi mai l'AAM la stessa perentorietà terapeutica. Nella difficoltà
diagnostico-curativa egli farà bene di avvalersi di una consultazione
chirurgica o interdisciplinare. Ribadendo la non futilità dei
motivi che il breve articolo mi hanno suggerito faccio mia, anche
perché i "giovani medici" la recepiscano, la raccomandazione
del prof. Larizza: " ... I dati di laboratorio debbono essere
complementari e ricercati, non indiscriminatamente, ma in maniera
mirata; debbono essere inseriti nel contesto della fenomenologia clinica...",
ed aggiunge: ''Lungi da noi il pensiero di ripudiare l'apporto innegabile
e spesso determinante che le moderne affinate, e spesso sofisticate
tecniche di indagine possono fornire ai fini della completa caratterizzazione
di un processo morboso; quello che vorremmo sottolineare è
che il laboratorio non può e non deve sostituirsi al medico,
giacché ove questo dovesse verificarsi - e siamo sulla strada
- sarebbe la sterilizzazione e la fine della Clinica".