L'Adriatico invaso
dalle alghe, l'Adriatico "culla dei veleni": non è
un fenomeno nato ieri. "Iniziammo le ricerche nel maggio 1969",
scrive Lanfranco Mancini, dell'Istituto di Patologia Generale dell'Università
di Bologna, "quando, lungo la costa tra Pesaro e Ravenna si cominciarono
a raccogliere lungo le spiagge pesci morti o agonizzanti". Da
allora, Pino al 7 settembre 1975, nulla di rilevante: quella domenica
mattina, però, il mare ritorna a depositare sul litorale di
Milano Marittima, di Cervia, di Pinarella e di Cesenatico un'enorme
quantità di pesci, vongole, mitili, granchi. Davanti a Cesenatico
ne vengono raccolti 70 mila quintali.
Il cosiddetto "equilibrio trofico naturale" è saltato.
I vecchi pescatori, più semplicemente, dicono che "il
mare non tollera insulti e risponde con reazioni di molto superiori
alle offese". Inizia, ed è ancora storia di oggi, il valzer
dei monitoraggi e delle ipotesi: le parole d'ordine sono "alghe",
"mucillagini", "eutrofizzazione". Il meccanismo
del disastro è complesso e sulle sue cause gli esperti sono
divisi.
"L'eutrofizzazione", scrive Giovanni Bombace, direttore
dell'Istituto Ricerche Pesca Marittima e del CNR di Ancona, "non
è altro che una buono concimazione a base di sali nutritivi
(Sali di azoto e di fosforo) e di materiale organico particellato,
che arrivano in Adriatico da numerosi fiumi". Bombace dice che
queste sostanze provenienti dall'agricoltura, dalla zootecnia e dalle
industrie dell'entroterra sono preziose per l'innesco e la ricchezza
delle cosiddette "catene alimentari" marine: l'Adriatico,
infatti, che ha una superficie pari a 1/20 dell'intero Mediterraneo,
ma riceve 1/3 delle acque dolci continentali mediterranee, è
uno dei mari più pescosi d'Italia.
"Sulle responsabilità dell'eutrofizzazione", prosegue
Bombace, "regna la più grossa confusione: per quanto ne
sappiamo, non esiste un rapporto diretto di causa-effetto tra di essa
e la fioritura abnorme di alghe, che sembra invece correlata a qualche
sostanza attiva (vitamine, elementi oligodinamici, auxine?) che di
volta in volta agisce selettivamente su una specie algale, Facendola
moltiplicare e predominare sulle altre dell'ecosistema. Dopo l'azione
di questo "agente X" che la scienza ancora ricerca, le alghe
cadono sul fondo, putrefanno, e se i moti convettivi di rimescolamento
verticale sono quasi assenti sottraggono ossigeno alle acque di Fondo,
creando acque anossiche a ipossiche (prive o scarse di ossigeno)".
Lo spostamento di queste acque verso terra a causa di correnti di
fondo temporanee può provocare disastrose morie di pesci sulla
spiaggia: "Che cosa c'entri l'eutrofizzazione con questi Fatti
è da dimostrare: se Fosse il grado di trofia, a generare la
Fioritura abnorme di alghe, il fenomeno si dovrebbe verificare tutte
le volte che nitrati e Fosfati raggiungono alti valori. Invece, non
è così. Anzi, fioriture algali sono storicamente dimostrate
nell'800 e ai primi del '900, cioè in epoche pre-industriali,
e prima che iniziasse l'agricoltura intensiva".
Alcuni scienziati ritengono che l'invasione della mucillagine, il
muco prodotto dalle diatomee, e le maree rosse, provocate da "Dinoflagellati",
siano dovuti agli scarichi del Po; per altri, la mucillagine dipenderebbe
solo dal clima e da fenomeni meteorologici.
Il professor Mancini chiama in causa entrambi: i fertilizzanti a base
di fosforo (da 13 a 20 mila tonnellate all'anno) e azoto (circa 110
mila tonnellate all'anno) che i fiumi scaricano in mare; e la temperatura,
"una condizione", dice, "che sembra decisiva per l'innesco
delle grandi fioriture". Queste, afferma Mancini, si sviluppano
sempre sottocosta, a breve distanza dalla riva, il che confermerebbe
la responsabilità di fiumi e di scarichi che provengono dall'entroterra.
Il New York Times, in una recente mappa delle "zone nere"
del pianeta, ha incluso anche l'Adriatico, affermando che rischia
la morte biologica soprattutto a causa del Po.
Il Consiglio Superiore di Sanità punta l'indice sulle bizzarrie
climatiche; alla mitezza della temperatura nello scorso inverno pensa
anche il professor Antonio Brambati, responsabile del progetto "Oceanografici
e tecnologie marine" del CNR. Richard Wollenweider, biologo canadese
di fama mondiale, delinea uno scenario se possibile ancora più
inquietante: ridurre i nitrati e i fosfati che si usano nella zootecnia
e nell'agricoltura è fondamentale, sostiene, ma una delle cause
principali - ipotizza - è l'effetto serra, cioè la crescita
della temperatura globale del pianeta dovuta ai combustibili fossili,
che immettono nell'aria grandi quantità di anidride carbonica.
Questo mare gelatinoso è proprio "nostrum", nel senso
che negli annali delle scienze naturali, nel passato come nei tempi
più recenti, il fenomeno si è registrato esclusivamente
nell'Adriatico: non si conoscono altri esempi nel resto del mondo.
E quindi non ci sono neanche esperienze scientifiche precedenti cui
potersi riferire. E comunque, si tratta proprio di gelatina: quella
stessa che si estrae, appunto, dalle alghe e che si usa correntemente
come emulsionante nei gelati industriali, per le gelatine di brodo
"pronte", sulle pellicole fotografiche, in "maschere"
cosmetiche, nei laboratori per le colture batteriche, nei dentifrici
"trasparenti" e in tanti altri preparati, per provocare
sazietà artificiale gonfiandosi nello stomaco.
"Quella che abbiamo osservato è una situazione tutta da
studiare - dice il professar Paolo Franco, dell'Istituto di Biologia
Marina del CNR a Venezia - di cui conosciamo le basi biologiche normali,
ma che nessuno prima d'ora ha avuto modo di approfondire in queste
sue modalità clamorose. Il materiale che vediamo fluttuare
non sono le alghe, Diatomee in sé (Nitzchia closterium e Caetoceros
milleri), che vivono sui fondali, ma la gelatina che esse naturalmente
secernono per "incollarsi" ai fondali stessi, per costituirsi
un supporto quando proliferano, produzione che tende ad esaltarsi
- abbiamo visto nelle colture in laboratorio quando si trovano in
stati di sofferenza: accumulano e poi espellono in massa questi carboidrati,
ad esempio, se non riescono a riprodursi, o per "vecchiaia"
dei ceppi o per scarsità di ossigeno. Perché questo
succeda massicciamente in Adriatico per ora è solo oggetto
di ipotesi".
"Lo scorso anno - fa notare il professor Franco - le acque invernali
sono risultate di ben 4 gradi più calde rispetto all'abituale
andamento, e questo potrebbe aver favorito in primavera le condizioni
per un più rapido accrescimento delle Diatomee di fondo, e
la sovrapproduzione di quei loro polisaccaridi che avevano trasformato
già la scorsa estate l'Adriatico in una gelatina. Quest'anno,
sebbene non sia possibile fare lo stesso ragionamento, è stata
la circolazione generale delle acque del bacino ad essere molto diversa,
inferiore al normale ed inferiore è stato quindi il ricambio,
il che ha dato occasione a quelle condizioni di sofferenza che possono
indurre le Diatomee "stressate" a reagire con eccessi di
gelatina".
All'invasione superficiale della gelatina delle Diatomee di fondo,
si è affiancata anche quella più "tradizionale"
delle alghe Dinoflagellate, legate direttamente al fenomeno dell'eutrofizzazione,
molto più noto da anni, da noi e in altre parti del mondo (Mar
del Giappone, California, Caribe ... ). Di per sé, l'eutrofizzazione
sarebbe un fenomeno positivo: dal greco, significa "buona nutrizione",
e per il mare l'arricchimento di sostanze nutritive portate dalle
acque fluviali, una sorta di concimazione, è stato una norma
di vita, particolarmente per il Mediterraneo, che di sostanze fosfate
e azotate era naturalmente povero.
Poi, in questo secolo, è venuto il boom della civiltà
industriale e polifosfati, nitrati e nitriti sono arrivati in massa
dai detersivi, dai fertilizzanti chimici, dai liquami urbani e dagli
allevamenti intensivi: si tratta di un'eutrofizzazione congestizia,
da "indigestione", perché in pochi anni in mare hanno
preso ad essere scaricate quantità di eutrofizzanti che prima
arrivavano diluite nell'arco di millenni. Così, le popolazioni
di alghe, saturandosi di "derrate" di fosforo e di azoto,
che in condizioni naturali non sarebbero disponibili, si accrescono
in misura rilevantissima, sottraendo spazio vitale agli altri organismi,
vegetali e animali. Normalmente, la concentrazione delle micro-alghe
flagellate si aggira sulle 10.000 per litro, e ad occhio nudo proprio
non le si nota; ma quando l'eutrofizzazione le fa salire a 200.000,
l'acqua comincia a intorbidirsi, fino ad arrivare ad aspetti sempre
da gelatina, oscura quando la densità raggiunge uno o persino
sei milioni per litro.

Perché
questo accada, è necessario che si realizzino pure altre specifiche
condizioni ambientali: i massimi estivi di temperatura, che portino
le acque artificiali sui 10° e più, la scarsa piovosità
e l'alta evaporazione, che favoriscano l'ulteriore addensarsi delle
sostanze eutrofizzanti, che la bonaccia non fa nemmeno disperdere
dalle onde. Il dramma ecologico si compie quando, completato il loro
ciclo vitale, queste immense proliferazioni di micro-organismi in
questo stato di addensamento precipitano in quantità estremamente
superiori a quelle che gli animali che normalmente se ne nutrono (pesci,
crostacei, molluschi) riescano a smaltire. Hanno luogo, allora, vasti
fenomeni putrefattivi, operati inizialmente da batteri che nel procedimento
utilizzano l'ossigeno (aerobi) disciolto nell'acqua, il cui violento
prelievo va pertanto a scapito sia degli altri organismi sia delle
stesse micro-alghe ancora viventi, la cui moria diviene a propria
volta così sempre più accelerata e consistente. Quando
poi neanche i batteri aerobi hanno più ossigeno per la propria
attività, entrano in campo quelli che "lavorano"
senza, gli anaerobi, che nel procedimento producono però sostanze
tossiche che uccidono quanto di vivo fino a quel momento era riuscito
a resistere. E dai liquami untuosi che restano, cominciano a svolgersi
idrocarburi, tipo metano.
Il fenomeno, dunque, è ampiamente previsto dalla natura. Quel
che non è previsto è il suo ripetersi con la frequenza
che vediamo: perché una volta era veramente eccezionale che
coincidessero contemporaneamente l'abbondanza di nitrati e di fosfati
e i fatti climatici, mente ora che il sovrappiù chimico è
sempre presente, ogni volta che il clima è adatto il mare diventa
di "marmellata".
Un'osservazione solo apparentemente paradossale, ma ben nota, è
che alla radice dell'eutrofizzazione inquinante stanno pure due provvedimenti
"ecologici": il terzo stadio degli impianti di depurazione
delle acque di fogna, per il quale vengono usati prodotti eutrofizzanti,
quali appunto i sali di fosforo e azoto; e poi i detersivi "biodegradabili",
con i loro polifosfati.

Stanno uccidendo
il mare
Il nuovo nemico
Già la
conformazione stessa dell'Adriatico ne fa un ecosistema "delicato".
E' un bacino chiuso, con un unico sfogo, e per tutta la sua metà
settentrionale (proprio quella più sconvolta dai fenomeni algali)
con profondità inferiori ai 100 metri: due caratteristiche
che ne assoggettano le acque in maniera del tutto particolare alle
vicissitudini climatiche.
Le acque costiere, poi, e in special modo nell'Adriatico occidentale,
hanno dei meccanismi fisici che le tengono parzialmente separate da
quelle al largo: maree "smorzate" sui fondali ampiamente
digradanti, l'arrivo diretto delle acque dolci continentali, il cui
assorbimento provoca facilmente la formazione di "sistemi frontali",
cioè brusche diversità/barriere di salinità/densità
rispetto al mare aperto.
Questo imperfetto rimescolamento delle acque costiere con quelle profonde
fa sì che le prime tendano a trattenere e a concentrare maggiormente
in sé le sostanze chimiche di provenienza umana, organiche
ed inorganiche, scaricate lungo le coste da fiumi e canali. In altre
parole, secondo gli specialisti, il fatto di ricevere queste sostanze
con una velocità maggiore di quella con cui poi sono capaci
di cederle al mare aperto, fa sì che nelle acque costiere dell'Adriatico
sia notevolmente più agevole il realizzarsi di quelle condizioni
spaziali e temporali che corrispondono, in ore o in giorni, all'esplosione
delle fioriture algali.
E in condizioni ambientali di mancato, o comunque carente ricambio
verso il largo, accade allora pure che tutta la massa di sostanza
biologica non si apra verso le catene alimentari che salgono dai micro-organismi
fino ai pesci, agli uccelli, a noi, ma all'opposto resti a disposizione
di batteri putrefattivi che ne operano il degrado con vistoso assorbimento
di ossigeno, sino al "soffocamento" dell'ecosistema.