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Il mito marxista negli scrittori del Novecento
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I racconti di Romano Bilenchi tra memoria e impegno |
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Albarosa Macrì Tronci
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L'opera
di Bilenchi (1), pur stringata e concentratissima, si estende per circa
un cinquantennio dalle prime prove apparse nel '31-'32, fino all'esito
più alto e raffinato del Gelo nell'81; opera disseminata su stampa
di periodici e varia editoria di racconti brevi, cronache-racconto,
elzeviri, interviste fino alla morte occorsa nel novembre '89. Un cinquantennio
peraltro densissimo nella vita letteraria del Novecento, soprattutto
nella narrativa. Questa si è sincronizzata, ricevendone stimolo
e occasioni, con un periodo storico complesso e drammatico attraverso
il fascismo, la guerra, la Resistenza, la nascita e le speranze della
democrazia, la guerra fredda, il post e neo-comunismo fino alla crisi
delle ideologie e delle stesse istituzioni democratiche. Sì che
il panorama culturale-letterario si presenta intricato di esperienze
artistiche molteplici e contraddittorie tra salti, ritorni, silenzi,
innovazioni, pause, cedimenti, in continuo contrasto tra assoluto e
storia, autonomismo artistico e impegno politico-sociale.
In questo senso l'attività narrativa di Romano Bilenchi possiede un alto valore esemplare e testimoniale in seno alla sua generazione, protagonista e interprete della vita letteraria tra le due guerre, maestro e compagno delle successive sul fondamento di fede nella sostanza etica e umana della letteratura, secondo la formula di Carlo Bo, Letteratura come vita (2), significato e riscatto personali e corali affidati alla parola viva della poesia. L'opera letteraria, quando è sincera, risolve in termini di stile le ragioni della coscienza, il dramma dell'esistenza, così l'itinerario artistico di Bilenchi si qualifica per ogni fase della storia accennata, in cui la sua persona ha risentito e espresso destino e quesiti della sua società, identificando in essi le ragioni della letteratura. Si forma ancora adolescente nella provincia toscana di Colle Val D'Elsa, sua terra di nascita, nell'ambiente strapaesano del "Selvaggio" di Mino Maccari; da lui apprende una fede istintiva e un po' gratuita nelle promesse rivoluzionarie e integraliste del fascismo, fideisticamente interpretato quale sinistra socialista e baluardo contro capitalismo e borghesia. Si impegna in un'attività giornalistica ribelle e anticonformista sulla stampa di regime e fogli di federazione, come molti altri giovani; primi compagni Vittorini e Pratolini. Tra il '30 e il '35 Bilenchi collabora a tre periodici allineati: "Il Selvaggio", "Il Bargello", ''L'Universale'', oltre ad alcuni interventi occasionali in "Critica fascista" (3). Vero è che i giovani poco più che ventenni (4) giunsero impreparati di fronte alla storia, da cui lo smarrimento di una gran parte. Tra la débâcle del liberalismo giolittiano e il pericolo del bolscevismo sovietico, nella generale resa (finanche di Croce e dei liberali), con sincero fervore di fede politica scelsero o credettero di scegliere, la "via italiana al socialismo", fuorviati anche dalla falsa continuità di Mussolini da socialista a fascista. E' noto lo straordinario potere di seduzione che esercitò la figura del duce, imponente e tirannica nell'immaginario collettivo della generazione, cui si unì, almeno agli inizi, una generosa politica culturale attuata in collaborazione con Bottai (5). In questo spirito celebrativo e sinceramente esaltato, dello stesso anno '32, è il romanzo di un altro giovane che avrebbe sperimentato il dramma della "svolta", Vitaliano Brancati. Dove perfino il titolo, L'amico del vincitore, esprime l'esaltata infatuazione per il duce e l'"abbandono fanatico allo spirito del movimento fascista" (6). Anche Bilenchi in certi interventi sul "Popolo d'Italia" nel '34 si appella con fiducia entusiastica al "Capo" (7) per poi restarne violentemente deluso e disgustato nell'incontro raccontato di palazzo Venezia (8). Il 1936 segna il risveglio e la svolta con l'intervento militare in Spagna (9), che smaschera il vero volto del fascismo reazionario e imperialista, e accelera la chiarificazione ideologica: "fronda" nel movimento giovanile di sinistra, uscita dal partito fascista, adesione al PCI, lotta clandestina nelle formazioni partigiane, attività giornalistica sulla stampa clandestina e su riviste di sinistra dopo la liberazione. Durante la resistenza Bilenchi opera su numerosi fogli clandestini, di cui si son perse le tracce. Dopo la liberazione è caporedattore della "Nazione del popolo", Organo del Comitato toscano di Liberazione (C.T.L.N.), dove intervengono scrittori come Loria, Montale, Luporini. Qui e negli altri fogli affini ("Corriere alleato", "Corriere di Firenze", "Corriere del Mattino") si sperimenta un nuovo modo di fare giornalismo, libero e combattivo, aperto alle varie forze della sinistra, senza alcuna intransigenza dell'ortodossia, in collegamento dialettico con tutte le voci democratiche marxiste e non marxiste. Da quella fervida attività (valse la lezione illustre del partito d'azione (10) ) nascevano le esperienze giornalistiche del dopoguerra. Dopo la "Nazione del popolo" Bilenchi nel '46 fonda e dirige "Società" (11), nel '54 anche "Il Contemporaneo"; dal '48 al '56 è direttore del "Nuovo Corriere", dove si consuma l'esperienza più originale e appassionata del Nostro, che si sforza di conciliare un profondo e rigoroso impegno umanoculturale e la fede nel partito (12). Va tenuto presente che, almeno nella tensione agonico-mentale di proiezione fuori-da-sé, l'intensa attività giornalistica non è difforme da quella letteraria, anzi si coniuga con essa, essendo coerente il laboratorio del giornalista-scrittore alle sole ragioni del proprio e altrui umanesimo. Impegno letterario e giornalistico si bilanciano nella mens bilenchiana. Nel quinquennio prebellico ('35-'40) di sofferta maturazione politica, lo spazio "vuoto" della prassi viene riempito da un'intensa attività letteraria (seconda e terza fase dopo la prima stagione strapaesana a ragione rifiutata dallo scrittore), anche mediante la collaborazione a riviste quali "Frontespizio", "Solaria", "Circoli", "Campo di Marte", dove pubblica i suoi racconti. Nel dopoguerra la riconquista del credo marxista e l'identificazione nel Partito, sentito come libera convergenza di intendimenti etici prima che politici, aprono una frenetica attività redazionale, parallela al silenzio letterario, che culmina nella redazione del %uovo Corriere. Ma nel '56 l'aggressivo imperialismo dello stalinismo sovietico fuga ogni utopia e speranza. Con un intervento preoccupato sui tragici fatti di Poznan Bilenchi "firma" la brusca chiusura del "Nuovo Corriere", fattosi intollerante il partito verso ogni posizione autonoma e eterodossa (13). Il Nostro profondamente deluso si asterrà da ogni diretta militanza politica e giornalistica, restando soltanto nella redazione della terza pagina della "Nazione". Testimonianza fedele e appassionata della propria formazione politico-letteraria ha lasciato Bilenchi in quel prezioso volume di memorie, sul discrimine tra arte e vita, che è Amici (14), dove la dimensione diacronica biografico-mentale di approdo al Vero presiede all'intera opera, sia nello sviluppo interno di ogni racconto e ritratto (almeno dei più ampi e significativi), sia nella successione articolata della raccolta, dal primo scritto Torino 1931 (su Maccari e gli anni del "Selvaggio") all'ultimo Un Comunista (su Fabiani e il fervido clima del '48). In particolare enorme importanza assume il racconto Vittorini a Firenze, ivi l'amico Vittorini (insieme a Pratolini insistentemente ricordato) rappresenta il protagonista-confidente (significativa la presenza del carteggio) del comune itinerario umano sperimentato sul doppio versante politico e letterario. Le tappe della formazione si compongono dalla citazione dell'intero testo: Ci confidavamo le impressioni riportate dalle nostre letture, le nostre preoccupazioni, le nostre delusioni: invano ambedue avevamo sperato che il fascismo avrebbe potuto essere una rivoluzione antiborghese, una nuova forma di socialismo. Il 1933 scavò nelle nostre coscienze e fece nascere dubbi più forti e timori ... Poi andavamo alle Giubbe Rosse ... Elio conobbe Vasco Pratolini... un'affettuosa amicizia che durò fino alla morte di Elio... Scoppiò la guerra di Spagna; e noi trepidammo per i "rossi" e soffrimmo il soffribile... Vittorini mise me al corrente del suo piano e mi invitò a seguirlo in Spagna... Proprio in quel tempo Elio, Vasco e io, ormai inseparabili cominciammo a leggere Le Lotte di classe in Francia e altri scritti di Marx... Infine Vittorini si dimise dal partito fascista... Lui, Vasco ed io chiusi per ore e ore in una stanza, elaboravamo progetti di propaganda rivoluzionaria... Elio fu arrestato e poi liberato... partecipavo alla resistenza, finalmente nelle file del partito comunista... Parlammo a lungo del "Politecnico"... A me era stata tolta di mano "Società" proprio per il mio spirito d'indipendenza... Il complesso delle
speranze politiche credute e deluse prima in seno al fascismo, poi,
ben più sanguinosamente, nel comunismo importa e determina
la lettura critica di tutta l'opera bilenchiana; non solo nella sezione
resistenziale, peraltro vasta e articolata in numerosi racconti e
in un romanzo (15), ma anche negli scritti di taglio etico-intimista,
dove lo spessore ideologico diventa sete di verità, senso tragico
di una condizione che lacerato il velo ambiguo della menzogna, vive
oltre il dramma. Il motivo più profondo dell'arte di Rosai, quella ribellione contro la società e il mondo, quella particolare forma di amore-odio per l'uomo, conteneva una critica profonda dell'individuo... Una ribellione che finiva per trovarsi diretta non tanto contro un preciso tipo di organizzazione sociale, quella borghese, ma contro il mondo stesso nella sua totalità. Non fermandosi a un determinato momento della storia diventava rivolta assoluta (16). E' un passaggio chiave, quasi una teorizzazione in proprio risentita sull'arte del maestro-amico Rosai, testimone straordinario di forte, esclusivo impegnò etico-politico sofferto fino allo spasimo esistenziale nelle componenti della propria arte. La rivolta storica si fa esistenziale e metafisica: Rosai era allora un uomo giovane, taciturno, che interveniva raramente nel discorso che gli si svolgeva intorno se questo non riguardava la pittura oppure se non c'era da difendere qualcuno che avesse patita un'ingiustizia (17). Pare di leggere
il ritratto dello stesso Bilenchi giovane, che si è identificato
nel pittore più anziano dalle lontane esperienze strapaesane,
attraverso i fraintendimenti del fascismo di sinistra, fino all'utopia
marxista di fraterna giustizia. Su questo terreno d'incontro di una
esistenza umana-artistica esemplare si determina il modello rosaiano
nella componente plastico-coloristica della pagina di Bilenchi, nel
gusto delle "nature morte" (18) e nel respiro rinascimentale
della campagna toscana, silenziosa e assorta, deserta e animata, classica
e interiorizzata, come le tele degli artisti toscani ricordati in
Amici (19). Importa rilevare che in Rosai Bilenchi identifica la generazione,
che vive in sé, come in ogni altro amico pittore, scultore,
poeta, narratore, critico nel confronto di esperienze comuni consumate
nel segno dell'amicizia, garanzia di intendimenti unitari nella libertà
degli esiti individuali. Firenze è cuna nativa di nutrimento
artistico-umano assorbito ed espresso dalla composta e razionale geografia
rinascimentale per gli scrittori fiorentini (Luzi, Parronchi, Pratolini)
e per i toscani-fiorentinizzati (Bilenchi, Bigongiari), spazio di
verifica e di rinascita nella nuova famiglia letteraria per coloro
che vi si stabiliscono (Gatto, Landolfi, Macrì, Sereni, Montale,
Bo, Vittorini) o si fermano di passaggio nei pomeriggi alle Giubbe
Rosse o al Paskovkij. E' l'incanto di ogni grande sodalizio che si
rinnova raramente nella storia dello spirito umano: Circolo dei Poeti
Novi, Sturm und Drang, gruppo simbolista, Ermetismo (20). Sentivo profondamente l'errore e la minaccia contenuti nelle ideologie che pretendevano di dare da sole una spiegazione del mondo (28). Non un testo ideologico ricorre nella formazione dei giovani militanti protagonisti dei racconti resistenziali di Bilenchi, appena un Labriola nascosta: Il primo libro che Marco scrisse era pieno di reminiscenze storiche e denunciava una scarsa conoscenza dei testi marxisti: un pomeriggio Marco e Giulia ... ripetendosi ogni tanto quello che avevano imparato, un libro di Labriola, accuratamente foderato perché non se ne potesse scorgere la copertina (29). L'Utopia coincide
con la tensione libertaria e solidaristica di ogni rivoluzione, maturata
nelle ideologie socialiste europee, che in quegli anni trova in Gramsci
l'interprete più puro e originale, guida e orientamento per
i giovani fino a oggi. Non a caso egli rappresenta la sintesi del
letterato-politico, come esprime lo stesso titolo Letteratura e vita
nazionale (30). Ciò che però distingue Gramsci e la
sua filosofia della prassi è la fede populista integrale e
sincera intorno all'idea nazional-popolare della letteratura, su cui
interverranno esasperandola e spesso fraintendendola i gramsciani,
che alimentarono negli anni '50 un intenso e acceso dibattito culminato
nel famoso saggio di Asor Rosa Scrittori e popolo (31). I nostri scrittori
strenuamente tesi a difendere l'autonomia dell'artista rispetto al
politico e dell'arte rispetto alla prassi (32), rimasero fedeli alle
radici della tradizione letteraria italiana e europea quale si è
svolta dalle origini duecentesche a oggi, nella specificità
della categoria letteraria, nutrita di storia, ma libera da ogni fraintendimento
sociologico di arte popolare o borghese, progressista o conservatrice,
o altri equivoci del genere; si incontrava con l'estetica di Vico,
Hegel, Foscolo, De Sanctis, che d'altra parte hanno filtrato in Italia
la ricezione delle teorie marxiste eterodosse di Lukàcs, Benjamin,
Bachtin, dello stesso Gramsci. Giovò ai giovani nella difesa
dell'autonomia dell'arte l'appartenenza all'alveo geografico della
letteratura toscana che si connota per la profonda fusione di limpida
classicità e vigore di impegno civile, secondo la linea dei
grandi scrittori-politici Compagni, Dante, Machiavelli, Guicciardini
amati dal Nostro (33). Perfino gli eccentrici esperimenti di una cultura
"rivoluzionaria" svolti da Vittorini (già fiorentinizzato)
nell'ambito dei "Gettoni" e di "Menabò"
rimasero esterni alla sostanza ritmico-analogica dell'arte vittoriniana,
che si sviluppo dal nucleo lirico prebellico; anzi entrarono in conflitto
con essa determinandone l'improvvisa agonia e il silenzio definitivo. La questione religiosa? No. La religione in sè stessa non è un fatto regressivo, e mai il partito comunista avrebbe iniziato, su quel terreno, una lotta che sarebbe stata, in Italia, senza senso e che ci avrebbe precipitato indietro nei secoli. Lo scontro era destinato a aprirsi su un altro fronte, quello della prassi politica staliniana che svuota l'Utopia della sua essenza ideale, capovolgendo lo slancio sincero di autoredenzione popolare in controrivoluzione di tipo imperialista e autoritario: Stalin costituiva la controrivoluzione; impadronitosi del potere lo aveva distrutto fisicamente, dai membri operai ai dirigenti più colti e più efficienti che si richiamavano ai vecchi ideali, e lo aveva sostituito con una polizia politica spietata, padrona di tutto, certamente armata più dello stesso esercito. L'internazionalismo era stato affossato e su tutti gli altri popoli e gli altri partiti prevalevano soltanto gli interessi dell'URSS (36). I segnali della delusione giungono precoci e inequivocabili: nel '46 lo scontro di Vittorini con Togliatti e la fine del "Politecnico" (37) poi nel '51 l'abbandono del partito; nel '56 la soppressione del "Nuovo Corriere" e l'uscita di Bilenchi dal partito dopo l'aggressione d'Ungheria... E' un "colpo pesante" per i giovani scrittori che hanno sperato, creduto, pagato di persona: Dinanzi ai giudizi che esprimeva Fabiani, dapprima recalcitrai irritato, poi ricevetti un colpo pesante e sentii dentro di me stracciarsi le passioni, le mie convinzioni... Non mi sembri un giovane che si possa impressionare se crollano dei miti e io preferisco la sincerità alle bugie e alla propaganda (38). Essi insomma percepiscono con notevole anticipo sui fatti storici il fallimento del Mito scontando terribilmente lo shock ideologico nelle occorrenze biografico-letterarie. Il caso estremo è il suicidio di Pavese che già nel '50 interpreta e comunica il senso dello scacco generazionale. Altri fortunatamente consumano quella stessa morte nella sola dimensione letteraria, com'è il caso di Bilenchi e di Vittorini. Significativo nell'asse di identificazione generazionale il racconto I silenzi di Rosai, che dà anche nome all'elegante raccolta (39) di quel '71 - anno del rientro nel partito - da cui si svolse per dilatazione il libro Amici. Dopo la delusione storica la tensione rivoluzionaria riattinge vigore alle origini profonde della "Rivolta" assoluta e categoriale, nel magma metafisico-esistenziale puro vivificato nella linea della stagione prebellica, in cui s'iscrive la narrativa bilenchiana.
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