Non
piove più. Da mesi ormai, l'anticiclone delle Azzorre non ha
voluto abbandonare il Mediterraneo alla fine della scorsa estate. Ed
ora la terra brucia sotto i piedi degli agricoltori. Ed è siccità.
E' emergenza. Presto o tardi, anche l'acqua per uso potabile dovrà
essere razionata. E mentre da una parte le varie Regioni dichiarano
lo stato di calamità naturale, dall'altra ci si affida a Dio
e agli dei, con antiche cerimonie di invocazione della pioggia (vedi
Manduria). Una situazione come questa non si verificava ormai da 50
anni. Ed è una situazione che, a parere degli esperti, non dà
speranze di svolta. Anzi, è in via di consolidamento.
I danni si valutano in centinaia di miliardi, fra piante e allevamenti.
Sui terreni aridi e crostosi, tonnellate di ortaggi stanno rinsecchendo.
E non c'è foraggio per il bestiame. Le Regioni più colpite
sono, naturalmente, quelle meridionali. Tuttavia, anche nel Nord sorgono
motivi di seria preoccupazione: la siccità, infatti, ha favorito
il dilagare degli incendi. Nel solo mese di gennaio l'ondata di fuoco
ha distrutto circa 2700 ettari di bosco. In stato di emergenza, Liguria,
Emilia Romagna, Lombardia, Friuli e Toscana.
In Sardegna non piove più da 11 mesi. La siccità non ha
risparmiato nessuna provincia. I danni all'agricoltura e alla zootecnia
sono incalcolabili. Irreparabilmente segnate le coltivazioni di pomodori
e barbabietole da zucchero, colture destinate alla trasformazione industriale.
I prezzi del foraggio e dei mangimi hanno raggiunto cifre record. I
pascoli sono bruciati. E moltissimi pastori, non potendo nutrire le
greggi, hanno preso la dolorosa decisione di abbattere gran parte del
bestiame. I tempi di attuazione di un "ponte aereo" dal continente
all'isola appaiono troppo lunghi per evitare il drastico provvedimento.
Le aziende a carattere zootecnico sono al limite del collasso, con un
indebitamento pari a 800 miliardi di lire. In considerazione del momento
drammatico attraversato dalla regione, è stato dichiarato lo
stato di calamità eccezionale. Essa potrà, pertanto, usufruire
della proroga di tutte le cambiali agrarie e di altre agevolazioni che,
comunque, potranno solo alleviare le enormi perdite subite.
La Campania non ha dichiarato lo stato di calamità naturale.
Ma la situazione, già difficile, rischia di degenerare, se non
ci sardi un'immediata svolta climatica. Le colture, dal frumento agli
ortaggi, al tabacco, sono ancora recuperabili. Ma occorrono piogge leggere
e prolungate. Eventuali acquazzoni, infatti, arrecherebbero solo ulteriori
danni: la pioggia abbondante e violenta non riuscirebbe ad essere assorbita
dal terreno, indurito dalla lunga siccità. D'altra parte, l'utilizzo
delle falde acquifere in sostituzione dell'acqua piovana, particolarmente
intenso negli ultimi tre anni, sta determinando il rapido esaurimento
delle stesse.
In Basilicata, momenti estremamente difficili sta attraversando il Metapontino,
zona dedita alla coltivazione di ortaggi pregiati, "primizie"
vendute ad alto prezzo nelle regioni settentrionali.
Tutte le sorgenti sono esaurite. Segnate anche le produzioni primaverili:
i consorzi di bonifica, infatti, hanno chiuso con le richieste di irrigazione.
E questo significa che gli ortaggi da seminare non riceveranno l'acqua
necessaria per crescere. La stessa semina appare pregiudicata, visto
che essa va seguita su un terreno preventivamente bagnato. Anche per
questa regione si sta valutando la decisione di dichiarare lo stato
di calamità.
In Puglia, come in Sardegna, la siccità ha provocato negli ultimi
anni un forte indebitamento delle aziende agricole. Inoltre, gli agricoltori
pugliesi non possono più ottenere prestiti agevolati, causa l'insolvenza
di 351 miliardi della Regione verso l'Abi (Associazione Bancaria Italiana).
Tra le varie colture, gli ortaggi hanno subìto i danni maggiori.
Ma perdite notevoli si registrano pure nei comparti olivicolo e zootecnico.
Problematiche anche dal lato degli stanziamenti statali, in vista dei
minori afflussi a sostegno dell'agricoltura, previsti dalla "Finanziaria".
Precipita la situazione il "risparmio" di 1.7 miliardi di
Ecu, deciso dalla Cee nei riguardi della politica agraria comunitaria.
Risparmio che, per le colture tipiche pugliesi - come tabacco, cereali,
olio d'oliva, ecc. - si traduce in una drastica riduzione dei prezzi
comunitari d'intervento. D'altra parte, l'inerzia della Regione è
palese. Da anni giacciono sulla carta "fondamentali disegni di
legge che avrebbero dovuto assicurare un salto di qualità all'agricoltura
pugliese": tra questi, anche la proposta di modifica della "Legge
19/79" sulle calamità atmosferiche.
Se il clima è il maggiore responsabile della grande sete attuale,
di certo non è l'unico. C'è anche un sistema idrico a
forma di colabrodo, lungo le cui condotte buona parte dell'acqua va
perduta. E c'è quel processo di salinizzazione e desertificazione
delle terre che avanza a vista d'occhio e che, al pari delle strutture
idriche, non è un problema di oggi. C'era. Ma niente di concreto
è stato fatto. Prima di accennare ai vari rimedi proposti, è
necessario comunque sottolineare che solo un cambiamento climatico potrebbe
risolvere il problema dell'anno. I provvedimenti-tampone servono solo
ad evitare un totale collasso dei settori più colpiti dalla siccità.
Detto questo, osserviamo che "obiettivo primario" delle varie
regioni resta quello della pianificazione della gestione delle risorse
idriche. Una pianificazione che, però, secondo il ministro per
la Protezione Civile, "non deve perdere di vista l'urgenza del
momento, che si aggrava giorno dopo giorno". Da qui l'esigenza
di adottare provvedimenti a breve termine, atti ad arginare il preoccupante
fenomeno. Tra questi: il razionamento delle risorse, già scattato
in molte regioni; l'utilizzo di impianti di rapida costruzione per la
ricerca di nuove falde acquifere sotterranee; il riciclaggio delle acque
reflue per irrigare le campagne; l'inseminazione artificiale delle nuvole
(esperimento tentato in Puglia dalla Tecnagro).
A questi provvedimenti dovrebbe, inoltre, accompagnarsi una campagna
di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, allo scopo di evitare gli
sprechi. In tal senso si è già mossa l'Unione Nazionale
Consumatori, che ha diffuso un "decalogo" di consigli utili
per risparmiare l'acqua.
Sistemi idrici
e reti distributive
Secondo l'ultima indagine Istat, risalente al 1975, il 45,3% degli
italiani subisce interruzioni del servizio idrico o riceve acqua in
quantità insufficiente; mentre il 3,3% non gode di alcuna erogazione.
14 anni sono passati da allora, ma quei dati restano, purtroppo, sempre
attuali. Pochi, infatti, sono stati i progressi in questo settore.
E se, da una parte, sono stati creati nuovi acquedotti e nuove reti
distributive, dall'altra - in Lombardia principalmente - c'è
stato un drastico calo dell'acqua per uso potabile, a causa della
presenza, in quantità superiori a quelle limite previste dalla
Cee, di atrazina e di altri diserbanti. Eppure, rispetto alle altre
nazioni europee, l'Italia continua ad essere il paese a più
alto consumo di acqua. E non è tutta colpa del clima. La maggior
parte dei 150 mila impianti acquedottistici esistenti in Italia provoca
la perdita del 20-40% di risorse idriche. Di queste condotte, almeno
50 mila andrebbero sostituite. Le strutture più carenti si
ritrovano nel Mezzogiorno.
La Campania, con la "storica inoperosità" dei suoi
sistemi idrici, ha un triste primato in questo campo. Molti impianti
sono ancora quelli del secolo scorso. E la loro gestione è
frazionata fra 13 grandi consorzi e una miriade di enti in combutta
fra loro. Un sistema idrico che ruota intorno a quattro acquedotti
principali: il Campania occidentale, il Volturno, il Sele e l'Alto
Calore.
Gli investimenti, secondo un piano di emergenza elaborato qualche
mese fa, dovrebbero essere volti a potenziare queste strutture. Mentre,
36,4 miliardi dovrebbero servire alla sostituzione delle condutture
meno economiche, che causano perdite del 30% di acqua. Il piano prevede
pure la costituzione di un ente unico di gestione, allo scopo di superare
il deficit prodotto dall'eccessivo frazionamento della stessa. La
storia, comunque, insegna, visto che al di là dei progetti
non si è andato. Come per il "mega-impianto" della
Campania occidentale: sono 12 anni che se ne parla ma, ancora oggi,
resta sulla carta, imbrigliato com'è da lungaggini e difficoltà
burocratiche e tecniche.
E non è solo una "questione" campana. In Sardegna,
regione più toccata dall'attuale siccità, c'erano progetti
per la costruzione di ben 40 invasi idrici, da attuare in 15 anni,
ma non sono mai passati. Così pure il "Piano Acque"
non riesce a dare risultati positivi. Discorso analogo per Calabria
e Basilicata. Alla Sicilia guarda con preoccupazione anche la Cee.
E poi c'è la Puglia "sitibonda d'acqua e di giustizia",
il cui acquedotto riuscì, un tempo, a placare l'antica sete;
ma che oggi si rivela logoro e insufficiente di fronte all'accresciuto
fabbisogno idrico.
Un altro punto dolente è dato dagli impianti di depurazione:
i due terzi di quelli esistenti in Italia o funzionano male o non
funzionano affatto. Un'inefficienza che, al pari di quella dei sistemi
di erogazione, ha origini ben precise. Come già accennato in
particolare per la Campania, ricordiamo, infatti, che nel nostro paese
il 95% circa della disponibilità idrica è di competenza
dei Comuni, ai quali è data la facoltà di riunirsi in
consorzi. Nonostante questa facoltà, il frazionamento è
impressionante: esistono oltre 5 mila enti per la gestione degli acquedotti,
altri 2 mila per i depuratori e più di 3 mila per le reti fognarie.
Ed ecco i risultati: solo le città godono del "privilegio"
di essere servite dalle grandi aziende municipalizzate (cento in tutto).
Il resto - ossia l'altra mezza Italia - subisce, invece, uno scandaloso
disservizio: ogni ente minore riesce a servire al massimo 3 mila abitanti,
in condizioni veramente pietose di carenza di personale e di mancanza
di fondi, con conseguente impossibilità ad effettuare investimenti,
a garantire un minimo di servizio di manutenzione e di ricerca o,
ancora, a mantenere un laboratorio chimico per il controllo qualitativo
dell'acqua.
L'eccessiva polverizzazione delle competenze è, dunque, causa
primaria dell'inefficienza del settore. Una causa che è poi
espressione di una politica statale altrettanto polverizzata: lo dimostra
l'esistenza, in Italia, di ben tre ministeri addetti al servizio:
il ministero dei lavori Pubblici, della Sanità e dell'Ambiente.
In Inghilterra, invece, è solo il Ministero dell'Ambiente ad
occuparsi del settore; così come, a livello gestionale, sono
solo 10 grandi società competenti in materia di acquedotti,
depuratori e fogne insieme. Un frazionamento il nostro che, oltretutto
, rende impossibile, da parte governativa, un corretto controllo sulla
destinazione effettiva degli stanziamenti statali.
Da più parti, si pone l'accento sull'inadeguatezza delle tariffe
al consumo che, in Italia, sono troppo basse rispetto al resto dell'Europa;
il che riduce gli investimenti ed aumenta gli sprechi. Ma è
opportuno ricordare anche che l'Italia è già un paese
incredibilmente vessato, dove lo Stato preleva circa il 40% del reddito
al cittadino. E, nonostante questo, non riesce a fornire in nessun
campo servizi soddisfacenti. Quindi, aumentare il prelievo senza prima
dare un taglio ai "rami secchi" e alle "sanguisughe"
del sistema, non serve certo ad aumentare l'efficienza. Anzi. Serve
solo ad ingrassare ulteriormente questo o quel partito, ai danni della
comunità.
D'altra parte, tornando all'esigenza di una maggiore concentrazione
delle responsabilità gestionali, in aziende di grande dimensione,
il potere di emanare leggi statali in proposito è limitato
notevolmente dal principio costituzionale - agli art. 117-118 - i
quali attribuiscono alle Regioni il compito di legiferare in materia.
Resta soltanto la possibilità di una "legge quadro"
"a cui le Regioni si ispirino per obbligare i Comuni a consorziarsi
in grosse aziende di gestione dell'acqua".
Un'ultima importante considerazione: qualsiasi intervento che la classe
politica voglia prendere non può prescindere da un'analisi
rigorosa della situazione, sulla base di dati attendibili e, quindi,
attuali. Ora, questi dati mancano. Ci sono quelli vecchi dell'Istat
che, per la rete fognaria, risalgono al 1963, per gli acquedotti,
al 1975, mentre è del '68 il Piano Regolatore generale.
"Programma
Puglia"
Il "Programma Puglia" prevede investimenti di 280 miliardi
per la realizzazione di tre opere nel settore idro-potabile: la prima
riguarda l'allacciamento dell'acquedotto del Locone alla rete dell'Eaap,
con un aumento atteso dell'erogazione pari a 3 milioni e 750 mila
metri cubi di acqua al mese; la seconda riguarda l'allacciamento dell'acquedotto
del Sele alla condotta dell'Ofanto, il che procurerebbe 500 litri
di acqua in più al secondo; la terza, infine, consiste nella
costruzione di un serbatoio a Sant'Eleuterio, allo scopo di eliminare
l'erogazione a singhiozzo nelle zone del Basso Salento.
Un programma da cui sono scaturite aspre polemiche. Si è parlato,
a questo proposito, di "penalizzazione del potabile" rispetto
all'"irriguo". Dei 436 miliardi messi a disposizione dal
ministero per il Mezzogiorno, per interventi nel settore idrico in
Puglia e in Basilicata, solo 20 miliardi sono destinati all'Eaap e,
quindi, alle opere di trivellamento di nuovi pozzi per gli usi civili.
Secondo il ministero in questione, infatti, il "Programma Puglia"
non rientra fra i provvedimenti reputati "necessari" per
superare l'emergenza. Esso resta, quindi, nell'ambito del terzo piano
di attuazione della "64": quello sugli interventi straordinari
nel Sud. Si tratta, infatti, "di interventi che non produrrebbero
maggiori quantitativi di acqua e per i quali le opere sarebbero utilizzabili,
nella migliore delle ipotesi, non prima di due anni".
Ma i consiglieri democristiani insistono e chiedono un intervento
della Regione, allo scopo di rivalutare il "Programma" e
di "ottenere un riequilibrio degli investimenti tra irriguo e
potabile".
Vivace la reazione comunista: "Si è parlato dell'esiguità
dei finanziamenti destinati all'acquedotto. I colleghi del gruppo
Dc avrebbero fatto meglio a chiedere come sono stati utilizzati dall'Eaap
gli 85 miliardi che, nello scorso autunno, furono assegnati all'ente
per trivellare 70 nuovi pozzi e per allacciare alla rete 79 pozzi
già esistenti. Questo intervento ha prodotto risultati assai
inferiori a quelli previsti. Perché non sono stati esercitati
il controllo e la vigilanza che i decreti del ministro della Protezione
Civile assegnano alla Regione?".
Dei battibecchi politici vorremmo, naturalmente, fare a meno. Tanto,
si sa, delle magagne si parla solo quando fa comodo. Almeno ci fossero
più fatti...
Desertificazione
e salinizzazione delle terre in Italia e nel mondo
Solo pochi anni fa, in Italia, si ebbe il sentore della gravità
del fenomeno. Nell'area di Piombino, precisamente: l'acqua salata
aveva ormai invaso e resi inutilizzabili numerosi pozzi della zona.
Ma dall'indagine svolta da un gruppo di ricercatori dell'Università
di Amsterdam, risultò che la situazione era più preoccupante
del previsto. La salinità si era estesa lungo una fascia di
ben 7 mila ettari di costa e avanza rapidamente verso l'interno bruciando
ogni tipo di vegetazione. Ora la si può ritrovare ad una profondità
inferiore al metro e mezzo. "Il carsismo agevola l'invasione
sotterranea tirrenico-toscana, condizionando pesantemente le produzioni
agricole specializzate e, di conseguenza, i redditi più cospicui
del settore primario. La Maremma, d'altra parte, sebbene ex palude,
da tempo vive uno sbilancio idrico: per i soli usi idropotabili ha
un deficit di circa 13 milioni e mezzo di metri cubi all'anno"
(dal Centro Studi Einaudi).
Oltre alla Toscana, le regioni più colpite dai processi di
desertificazione sono la Puglia, la Sicilia e la Sardegna.
Anche in Puglia, le infiltrazioni sotterranee di acqua marina sono
state facilitate dalla natura carsica del territorio. Ed è
un fenomeno che, in varia misura, ha conquistato l'intera regione.
A Nord del Gargano, lo possiamo riscontrare intorno alle dune di Lesina
e Varano. A Sud del promontorio, la sua invasione capillare continua
da Manfredonia a Molfetta e ancora, dall'Ofanto ai confini con il
Molise, avanza senza sosta lungo l'intero Tavoliere per ricomparire,
con i suoi effetti distruttivi, nella parte meridionale della penisola
salentina, zona particolarmente carsica.
In Sicilia, la desertificazione ha conquistato due aree della Piana
di Gela e minaccia di espandersi a vista d'occhio. E questo è
niente di fronte alla dimensione che assume il fenomeno lungo le zone
costiere: l'infiltrazione salmastra ha corroso interi territori, da
Capo Passero a Capo Isola delle Correnti, invadendo anche la pianura
a Sud di Modica; da Capo San Vito alla Piana di Castelvetrano; e infine,
la Piana di Catania, dal fiume Simeto fino a Lentini.
Stessa sorte è toccata alla Calabria, dove "la salinità
investe circa l'80% del territorio di Crotone, l'antico archesato,
il latifondo che, trasformato negli anni Settanta,aveva assicurato
buoni redditi agricoli. Al confine con la Basilicata, dal corso del
Crati a Nord, l'area conquistata dalla desertificazione, per alcune
migliaia di ettari in espansione". Ben 84 Paesi dell'intero continente
sono oggi coinvolti nel processo di desertificazione. La sua corsa
frenetica ha avuto inizio nel secolo scorso in concomitanza con l'aumento
delle superfici irrigate, passate dagli 8 milioni di ettari nell'800
ai 200 milioni attuali. Lo sfruttamento intensivo delle terre non
è stato accompagnato da adeguate misure di compensazione. Così,
da un lato, il continuo drenaggio delle acque ha provocato l'esaurimento
dei sifoni carsici, con successiva invasione di infiltrazioni salmastre;
dall'altra, il fattore irrigazione, usato in modo indiscriminato,
ha determinato una notevole concentrazione di sali in superficie,
rendendo meno permeabili i terreni agricoli. Ed ora un "deserto
di sale" avanza e altera gli equilibri produttivi di circa venti
milioni di ettari di terre. In Egitto riguarda l'80% del territorio
( ... "E intanto il Sahara divora le oasi e lambisce le periferie
di decine di città" ... ). Negli Stati Uniti, ha conquistato
il 30% della superficie irrigata. In India, il 35%. In Pakistan, un
terzo del Paese.
Tecnagro-Regione
Puglia
"Progetto
Pioggia"
Le drammatiche
conseguenze che la perdurante siccità ha provocato e rischia
di provocare, in misura forse più cruento, nei prossimi mesi,
hanno concentrato l'interesse del Paese verso una soluzione ancora
in via sperimentale: quella, appunto, dell'inseminazione artificiale
delle nuvole. La prima campagna di stimolazione artificiale delle
precipitazioni si è svolta in Puglia, nel periodo marzo-aprile
dello scorso anno, in attuazione del "Progetto Pioggia"
Tecnagro-Regione Puglia. Importanti i primi risultati pluviometrici
raccolti a conclusione di detto compagno. Si tratta, comunque, di
risultati che, per essere considerati attendibili, richiedono elaborazioni
statistiche molto oggettive. Afferma, infatti, il generale Abele Nania,
coordinatore scientifico del Progetto: "E' noto quanto sia estremamente
variabile il regime delle precipitazioni naturali che si verificano
su una determinato località. Se poi* si tiene in considerazione
che i risultati che si' spera di conseguire mediante la stimolazione
artificiale delle precipitazioni sono dello stesso ordine di grandezza
di tale variabilità naturale, si capisce facilmente come risulti
estremamente difficoltoso e complesso riuscire a comprovare la loro
attendibilità". (da La Gazzetta del Mezzogiorno, 18/3/89).
A fronte di questa complessità, esistono, secondo lo studioso,
delle moderne tecniche di elaborazione statistica in grado di "estrarre
da una popolazione di dati le informazioni essenziali capaci di provare
fino a quale livello di attendibilità i risultati ottenuti
sono da ritenere conseguenza degli interventi operati e non un semplice
prodotto del caso".
Sono, però, tecniche che richiedono la disponibilità
di due serie storiche di dati ("Popolazioni"): la prima,
molto lunga, costituisce "la statistica climatologica locale",
e riguarda un'ampia serie di osservazioni atmosferiche passate; la
seconda riguarda "una ragionevole serie di dati", raccolti
dopo aver operato l'inseminazione artificiale.
Ora, sulle due "aree bersaglio" pugliesi, per la seconda
serie esiste solo la disponibilità dei risultati della campagna
di semina dell'88. Una serie, quindi, insufficiente per poter trarre
valide conclusioni sull'esito statistico degli interventi. Comunque,
vista l'urgenza del momento, può essere ugualmente interessante
conoscere tali risultati. Li riportiamo così come sono stati
esposti dallo stesso Nania nel suo intervento su La Gazzetta:
a) le precipitazioni raccolte entro le due aree bersaglio pugliesi
nei due mesi di inseminazione hanno presentato una variazione positiva,
se riferito alle medie trentennali del periodo 1921-1950;
b) la variazione è regolarmente distribuita e decresce dal
centro alla periferia delle due aree bersaglio... Essa raggiunge valori
massimi del 100% (Gioia del Colle) e dell'80% (Conosci);
c) le aree interessate da incrementi compresi tra il 100% e l'80%
comprendono una superficie complessivo di circa 2.000 chilometri quadrati...
La quantità di pioggia raccolta in più su queste aree
è stato dell'ordine di 60 milioni di metri cubi.
Salento sempre
più torrido
Francesco Tarantino,
Antonio Giaccari
Il 1988 è
stato l'anno della grande siccità, piogge rare e di bassa intensità
anche nei periodi tradizionalmente piovosi. La quantità di
pioggia caduta nel 1988, rilevata dalla stazione meteorologica di
Maglie, è di circa 480 mm. pari ad appena il 59% della piovosità
media registrata dalla stessa stazione nel periodo 1925-74 (806 mm).
Come si può osservare dal grafico delle precipitazioni mensili
riportato, i cali maggiori della piovosità si sono registrati
nel periodo autunno-inverno, cioè proprio nei mesi di maggiore
piovosità media. Da ciò è naturale attendersi
uno sconvolgimento dei cicli vegetativi e cali produttivi considerevoli
nelle rese di molte colture agricole. Occorre ricordare che negli
anni 1986 e 1987 la piovosità annua è stata inferiore
a quella media, con una altezza di pioggia pari rispettivamente a
millimetri 656,4 e a millimetri 756.
Non c'è da meravigliarsi più di tanto se non piove più.
I tecnici idrogeologi in recenti indagini statistiche, condotte in
sei aree campione della Puglia (Ba, Br, Le, Fg, Locorotondo e Ruvo
di Puglia), sulla piovosità, nel periodo che va dal 1886 ai
nostri giorni, hanno dimostrato che in Puglia piove sempre meno.
Certamente la mancanza di piogge in Puglia non è un fatto recente
ma che si perde nella notte dei tempi, tant'è vero che Puglia
etimologicamente significa "senza acqua". Questo importante
fenomeno meteorologico è diventato sempre più raro:
"il 30% in meno", affermano gli stessi studiosi, "e
con variazioni di intensità e frequenza superiori al 100% da
un anno all'altro".
Quello che poi si è verificato quest'anno, con la caduta netta
delle precipitazioni, non si verificava da almeno un quarantennio,
ma gli stessi tecnici tutto sommato ci tranquillizzano giustificando
il fenomeno in termini di variabilità e bizzarria a causa della
particolare posizione geografica della Puglia ed in particolare del
Salento. Quasi come nella storia, il Salento è terra di conquista
anche per i venti. Senza nessuna profezione, da un giorno all'altro
sotto tutte le possibili dominazioni: dalla tagliente tramontana all'opprimente
scirocco. Ma cosa è cambiato in questo secolo nel Salento oltre
alla probabilità di pioggia? E' cambiato il macroclima continentale,
ma anche quello locale.Senza dilungarsi in discorsi complessi, il
territorio salentino, con le conseguenze microclimatiche, si è
fortemente modificato Le superfici vegetali ed agrarie, nell'ultimo
secolo, sono diminuite del 25%, rese impermeabili con opere edili
e stradali, con seguente riduzione dell'evaporazione di acqua dal
terreno e alterazione dei naturali cicli idrogeologici.
Notevolmente cambiata
è la distribuzione della copertura vegetale: i boschi sono
ormai ridotti a poche oasi da salvaguardare, le paludi, sistemi idrogeologici
delicatissimi ed importantissimi, sono state cancellate dal nostro
territorio. L'agricoltura è radicalmente cambiata: l'importante
simbiosi tra coltivazioni vegetali e produzioni zootecniche è
stata spezzata sotto l'urto di fenomeni sociali ed economici di ampia
portata; meno braccia sulla terra e meno superficie coltivabile hanno
imposto il ricorso massiccio all'emungimento delle falde profonde.
Tutto ciò ha certamente portato alla rarefazione dei fenomeni
piovosi e alla accentuazione del divario tra la stagione invernale
piovosa e la stagione estiva siccitosa. In ultima analisi tutti i
fattori su indicati, ed altri, hanno reso sempre più torrido
il clima salentino, incrementando l'escursione termo-pluviometrica
tra l'estate e l'inverno. In primo luogo, occorre favorire lo sviluppo
della copertura vegetale del suolo, soprattutto di quella arborea
(boschi). La tecnologia studia nuove soluzioni al problema e in mancanza
di una politica agro-forestale valida, tenta di dare risposte sempre
più tempestive ed eclatanti: la pioggia artificiale.
Spesso in primavera-estate le nuvole attraversano i nostri cieli senza
lasciare tracce sulla terra (l'acqua non precipita) e qui interviene
l'uomo con la tecnica della inseminazione artificiale delle nuvole.
Questa tecnica, nata e sviluppata in Israele, ha un progetto di applicazione
in Puglia.
Grazie ai satelliti ed ai radar meteorologici, è possibile
prevenire il passaggio e le caratteristiche delle nubi e quindi inoculare
in esse acetone e ioduro d'argento circa 60 Km a largo della zona
dove si desidera la pioggia. La sperimentazione pugliese iniziata
3 anni fa ha dato nelle aree campioneincrementi del 15 - 30% di pioggia
nei periodi in cui essa è più necessaria: primavera
ed estate. I vantaggi in termini economici sono indiscutibili in tutti
i settori (agricoltura, turismo, industria, ecc.).
La valutazione costi-benefici dell'uso dell'inseminazione artificiale
è in rapporto di 1 : 12 + 1 : 20, secondo una valutazione approssimata.
Rimangono ancora alcune perplessità di carattere ecologico.
In mediooriente, per esempio, i siriani si lamentano di tale tecnica
con gli israeliani, in quanto affermano che nei loro territori piove
meno da quando si fa uso dell'inseminazione artificiale. Ovviamente
Israele nega tale ipotesi in quanto non supportata da dati certi.
In secondo luogo l'uso dello ioduro d'argento anche in basse dosi
potrebbe creare accumulo di metalli pesanti su tutte le superfici
esposte a tali piogge.
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