§ La maledizione della sete

Con l'acqua alla gola




Maria Rosaria Pascali



Non piove più. Da mesi ormai, l'anticiclone delle Azzorre non ha voluto abbandonare il Mediterraneo alla fine della scorsa estate. Ed ora la terra brucia sotto i piedi degli agricoltori. Ed è siccità. E' emergenza. Presto o tardi, anche l'acqua per uso potabile dovrà essere razionata. E mentre da una parte le varie Regioni dichiarano lo stato di calamità naturale, dall'altra ci si affida a Dio e agli dei, con antiche cerimonie di invocazione della pioggia (vedi Manduria). Una situazione come questa non si verificava ormai da 50 anni. Ed è una situazione che, a parere degli esperti, non dà speranze di svolta. Anzi, è in via di consolidamento.
I danni si valutano in centinaia di miliardi, fra piante e allevamenti. Sui terreni aridi e crostosi, tonnellate di ortaggi stanno rinsecchendo. E non c'è foraggio per il bestiame. Le Regioni più colpite sono, naturalmente, quelle meridionali. Tuttavia, anche nel Nord sorgono motivi di seria preoccupazione: la siccità, infatti, ha favorito il dilagare degli incendi. Nel solo mese di gennaio l'ondata di fuoco ha distrutto circa 2700 ettari di bosco. In stato di emergenza, Liguria, Emilia Romagna, Lombardia, Friuli e Toscana.
In Sardegna non piove più da 11 mesi. La siccità non ha risparmiato nessuna provincia. I danni all'agricoltura e alla zootecnia sono incalcolabili. Irreparabilmente segnate le coltivazioni di pomodori e barbabietole da zucchero, colture destinate alla trasformazione industriale. I prezzi del foraggio e dei mangimi hanno raggiunto cifre record. I pascoli sono bruciati. E moltissimi pastori, non potendo nutrire le greggi, hanno preso la dolorosa decisione di abbattere gran parte del bestiame. I tempi di attuazione di un "ponte aereo" dal continente all'isola appaiono troppo lunghi per evitare il drastico provvedimento. Le aziende a carattere zootecnico sono al limite del collasso, con un indebitamento pari a 800 miliardi di lire. In considerazione del momento drammatico attraversato dalla regione, è stato dichiarato lo stato di calamità eccezionale. Essa potrà, pertanto, usufruire della proroga di tutte le cambiali agrarie e di altre agevolazioni che, comunque, potranno solo alleviare le enormi perdite subite.
La Campania non ha dichiarato lo stato di calamità naturale. Ma la situazione, già difficile, rischia di degenerare, se non ci sardi un'immediata svolta climatica. Le colture, dal frumento agli ortaggi, al tabacco, sono ancora recuperabili. Ma occorrono piogge leggere e prolungate. Eventuali acquazzoni, infatti, arrecherebbero solo ulteriori danni: la pioggia abbondante e violenta non riuscirebbe ad essere assorbita dal terreno, indurito dalla lunga siccità. D'altra parte, l'utilizzo delle falde acquifere in sostituzione dell'acqua piovana, particolarmente intenso negli ultimi tre anni, sta determinando il rapido esaurimento delle stesse.
In Basilicata, momenti estremamente difficili sta attraversando il Metapontino, zona dedita alla coltivazione di ortaggi pregiati, "primizie" vendute ad alto prezzo nelle regioni settentrionali.
Tutte le sorgenti sono esaurite. Segnate anche le produzioni primaverili: i consorzi di bonifica, infatti, hanno chiuso con le richieste di irrigazione. E questo significa che gli ortaggi da seminare non riceveranno l'acqua necessaria per crescere. La stessa semina appare pregiudicata, visto che essa va seguita su un terreno preventivamente bagnato. Anche per questa regione si sta valutando la decisione di dichiarare lo stato di calamità.
In Puglia, come in Sardegna, la siccità ha provocato negli ultimi anni un forte indebitamento delle aziende agricole. Inoltre, gli agricoltori pugliesi non possono più ottenere prestiti agevolati, causa l'insolvenza di 351 miliardi della Regione verso l'Abi (Associazione Bancaria Italiana). Tra le varie colture, gli ortaggi hanno subìto i danni maggiori. Ma perdite notevoli si registrano pure nei comparti olivicolo e zootecnico.
Problematiche anche dal lato degli stanziamenti statali, in vista dei minori afflussi a sostegno dell'agricoltura, previsti dalla "Finanziaria". Precipita la situazione il "risparmio" di 1.7 miliardi di Ecu, deciso dalla Cee nei riguardi della politica agraria comunitaria. Risparmio che, per le colture tipiche pugliesi - come tabacco, cereali, olio d'oliva, ecc. - si traduce in una drastica riduzione dei prezzi comunitari d'intervento. D'altra parte, l'inerzia della Regione è palese. Da anni giacciono sulla carta "fondamentali disegni di legge che avrebbero dovuto assicurare un salto di qualità all'agricoltura pugliese": tra questi, anche la proposta di modifica della "Legge 19/79" sulle calamità atmosferiche.
Se il clima è il maggiore responsabile della grande sete attuale, di certo non è l'unico. C'è anche un sistema idrico a forma di colabrodo, lungo le cui condotte buona parte dell'acqua va perduta. E c'è quel processo di salinizzazione e desertificazione delle terre che avanza a vista d'occhio e che, al pari delle strutture idriche, non è un problema di oggi. C'era. Ma niente di concreto è stato fatto. Prima di accennare ai vari rimedi proposti, è necessario comunque sottolineare che solo un cambiamento climatico potrebbe risolvere il problema dell'anno. I provvedimenti-tampone servono solo ad evitare un totale collasso dei settori più colpiti dalla siccità. Detto questo, osserviamo che "obiettivo primario" delle varie regioni resta quello della pianificazione della gestione delle risorse idriche. Una pianificazione che, però, secondo il ministro per la Protezione Civile, "non deve perdere di vista l'urgenza del momento, che si aggrava giorno dopo giorno". Da qui l'esigenza di adottare provvedimenti a breve termine, atti ad arginare il preoccupante fenomeno. Tra questi: il razionamento delle risorse, già scattato in molte regioni; l'utilizzo di impianti di rapida costruzione per la ricerca di nuove falde acquifere sotterranee; il riciclaggio delle acque reflue per irrigare le campagne; l'inseminazione artificiale delle nuvole (esperimento tentato in Puglia dalla Tecnagro).
A questi provvedimenti dovrebbe, inoltre, accompagnarsi una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, allo scopo di evitare gli sprechi. In tal senso si è già mossa l'Unione Nazionale Consumatori, che ha diffuso un "decalogo" di consigli utili per risparmiare l'acqua.

Sistemi idrici e reti distributive
Secondo l'ultima indagine Istat, risalente al 1975, il 45,3% degli italiani subisce interruzioni del servizio idrico o riceve acqua in quantità insufficiente; mentre il 3,3% non gode di alcuna erogazione. 14 anni sono passati da allora, ma quei dati restano, purtroppo, sempre attuali. Pochi, infatti, sono stati i progressi in questo settore. E se, da una parte, sono stati creati nuovi acquedotti e nuove reti distributive, dall'altra - in Lombardia principalmente - c'è stato un drastico calo dell'acqua per uso potabile, a causa della presenza, in quantità superiori a quelle limite previste dalla Cee, di atrazina e di altri diserbanti. Eppure, rispetto alle altre nazioni europee, l'Italia continua ad essere il paese a più alto consumo di acqua. E non è tutta colpa del clima. La maggior parte dei 150 mila impianti acquedottistici esistenti in Italia provoca la perdita del 20-40% di risorse idriche. Di queste condotte, almeno 50 mila andrebbero sostituite. Le strutture più carenti si ritrovano nel Mezzogiorno.
La Campania, con la "storica inoperosità" dei suoi sistemi idrici, ha un triste primato in questo campo. Molti impianti sono ancora quelli del secolo scorso. E la loro gestione è frazionata fra 13 grandi consorzi e una miriade di enti in combutta fra loro. Un sistema idrico che ruota intorno a quattro acquedotti principali: il Campania occidentale, il Volturno, il Sele e l'Alto Calore.
Gli investimenti, secondo un piano di emergenza elaborato qualche mese fa, dovrebbero essere volti a potenziare queste strutture. Mentre, 36,4 miliardi dovrebbero servire alla sostituzione delle condutture meno economiche, che causano perdite del 30% di acqua. Il piano prevede pure la costituzione di un ente unico di gestione, allo scopo di superare il deficit prodotto dall'eccessivo frazionamento della stessa. La storia, comunque, insegna, visto che al di là dei progetti non si è andato. Come per il "mega-impianto" della Campania occidentale: sono 12 anni che se ne parla ma, ancora oggi, resta sulla carta, imbrigliato com'è da lungaggini e difficoltà burocratiche e tecniche.
E non è solo una "questione" campana. In Sardegna, regione più toccata dall'attuale siccità, c'erano progetti per la costruzione di ben 40 invasi idrici, da attuare in 15 anni, ma non sono mai passati. Così pure il "Piano Acque" non riesce a dare risultati positivi. Discorso analogo per Calabria e Basilicata. Alla Sicilia guarda con preoccupazione anche la Cee. E poi c'è la Puglia "sitibonda d'acqua e di giustizia", il cui acquedotto riuscì, un tempo, a placare l'antica sete; ma che oggi si rivela logoro e insufficiente di fronte all'accresciuto fabbisogno idrico.
Un altro punto dolente è dato dagli impianti di depurazione: i due terzi di quelli esistenti in Italia o funzionano male o non funzionano affatto. Un'inefficienza che, al pari di quella dei sistemi di erogazione, ha origini ben precise. Come già accennato in particolare per la Campania, ricordiamo, infatti, che nel nostro paese il 95% circa della disponibilità idrica è di competenza dei Comuni, ai quali è data la facoltà di riunirsi in consorzi. Nonostante questa facoltà, il frazionamento è impressionante: esistono oltre 5 mila enti per la gestione degli acquedotti, altri 2 mila per i depuratori e più di 3 mila per le reti fognarie. Ed ecco i risultati: solo le città godono del "privilegio" di essere servite dalle grandi aziende municipalizzate (cento in tutto). Il resto - ossia l'altra mezza Italia - subisce, invece, uno scandaloso disservizio: ogni ente minore riesce a servire al massimo 3 mila abitanti, in condizioni veramente pietose di carenza di personale e di mancanza di fondi, con conseguente impossibilità ad effettuare investimenti, a garantire un minimo di servizio di manutenzione e di ricerca o, ancora, a mantenere un laboratorio chimico per il controllo qualitativo dell'acqua.
L'eccessiva polverizzazione delle competenze è, dunque, causa primaria dell'inefficienza del settore. Una causa che è poi espressione di una politica statale altrettanto polverizzata: lo dimostra l'esistenza, in Italia, di ben tre ministeri addetti al servizio: il ministero dei lavori Pubblici, della Sanità e dell'Ambiente.
In Inghilterra, invece, è solo il Ministero dell'Ambiente ad occuparsi del settore; così come, a livello gestionale, sono solo 10 grandi società competenti in materia di acquedotti, depuratori e fogne insieme. Un frazionamento il nostro che, oltretutto , rende impossibile, da parte governativa, un corretto controllo sulla destinazione effettiva degli stanziamenti statali.
Da più parti, si pone l'accento sull'inadeguatezza delle tariffe al consumo che, in Italia, sono troppo basse rispetto al resto dell'Europa; il che riduce gli investimenti ed aumenta gli sprechi. Ma è opportuno ricordare anche che l'Italia è già un paese incredibilmente vessato, dove lo Stato preleva circa il 40% del reddito al cittadino. E, nonostante questo, non riesce a fornire in nessun campo servizi soddisfacenti. Quindi, aumentare il prelievo senza prima dare un taglio ai "rami secchi" e alle "sanguisughe" del sistema, non serve certo ad aumentare l'efficienza. Anzi. Serve solo ad ingrassare ulteriormente questo o quel partito, ai danni della comunità.
D'altra parte, tornando all'esigenza di una maggiore concentrazione delle responsabilità gestionali, in aziende di grande dimensione, il potere di emanare leggi statali in proposito è limitato notevolmente dal principio costituzionale - agli art. 117-118 - i quali attribuiscono alle Regioni il compito di legiferare in materia. Resta soltanto la possibilità di una "legge quadro" "a cui le Regioni si ispirino per obbligare i Comuni a consorziarsi in grosse aziende di gestione dell'acqua".
Un'ultima importante considerazione: qualsiasi intervento che la classe politica voglia prendere non può prescindere da un'analisi rigorosa della situazione, sulla base di dati attendibili e, quindi, attuali. Ora, questi dati mancano. Ci sono quelli vecchi dell'Istat che, per la rete fognaria, risalgono al 1963, per gli acquedotti, al 1975, mentre è del '68 il Piano Regolatore generale.

"Programma Puglia"
Il "Programma Puglia" prevede investimenti di 280 miliardi per la realizzazione di tre opere nel settore idro-potabile: la prima riguarda l'allacciamento dell'acquedotto del Locone alla rete dell'Eaap, con un aumento atteso dell'erogazione pari a 3 milioni e 750 mila metri cubi di acqua al mese; la seconda riguarda l'allacciamento dell'acquedotto del Sele alla condotta dell'Ofanto, il che procurerebbe 500 litri di acqua in più al secondo; la terza, infine, consiste nella costruzione di un serbatoio a Sant'Eleuterio, allo scopo di eliminare l'erogazione a singhiozzo nelle zone del Basso Salento.
Un programma da cui sono scaturite aspre polemiche. Si è parlato, a questo proposito, di "penalizzazione del potabile" rispetto all'"irriguo". Dei 436 miliardi messi a disposizione dal ministero per il Mezzogiorno, per interventi nel settore idrico in Puglia e in Basilicata, solo 20 miliardi sono destinati all'Eaap e, quindi, alle opere di trivellamento di nuovi pozzi per gli usi civili.
Secondo il ministero in questione, infatti, il "Programma Puglia" non rientra fra i provvedimenti reputati "necessari" per superare l'emergenza. Esso resta, quindi, nell'ambito del terzo piano di attuazione della "64": quello sugli interventi straordinari nel Sud. Si tratta, infatti, "di interventi che non produrrebbero maggiori quantitativi di acqua e per i quali le opere sarebbero utilizzabili, nella migliore delle ipotesi, non prima di due anni".
Ma i consiglieri democristiani insistono e chiedono un intervento della Regione, allo scopo di rivalutare il "Programma" e di "ottenere un riequilibrio degli investimenti tra irriguo e potabile".
Vivace la reazione comunista: "Si è parlato dell'esiguità dei finanziamenti destinati all'acquedotto. I colleghi del gruppo Dc avrebbero fatto meglio a chiedere come sono stati utilizzati dall'Eaap gli 85 miliardi che, nello scorso autunno, furono assegnati all'ente per trivellare 70 nuovi pozzi e per allacciare alla rete 79 pozzi già esistenti. Questo intervento ha prodotto risultati assai inferiori a quelli previsti. Perché non sono stati esercitati il controllo e la vigilanza che i decreti del ministro della Protezione Civile assegnano alla Regione?".
Dei battibecchi politici vorremmo, naturalmente, fare a meno. Tanto, si sa, delle magagne si parla solo quando fa comodo. Almeno ci fossero più fatti...

Desertificazione e salinizzazione delle terre in Italia e nel mondo
Solo pochi anni fa, in Italia, si ebbe il sentore della gravità del fenomeno. Nell'area di Piombino, precisamente: l'acqua salata aveva ormai invaso e resi inutilizzabili numerosi pozzi della zona. Ma dall'indagine svolta da un gruppo di ricercatori dell'Università di Amsterdam, risultò che la situazione era più preoccupante del previsto. La salinità si era estesa lungo una fascia di ben 7 mila ettari di costa e avanza rapidamente verso l'interno bruciando ogni tipo di vegetazione. Ora la si può ritrovare ad una profondità inferiore al metro e mezzo. "Il carsismo agevola l'invasione sotterranea tirrenico-toscana, condizionando pesantemente le produzioni agricole specializzate e, di conseguenza, i redditi più cospicui del settore primario. La Maremma, d'altra parte, sebbene ex palude, da tempo vive uno sbilancio idrico: per i soli usi idropotabili ha un deficit di circa 13 milioni e mezzo di metri cubi all'anno" (dal Centro Studi Einaudi).
Oltre alla Toscana, le regioni più colpite dai processi di desertificazione sono la Puglia, la Sicilia e la Sardegna.
Anche in Puglia, le infiltrazioni sotterranee di acqua marina sono state facilitate dalla natura carsica del territorio. Ed è un fenomeno che, in varia misura, ha conquistato l'intera regione. A Nord del Gargano, lo possiamo riscontrare intorno alle dune di Lesina e Varano. A Sud del promontorio, la sua invasione capillare continua da Manfredonia a Molfetta e ancora, dall'Ofanto ai confini con il Molise, avanza senza sosta lungo l'intero Tavoliere per ricomparire, con i suoi effetti distruttivi, nella parte meridionale della penisola salentina, zona particolarmente carsica.
In Sicilia, la desertificazione ha conquistato due aree della Piana di Gela e minaccia di espandersi a vista d'occhio. E questo è niente di fronte alla dimensione che assume il fenomeno lungo le zone costiere: l'infiltrazione salmastra ha corroso interi territori, da Capo Passero a Capo Isola delle Correnti, invadendo anche la pianura a Sud di Modica; da Capo San Vito alla Piana di Castelvetrano; e infine, la Piana di Catania, dal fiume Simeto fino a Lentini.
Stessa sorte è toccata alla Calabria, dove "la salinità investe circa l'80% del territorio di Crotone, l'antico archesato, il latifondo che, trasformato negli anni Settanta,aveva assicurato buoni redditi agricoli. Al confine con la Basilicata, dal corso del Crati a Nord, l'area conquistata dalla desertificazione, per alcune migliaia di ettari in espansione". Ben 84 Paesi dell'intero continente sono oggi coinvolti nel processo di desertificazione. La sua corsa frenetica ha avuto inizio nel secolo scorso in concomitanza con l'aumento delle superfici irrigate, passate dagli 8 milioni di ettari nell'800 ai 200 milioni attuali. Lo sfruttamento intensivo delle terre non è stato accompagnato da adeguate misure di compensazione. Così, da un lato, il continuo drenaggio delle acque ha provocato l'esaurimento dei sifoni carsici, con successiva invasione di infiltrazioni salmastre; dall'altra, il fattore irrigazione, usato in modo indiscriminato, ha determinato una notevole concentrazione di sali in superficie, rendendo meno permeabili i terreni agricoli. Ed ora un "deserto di sale" avanza e altera gli equilibri produttivi di circa venti milioni di ettari di terre. In Egitto riguarda l'80% del territorio ( ... "E intanto il Sahara divora le oasi e lambisce le periferie di decine di città" ... ). Negli Stati Uniti, ha conquistato il 30% della superficie irrigata. In India, il 35%. In Pakistan, un terzo del Paese.

Tecnagro-Regione Puglia

"Progetto Pioggia"

Le drammatiche conseguenze che la perdurante siccità ha provocato e rischia di provocare, in misura forse più cruento, nei prossimi mesi, hanno concentrato l'interesse del Paese verso una soluzione ancora in via sperimentale: quella, appunto, dell'inseminazione artificiale delle nuvole. La prima campagna di stimolazione artificiale delle precipitazioni si è svolta in Puglia, nel periodo marzo-aprile dello scorso anno, in attuazione del "Progetto Pioggia" Tecnagro-Regione Puglia. Importanti i primi risultati pluviometrici raccolti a conclusione di detto compagno. Si tratta, comunque, di risultati che, per essere considerati attendibili, richiedono elaborazioni statistiche molto oggettive. Afferma, infatti, il generale Abele Nania, coordinatore scientifico del Progetto: "E' noto quanto sia estremamente variabile il regime delle precipitazioni naturali che si verificano su una determinato località. Se poi* si tiene in considerazione che i risultati che si' spera di conseguire mediante la stimolazione artificiale delle precipitazioni sono dello stesso ordine di grandezza di tale variabilità naturale, si capisce facilmente come risulti estremamente difficoltoso e complesso riuscire a comprovare la loro attendibilità". (da La Gazzetta del Mezzogiorno, 18/3/89).
A fronte di questa complessità, esistono, secondo lo studioso, delle moderne tecniche di elaborazione statistica in grado di "estrarre da una popolazione di dati le informazioni essenziali capaci di provare fino a quale livello di attendibilità i risultati ottenuti sono da ritenere conseguenza degli interventi operati e non un semplice prodotto del caso".
Sono, però, tecniche che richiedono la disponibilità di due serie storiche di dati ("Popolazioni"): la prima, molto lunga, costituisce "la statistica climatologica locale", e riguarda un'ampia serie di osservazioni atmosferiche passate; la seconda riguarda "una ragionevole serie di dati", raccolti dopo aver operato l'inseminazione artificiale.
Ora, sulle due "aree bersaglio" pugliesi, per la seconda serie esiste solo la disponibilità dei risultati della campagna di semina dell'88. Una serie, quindi, insufficiente per poter trarre valide conclusioni sull'esito statistico degli interventi. Comunque, vista l'urgenza del momento, può essere ugualmente interessante conoscere tali risultati. Li riportiamo così come sono stati esposti dallo stesso Nania nel suo intervento su La Gazzetta:
a) le precipitazioni raccolte entro le due aree bersaglio pugliesi nei due mesi di inseminazione hanno presentato una variazione positiva, se riferito alle medie trentennali del periodo 1921-1950;
b) la variazione è regolarmente distribuita e decresce dal centro alla periferia delle due aree bersaglio... Essa raggiunge valori massimi del 100% (Gioia del Colle) e dell'80% (Conosci);
c) le aree interessate da incrementi compresi tra il 100% e l'80% comprendono una superficie complessivo di circa 2.000 chilometri quadrati... La quantità di pioggia raccolta in più su queste aree è stato dell'ordine di 60 milioni di metri cubi.

Salento sempre più torrido

Francesco Tarantino, Antonio Giaccari

Il 1988 è stato l'anno della grande siccità, piogge rare e di bassa intensità anche nei periodi tradizionalmente piovosi. La quantità di pioggia caduta nel 1988, rilevata dalla stazione meteorologica di Maglie, è di circa 480 mm. pari ad appena il 59% della piovosità media registrata dalla stessa stazione nel periodo 1925-74 (806 mm). Come si può osservare dal grafico delle precipitazioni mensili riportato, i cali maggiori della piovosità si sono registrati nel periodo autunno-inverno, cioè proprio nei mesi di maggiore piovosità media. Da ciò è naturale attendersi uno sconvolgimento dei cicli vegetativi e cali produttivi considerevoli nelle rese di molte colture agricole. Occorre ricordare che negli anni 1986 e 1987 la piovosità annua è stata inferiore a quella media, con una altezza di pioggia pari rispettivamente a millimetri 656,4 e a millimetri 756.
Non c'è da meravigliarsi più di tanto se non piove più. I tecnici idrogeologi in recenti indagini statistiche, condotte in sei aree campione della Puglia (Ba, Br, Le, Fg, Locorotondo e Ruvo di Puglia), sulla piovosità, nel periodo che va dal 1886 ai nostri giorni, hanno dimostrato che in Puglia piove sempre meno.


Certamente la mancanza di piogge in Puglia non è un fatto recente ma che si perde nella notte dei tempi, tant'è vero che Puglia etimologicamente significa "senza acqua". Questo importante fenomeno meteorologico è diventato sempre più raro: "il 30% in meno", affermano gli stessi studiosi, "e con variazioni di intensità e frequenza superiori al 100% da un anno all'altro".
Quello che poi si è verificato quest'anno, con la caduta netta delle precipitazioni, non si verificava da almeno un quarantennio, ma gli stessi tecnici tutto sommato ci tranquillizzano giustificando il fenomeno in termini di variabilità e bizzarria a causa della particolare posizione geografica della Puglia ed in particolare del Salento. Quasi come nella storia, il Salento è terra di conquista anche per i venti. Senza nessuna profezione, da un giorno all'altro sotto tutte le possibili dominazioni: dalla tagliente tramontana all'opprimente scirocco. Ma cosa è cambiato in questo secolo nel Salento oltre alla probabilità di pioggia? E' cambiato il macroclima continentale, ma anche quello locale.Senza dilungarsi in discorsi complessi, il territorio salentino, con le conseguenze microclimatiche, si è fortemente modificato Le superfici vegetali ed agrarie, nell'ultimo secolo, sono diminuite del 25%, rese impermeabili con opere edili e stradali, con seguente riduzione dell'evaporazione di acqua dal terreno e alterazione dei naturali cicli idrogeologici.

Notevolmente cambiata è la distribuzione della copertura vegetale: i boschi sono ormai ridotti a poche oasi da salvaguardare, le paludi, sistemi idrogeologici delicatissimi ed importantissimi, sono state cancellate dal nostro territorio. L'agricoltura è radicalmente cambiata: l'importante simbiosi tra coltivazioni vegetali e produzioni zootecniche è stata spezzata sotto l'urto di fenomeni sociali ed economici di ampia portata; meno braccia sulla terra e meno superficie coltivabile hanno imposto il ricorso massiccio all'emungimento delle falde profonde. Tutto ciò ha certamente portato alla rarefazione dei fenomeni piovosi e alla accentuazione del divario tra la stagione invernale piovosa e la stagione estiva siccitosa. In ultima analisi tutti i fattori su indicati, ed altri, hanno reso sempre più torrido il clima salentino, incrementando l'escursione termo-pluviometrica tra l'estate e l'inverno. In primo luogo, occorre favorire lo sviluppo della copertura vegetale del suolo, soprattutto di quella arborea (boschi). La tecnologia studia nuove soluzioni al problema e in mancanza di una politica agro-forestale valida, tenta di dare risposte sempre più tempestive ed eclatanti: la pioggia artificiale.
Spesso in primavera-estate le nuvole attraversano i nostri cieli senza lasciare tracce sulla terra (l'acqua non precipita) e qui interviene l'uomo con la tecnica della inseminazione artificiale delle nuvole. Questa tecnica, nata e sviluppata in Israele, ha un progetto di applicazione in Puglia.
Grazie ai satelliti ed ai radar meteorologici, è possibile prevenire il passaggio e le caratteristiche delle nubi e quindi inoculare in esse acetone e ioduro d'argento circa 60 Km a largo della zona dove si desidera la pioggia. La sperimentazione pugliese iniziata 3 anni fa ha dato nelle aree campioneincrementi del 15 - 30% di pioggia nei periodi in cui essa è più necessaria: primavera ed estate. I vantaggi in termini economici sono indiscutibili in tutti i settori (agricoltura, turismo, industria, ecc.).
La valutazione costi-benefici dell'uso dell'inseminazione artificiale è in rapporto di 1 : 12 + 1 : 20, secondo una valutazione approssimata. Rimangono ancora alcune perplessità di carattere ecologico. In mediooriente, per esempio, i siriani si lamentano di tale tecnica con gli israeliani, in quanto affermano che nei loro territori piove meno da quando si fa uso dell'inseminazione artificiale. Ovviamente Israele nega tale ipotesi in quanto non supportata da dati certi. In secondo luogo l'uso dello ioduro d'argento anche in basse dosi potrebbe creare accumulo di metalli pesanti su tutte le superfici esposte a tali piogge.

 


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