Milano, città
leader dell'economia italiana, si conferma al primo posto nella classifica
degli anni Novanta delle provincie per il reddito prodotto per abitante
(circa 29 milioni di lire), seguita da Trieste (un milione in meno
rispetto al capoluogo lombardo). Roma fa un gran balzo in avanti:
dal 1980 al 1990 registra un alto saggio di crescita e passa dal 57°
al 26° posto guadagnando ben trentuno posizioni.
Questi sono alcuni dei risultati principali dello studio dell'Istituto
Tagliacarne sul reddito prodotto in Italia all'inizio degli anni Novanta
nelle 95 provincie. Per la prima volta si è stimato anche il
valore aggiunto dei servizi' prestati alle imprese, (consulenza, assistenza,
marketing, pubblicità, ecc.), da cui risulta che il peso di
questo settore è in forte sviluppo: nel periodo 1985-90 il
tasso medio annuo di crescita del Prodotto interno lordo complessivo
èstato, in termini monetari, del 9,6 per cento, quello dei
servizi alla produzione è stato invece del 13,3 per cento.
Questa espansione però ha interessato un'area abbastanza ristretta
del Paese, essendo concentrata in gran parte (40 per cento) nelle
province di Milano, Roma e Torino, con la prima che da sola si è
aggiudicata il 20 per cento.
Il primato milanese non è l'unico fiore all'occhiello della
Lombardia. Nelle prime dieci posizioni "eccellenti" ci sono
altre cinque provincie lombarde: Mantova, Cremona, Varese, Bergamo
e Brescia, che fanno salire la regione ai vertici dell'intera penisola,
strappando definitivamente il primato della ricchezza all'Emilia-Romagna
che lo deteneva con Modena, Reggio Emilia, Bologna e Parma nel 1980.
Fanalino di coda nella classifica generale è ancora una volta
Agrigento. La città siciliana ha un reddito prodotto per abitante
di 10 milioni 709 mila lire, seguita da Reggio Calabria, Enna e Potenza.
Preoccupante è il caso di Napoli, per il quale si denuncia
una situazione di degrado ancora più aggravata rispetto al
passato anche recente. infatti, il capoluogo campano retrocede fino
a collocarsi all'87° posto. Il reddito di Napoli è pari
al 63,4 per cento del valore medio nazionale e a meno della metà
(45,6 per cento) di quello di Milano.

La caratteristica più evidente dei mutamenti della geografia
economica provinciale italiana nel periodo 1980-1990 sta nella diversità
dei processi di sviluppo. Nel quadro della forte ripresa dell'Italia
nord-occidentale si registra una sensibile controtendenza per Torino
(che perde ben quattordici posizioni nella graduatoria del reddito
pro capite, collocandosi addirittura all'89° posto su 95 province),
mentre perde posizioni anche Aosta e rimane stazionaria la posizione
di Brescia, Genova e La Spezia. Segnano invece notevoli performances
il Piemonte "minore" (Asti, Vercelli e Novara) e le province
meno sviluppate della Lombardia e della Liguria (Sondrio e Imperia).
Nell'Italia nord-orientale, in cui alla decelerazione dell'Emilia
Romagna ha fatto da contrappeso il progresso delle "regioni venete",
si notano forti differenze. Nel Veneto, ai notevoli progressi di Padova
e Belluno, si contrappone il regresso di Treviso, Rovigo e Venezia.
Nel Friuli-Venezia Giulia, Udine e Pordenone perdono cinque e undici
posizioni nella graduatoria pro capite, mentre Gorizia ne guadagna
ventitre e Trieste quindici. Tutte le province dell'Emilia, invece,
perdono posizioni.

Altrettanto disomogeneo
il processo di sviluppo dell'Italia centrale. Il Lazio va avanti,
mentre perdono punti l'Umbria e le Marche. In Toscana, Arezzo sorpassa
Firenze nel reddito procapite, Pistoia e Siena peggiorano vistosamente.
Nel Mezzogiorno, gli scarti delle dinamiche economiche delle provincie
negli anni dall'80 al 90 appaiono più attenuati. Si evidenzia
il sempre più forte progresso di Benevento e Avellino e l'ancora
più sensibile discesa di Matera. Qualche recupero si registra
a Bari e a Catania.
Dalle tute
blu ai colletti bianchi
Cipputi non ritornerà
più. L'analisi non lascia dubbi: la ricchezza proviene sempre
più dal terziario e sempre meno dall'industria. Se infatti
nel 1980 vi erano in Italia otto province con una quota di reddito
proveniente dalle attività industriali superiore al 50 per
cento (Varese, Pordenone, Vicenza, Bergamo, Modena, Como, Torino e
Brescia), nel 1990 soltanto Vicenza, pur perdendo qualche punto, si
mantiene al di sopra del 50 per cento di reddito di origine industriale.
Inoltre, in otto province, nessuna delle quali meridionali, (Massa
Carrara, Udine, Livorno, Milano, Terni, Brescia, Siena e Grosseto),
il processo di deindustrializzazione è stato molto forte con
la perdita di oltre dieci punti, in percentuale, delle quote di prodotto
di fonte industriale. Soltanto in cinque province, di cui tre nelle
regioni meridionali, è aumentata l'incidenza della produzione
industriale nella formazione del reddito prodotto totale: Rovigo,
Caltanissetta, Catania, Asti e Avellino.
Nel complesso, nel periodo 1985-90, mentre il tasso medio annuo di
crescita del prodotto interno lordo complessivo è stato, in
termini monetari, del 9,6 per cento, quello dei servizi alla produzione
è cresciuto di circa quattro punti in più. Preoccupa
però il processo di "deindustrializzazione prematura"
al Sud. La provincia di Cagliari, ad esempio, registra nel periodo
1980-90 una diminuzione del 10 per cento del reddito proveniente dall'industria.
La produzione agricola ha segnato valori in diminuzione nel Centro-Nord,
ma ha segnato incrementi del 26,5 per cento nel Sud, con punte di
crescita massime in Calabria. in Basilicata e in Puglia. L'industria
(escluse le costruzioni) è invece andata male quasi ovunque.
A livello regionale un esame dello sviluppo economico (1981-91) mette
in luce nel Nord il primato della Lombardia, il Lazio in vetta al
Centro, il Mezzogiorno immobile perché non guadagna e non perde
terreno nel Prodotto interno lordo per abitante rispetto alla media
nazionale nel decennio, con il 67,7 per cento del valore medio italiano.