Ma chi l'ha detto
che Carlo De Benedetti, sbarcando in Belgio per l'attacco alla gigantesca
Sgb, abbia aperto un'epoca pionieristica? Non occorre proprio "affondare
nella memoria" per ritrovare decine e decine di migliaia di emigranti,
soprattutto meridionali, (qualcuno rammenta i morti di Marcinelle?),
molti dei quali poi diventati residenti, con attività imprenditoriali
di tutto rispetta. Niente di inedito, dunque, con la grande operazione
dell'ingegnere d'assolto. Al contrario, invece, com'è stato
ricordato in più occasioni, la presenza e il ruolo innovativo
dell'imprenditore-emigrante, instancabile meteco che non smette di
spostarsi da un'area all'altra dell'Europa, e del mondo, che trova
e supera non poche difficoltà nel farsi accettare, ma che in
ogni caso riesce a fornire un servizio qualificato nella società
che lo ospita, è un tema ricorrente della storia economica
del vecchio continente, dal Medio Evo ai nostri giorni.
La via di Londra che per secoli è stata l'aorta della City
è Lombard Street, in onore di quei mercanti e banchieri dell'Italia
centro-settentrionale che dalla seconda metà del Duecento e
fino alla metà del secolo successivo, prestano i loro denari
ai sovrani dell'Inghilterra, subendo tutte le conseguenze della loro
insolvenza. I "lombardi" sono in particolare toscani. A
costoro sono affidate le finanze europee del pontefici. Bonifacio
VIII non esita a definirli "il quinto elemento dell'universo".
Nelle città della Champagne, dove per oltre un secolo svolgono
operazioni di clearing, Filippo il Bello affida ai "lombardi"
la direzione della Corte dei Conti. Nel 1292, il primo contribuente
di Parigi è il mercante piacentino Gandolfo d'Arcelli. Nei
Racconti di Canterbury, di Chaucer, il protagonista del "Racconto
del mercante" è un lombardo di Pavia. la Compagnia del
Bardi, nei primi decenni del Trecento, oltre ad essere insediata in
una decina di città italiane, ha una ramificazione di interessi
che si estende a Londra, Bruges, Parigi, Avignone, Nizza, Marsiglia,
Barcellona, Siviglia, Maiorca, Cipro, Costantinopoli, Rodi.
Il cronista portoghese Fernao Lopes segnala la presenza dei mercanti
genovesi e milanesi dalla seconda metà del Trecento. Le loro
attività a Lisbona continuano molto a lungo: non per nulla
Cristoforo Colombo vi giungerà un secolo dopo al servizio del
Centurione, degli Spinola e del Negro. Le navi con le quali Cabral
esplora le coste dell'Africa e quelle del Brasile sono armate con
capitali genovesi. Gli archivi notarili di Siviglia sono costellati
di atti sottoscritti da genovesi che vi sono residenti: Grimaldi,
Lomellino, Garibaldo, Adorno, Pallavicino.
Il tracollo del Bardi e del Peruzzi, a metà del Trecento, era
stato soltanto uno sgradevole episodio: i banchieri fiorentini avevano
imprestato denari a una corona già sufficientemente spregiudicata
per non restituirli; ma è un episodio di una storia assai più
lunga, che vede i mercantibanchieri italiani agire come una delle
forze dominanti della finanza europea fino alla metà del Cinquecento.
L'onnipresenza dei passeri e dei fiorentini è consacrata persino
nei proverbi.
Le imprese internazionali dei fiorentini lasciano il segno anche nella
letteratura memorialistica. Tra i ricordi dei "mercanti-scrittori",
studiati e raccolti da Vittore Branca, troviamo quelli di Bonaccorso
Pitti, personaggio estroso e spregiudicato; il senso dell'impresa
economica e quel suo "scavallare avventuroso per l'Europa",
come scrive Branca, recano le tracce di un codice cavalleresco e nello
stesso tempo sono il segno di un nuovo orgoglio oligarchico che lo
proteggono da qualsiasi senso di inferiorità rispetto alle
aristocrazie europee, nell'autunno del Medio Evo. Sulle piazze di
Anversa e di Bruges, dove si segnalano per dinamismo e spregiudicatezza
anche gli Affaitati di Cremona, i toscani continuano ad operare con
bella sicurezza.
Gli affari internazionali dei mercanti fiorentini trovano il loro
posto nella trattatistica, diventano oggetto di quell'orgoglio per
le glorie della famiglia che costituisce uno dei temi dominanti delle
pagine di Leon Battista Alberti, piene di fervida ammirazione per
i grandi affari, per le grandi idee, per i grandi guadagni. Per esempio,
le fortune "di quegli nostri Alberti, quando e' facevano per
terra venire dall'ultima Fiandra insino a Firenze lane ad un tratto
quanto bastava a tutti e' pannieri di Firenze e gran parte della Toscana".
Nel 1434, Jan Van Eyck ritrae i coniugi Arnolfini, banchieri lucchesi
ormai definitivamente stabilitisi a Bruges, in un quadro pieno di
ironia. Solo l'affermazione di Amsterdam, nel Seicento, segna il relativo
declino di queste forze. Tuttavia, la presenza europea della finanza
italiana continua ad essere rilevante ancora per molto tempo. In Inghilterra,
dopo il crollo dei Bardi e dei Peruzzi, si faranno vivi i Frescobaldi,
gli Scali, i Medici, e, in epoca elisabettiana, il geniale affarista
Orazio Pallavicino, che ricava un utile gigantesco da un credito alla
corona britannica. Lo storico Hermann Kellenbenz ricorda i servigi
resi al commercio veneziano dal Capponi a Danzica, dal Pestalozzi
a Vienna, dal Torrigiani a Norimberga, dal Montelupi e dal Troilo
a Cracovia, dal Viatis e dal Fiester a Breslavia. I fiorentini sono
anche largamente presenti a Cadice e a Siviglia: Filippo Strozzi il
Giovane, versatile e geniale imprenditore di statura internazionale,
crea in Spagna una delle più attive società del suo
impero.
L'esperienza dei "lombardi" e del loro lontani successori,
certamente non è un caso atipico e disegna i primi lineamenti
di quella che Aldo De Maddalena ha definito Ma repubblica internazionale
del denaro", la rete dei rapporti che legano i maggiori operatori
finanziari europei con le amministrazioni statali e con le piazze
mercantili del continente. Il primo capitalismo europeo viene tenuto
a battesimo anche dagli imprenditori emigranti che si concentrano
in quella "via del capitale", che collega le Fiandre con
l'Italia settentrionale, da Anversa a Firenze. Emigrano gli, ebrei
dal Portogallo e dalla Spagna.
Emigrano i tedeschi dalla Baviera. Emigrano i fiamminghi verso Francoforte,
il porto di Amburgo e le città baltiche. interrogarsi sulle
origini del capitalismo europeo significa anche ripercorrere gli itinerari
di questa diaspora di forze imprenditoriali dai vecchi centri in decadenza
dell'Europa cattolica, verso le aree che in epoche precedenti avevano
già in qualche misura conosciuto quella lezione del protocapitalismo
medioevale.
Che cosa faranno gli italiani? I genovesi fanno grossi affari sul
commercio atlantico verso la Spagna. Questa ha riportato la gloria
della scoperta americana; ma sono le finanze di San Giorgio, ben piantate
nelle città portuali spagnole, a cogliere l'occasione del grandi
traffici che si sviluppano dopo i viaggi di scoperta e di esplorazione.
Soprattutto, lo ricordava Hugh Trevor Roper in un celebre saggio,
vanno in Svizzera. le prime fortune delle città elvetiche non
furono fatte dai discepoli di Giovanni Calvino, come si dovrebbe pensare
sulla scorta di Max Weber, ma da certi mercanti-banchieri "lombardi"
che si chiamavano Burlamacchi, Diodati, Calandrini, Minutoli, Balbani,
e via dicendo. Questi dovranno fare i conti con un'altra ondata di
immigrazione, quella dei calvinisti francesi, ma la loro precedenza
è indiscutibile. Tra i casi di emigrazione di forze imprenditoriali
dalle città italiane, non si dovrebbe poi dimenticare che i
Warburg, una delle grandi dinastie finanziarie che attraversano orizzontalmente
la storia del capitalismo europeo moderno e contemporaneo, trae origine
dal ceppo pisano del Dei Banco. I gioiellieri parigini Meller sono
del Mellerio emigrati dalla Val Vigezzo all'inizio del Cinquecento.
Ancora oggi operano attivamente nella capitale francese.
Questo gran movimento di risorse umane ed economiche continua ad essere
un segno della vitalità italiana fino alle propaggini estreme
del Rinascimento, ma si affievolisce nei due secoli successivi. Inoltre,
l'Italia non rappresenta certo l'eccezione, almeno sul piano del trasferimento
di forze imprenditoriali e di buone idee. Il capitalismo, come fenomeno
espansivo e diffusivo, deve moltissimo alla circolazione internazionale
degli uomini, del capitali e delle idee. Anzi, tende spesso a identificarsi
con essi.
L'emigrazione degli imprenditori tocca in misura diversa molte aree
della società europea nell'età moderna e contemporanea.
Certamente non riusciremmo a spiegare la forza economica degli Stati
Uniti senza il concorso delle braccia immigrate dai quattro angoli
della terra; ma nemmeno senza il concorso delle forze imprenditoriali
provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Germania, dalla Russia e dalla
Francia. E anche, sia pure in misura più limitata, dall'Italia.
Nell'America settecentesca troviamo il casalese Joseph Ottolenghi,
un ottimo imprenditore della seta, uomo di spessore e anche di brillante
vocazione didattica: pubblica, a Philadelphia, un buon trattato di
tecnica della manifattura serica. L'Ottocento, e ancora il quindicennio
che precede il primo conflitto mondiale, è il secolo della
grande migrazione. Le succes-stories degli italiani non mancano. Domenico
Ghirardelli passa dal commercio ambulante di dolciumi alla produzione
in grande di cioccolata. I gesuiti Domenico Giacobbi e Nicola Congiato
diventano grandi imprenditori del vino californiano, in particolare
di un prodotto destinato a grande fortuna, il Jesuits BIack Muscat.
Non si può negare che abbiano lavorato con molto impegno nella
vigna del Signore. Nell'industria agro-alimentare californiana le
capacità di questa imprenditorialità popolare si affermano
in modo vistoso. Ma anche il settore bancario vede all'opera alcuni
personaggi di grande vocazione, come James Fugazi, Felice Argenti
e Andrea Sbarboro, ma soprattutto Amedeo P. Giannini, il fondatore
della Bank of America, interprete e inventore di un capitalismo non
solo popolare, ma anche populista, poi passato alla leggenda. A parte
il caso del lombardo Fugazi e del siciliano Giuseppe Di Giorgio, il
nucleo regionale predominante è quello ligure. L'avvio delle
attività commerciali, industriali o bancarie degli italo-californiani
si svolge spesso in un ambito ristretto, segnato dai confini della
comunità etnica; ma in tempi più o meno rapidi esce
dalla "enclave" culturale e regionale nella quale era nata,
per penetrare nel complesso del sistema.
Tempi più recenti offrono altri casi emblematici: tra i tanti,
il più significativo è quello di un immigrato di seconda
generazione, Lee Jacocca. La storia del suo successo personale è
già eloquente, ma soprattutto il suo feroce conflitto con Henry
Ford II è denso di significato: tra il rappresentante di una
vecchia dinastia imprenditoriale, appesantito dal nome e dal ruolo,
e il manager duro, grintoso, carismatico, il vero "americano",
quello che incarna i valori più autentici, le ragioni più
profonde della grande industria contemporanea è il figlio del
pizzaiolo napoletano, non il blasonato erede della famiglia che per
tanto tempo era stata sinonimo di automobile, in America e nel mondo.

Nell'America Latina
l'imprenditorialità italiana, alla fine dell'Ottocento, era
già sufficientemente forte da trovare ampio riconoscimento
nelle grandi esposizioni industriali. L'imprenditore bustese Enrico
Dell'Acqua, geniale e fortunato organizzatore del l'esportazione italiana
in America del Sud, è il "principe mercante" di Luigi
Einaudi, quasi il simbolo di una nuova vocazione del Paese ad operare
su scala internazionale. L'esperienza di Dell'Acqua èanche
lo spunto di una grave esortazione: "Il nostro Paese ha bisogno
che i possessori del capitale non ozino, contenti del quattro per
cento fornito dai titoli di consolidato o dai fitti terrieri, garantiti
dal dazio sul grano, ma si avventurino in intraprese utili a loro
e alla nazione intera (...). Finché noi seguiteremo a dare
al mondo, all'interno, l'esempio di uno Stato feroce tassatore e oppressore
di ogni iniziativa privato, di un proletariato miserabile e ignorante
e di classi dirigenti oziose, fastose e timide, e all'esterno lo spettacolo
di una emigrazione povera e vagante apparentemente solo per adempiere
alla funzione economica di fare ribassare il saggio del salari, noi
rimarremo sempre un popolo di malcontenti e di impotenti, malgrado
la lustra di un grande esercito e delle colonie africane".
Il successo di Dell'Acqua assumeva un significato esemplare nell'utopia
einaudiana, sogno di una borghesia demiurgica sprezzante di comode
rendite e di chiusure corporative. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi
se i protagonisti di alcune irresistibili ascese e fortune in Brasile
(Matarazzo, Lunardelli, Borghi, Morganti), in Cile (Perfetto) o in
Uruguay (Pittaluga), rispondessero in tutto al modello ideale delineato
da Einaudi.
In ogni caso, nella fase della prima industrializzazione italiana,
il flusso di risorse imprenditoriali e di forze direttive verso altri
Paesi non viene meno. Il milanese Gaetano Bonelli, singolare figura
di scienziato, inventore, imprenditore, e funzionario dello Stato
sabaudo, (fu Direttore dei Telegrafi elettrici di Torino), raccolse
in Inghilterra i capitali per la costituzione della Bonelli's Electric
Telegraph Company: attraverso questa società diffuse nel Regno
Unito il "tipotelegrafo", un'apparecchiatura per la trasmissione
di caratteri in originale, applicata per la prima volta sulla linea
Manchester-Liverpool, nel 1860.
Prima di lanciare la Società di Prodotti Chimico-Farmaceutici
a Milano, in via Guastalla, nel 1888, Achille Bertelli passa sette
anni in America: a San Francisco investe i suoi capitali nella produzione
e nel commercio del medicinali. Dagli Stati Uniti importa la fabbricazione
della "catramino", un prodotto per la cura delle affezioni
respiratorie, che farà anche le prime fortune della sua impresa
milanese.
Se andiamo a scorrere i profili di emigranti italiani che avevano
sfondato nelle non facili terre di Francia, pubblicati dal giornale
La Patria Italiana, nel 1918, troviamo una costellazione di nomi provenienti
dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, dall'Emilia e da Napoli.
A Nizza, negli anni Trenta, passata da tempo la stagione di Cabiria
e delle prime glorie cinematografiche, Giovanni Pastrone avvia una
qualificata produzione di pistoni e di segmenti, destinata a vetture
di prestazioni elevate. E tra le aree geografiche nelle quali l'imprenditorialità
italiana ha lasciato qualche traccia, non andrebbero dimenticate la
Turchia e l'Egitto.
Nel 1946, Agostino Rocca, fondatore della Finsider con Oscar Sinigaglia,
si trasferisce in Argentina, dopo essere stato prosciolto dall'accusa
di collaborazionismo: crea l'impero sudamericano della Techint, per
poi conquistare posizioni di forza in Europa ed in Estremo Oriente.
Ai tempi del primo accordo Fiat con il governo sovietico (1965-1966),
Piero Savoretti venne definito "un nuovo Marco Polo". Dal
1954, anno in cui aveva varcato la cortina di ferro, Savoretti ha
suscitato, guidato e curato per trent'anni i rapporti delle maggiori
industrie italiane, private e pubbliche, col governo di Mosca.
Ai tempi di Bonifacio VIII, uomini di talento venivano elevati al
rango di quinto elemento dell'universo. E' difficile immaginare come
quel pontefice avrebbe potuto definire gli imprenditori italiani,
del Nord e del Sud, che hanno riempito di ponti, di strade, di dighe,
di edifici, i cinque continenti.
Oggi viviamo in un mondo diverso. I capitali, le informazioni e la
cultura possono circolare senza che gli uomini debbano seguirli fisicamente.
Forse il vero passaggio dal feudalesimo al capitalismo è questo.
Mentre si prospetta la completa apertura delle frontiere europee,
non è certo il caso di agitare il tricolore, meno che mai di
rivestire di panni borghesi il mito della "grande proletaria",
vecchio e sbagliato già nel suo nascere. La storia si ripete
in un senso ideale, soltanto nel pensiero e nella coscienza di chi
guarda al passato e lavora per il futuro, non nella presunta ciclicità
di una storia in cui non accade mai nulla di nuovo. Comunque, come
sempre, buona fortuna, principe mercante!
Italiani nel
mondo
Mercanti, usurai, schiavisti
Costantinopoli
Mercanti di tutte le qualità vengono qui da Babilonia, dalla
Persia, dalle Indie, dall'Egitto, da Chanaan, dalla Russia, dall'Ungheria,
dal paese del Peceneghi e del Khazari, dalla Lombardia e dalla Spagna.
E' una grande città [Costantinopoli] commerciale, dove i mercanti
vengono da tutti i paesi del mondo per mare e per terra; e non c'è
alcun'altra città al mondo che le sia paraganabile salvo Baghdad,
la grande città dell'Islam.
(Dall'Itinerario di Beniamino da Tuleda, XII secolo)
Gerusalemme
Sia noto a tutti che io, Amalrico, conte di Ascalona, per volontà
e sollecitazione del mio fratello e signore Baldovino, re di Gerusalemme,
dono, concedo e confermo a te, Villano, venerabile arcivescovo di
Pisa, insieme con i consoli di detta città e con i Pisani tutti,
la metà di ogni diritto che mi spetta e permetto che i Pisani
possano entrare, uscire, comprare e vendere in Giaffa per terra e
per mare. Dono inoltre ai Pisani una piazza in Giaffa affinché
vi costruiscano case per sé e se ne servano come loro mercato;
concedo ai medesimi un'area per fabbricarvi una chiesa, se il Patriarca
di Gerusalemme lo concede.
(iscrizione nella Chiesa del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, giugno
1157)
Parigi
Nessun "lombardo" o usuraio abituale che possieda documento
di credito nei confronti di persone, la cui scadenza sia passata e
l'abbia conservato dieci anni senza esigere il suo credito, trascorsi
i dieci anni, posso essere udito in qualsiasi cosa e allora il debito
dell'obbligazione sia tenuto per nullo.
(Ordinanza di Filippo IV il Bello, 1307)
Indie occidentali
Nell'anni di nostra Redenzione 1591, alli 20 di maggio, essend'io
di anni 18, mi partii di questa città di Firenze per andare
in Spagna in compagnia ed al servizio di Nicolò Parenti mercante
fiorentino, con il quale mi imbarcai a Livorno sopra il galeone di
Pietro Paolo Vassallo genovese, che arrivò dopo venti giorni
di prospera navicazione in Alicante; del quale luogo noi per terra
andammo a Siviglia, città della provincia d'Andalusia, nella
quale il detto Parenti doveva fare la sua residenza ed io per commandamento
di mio padre restare al suo servizio, per imparare da esso quella
professione di mercante. Di poi, essend'io stato quivi sino all'anno
1593, venne il suddetto mio padre, Antonio Carletti, di Firenze nella
città di Siviglia, dove fece pensiero e risoluzione, per aumentare
le sue facultà, di mandarmi al viaggio di Capo Verde, per quivi
comprare delli schiavi neri, per portarli all'Indie occidentali e
quivi venderli. [ ... ] E perché questi viaggi e navicazioni
dell'Indie non possono farsi d'altri che dalla propria nazione spagnola,
noi come Italiani e forastieri venivamo a cascare in pregiudizio di
perdere tutto l'avere che avessimo messo in un tal negozio, se mai
si fusse saputo essere nostro. Talché, per rimediare a questo
inconveniente, ordinò mio padre che tutto si negoziasse sotto
nome di terza persona, la quale fu la moglie di Cesare Baroncini,
di nazione pisana, maritato in Siviglia; ed a me da esso mi fu dato
procura e piena facultà d'amministrare questo negozio come
suo agente, e poi in secreto si fecero incontra altre scritture che
manifestavano la verità di questo fatto.
(Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo,
1594-1606, "Primo ragionamento dell'Indie cccidentali",
Biblioteca Angelica di Roma, cod. 1331 -T. 3. 22.)
Storia di due
fallimenti
Nel detto anno
1345, nel mese di gennaio, fallirono quelli della compagnia del Bardi,
i quali erano stati i maggiori mercatanti d'Italia e la cagione fu
ch'eglino aveano messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l'altrui
nel Re Edoardo d'Inghilterra e in quello di Sicilia; che si trovarono
i Bardi dovere avere dal Re d'Inghilterra, tra di capitale e di riguardi
e doni promessi per lui, novecentomila fiorini d'oro, e per la sua
guerra con il Re di Francia non li potea pagare, e da quello di Sicilia
doveano avere da centomila fiorini d'oro. E i Peruzzi doveano avere
dal Re d'Inghilterra da seicentomila fiorini d'oro e da quello di
Sicilia da centomila fiorini d'oro [ ... ] onde convenne che fallissono
ai cittadini e forestieri a cui doveano dare solo i Bardi più
di cinquecentocinquantamila fiorini d'oro. Onde molte altre compagnie
minori e singulari persone, che aveano il loro nelle mani del Bardi
e del Peruzzi e degli altri falliti ne rimasono diserti e tali per
questa cagione fallirono. Per lo quale fallimento del Bardi e del
Peruzzi e degli Acciaiuoli e Bonaccorsi e Cocchi e Antellesi e Corsini
e quei da Uzzano Perondoli e più altre piccole compagnie e
singulari artefici che fallirono in questi tempi e prima e per gli
incarichi del Comune e per le disordinate prestanze fatte ai signori
[ ... ] fu alla nostra città di Firenze maggiore ruina e sconfitta,
che nulla mai avesse il nostro Comune, se consideri bene, o lettore,
il dannaggio di tanta perdita di tesoro e pecunia perduta per li nostri
cittadini [ ... ]. I Bardi renderono per patto le loro possessioni
ai loro creditori soldi nove, denari tre per lira, che non tornarono
al giusto mercato soldi sei per lira. I Peruzzi patteggiavano a soldi
quattro per lira in possessione nelle dette de' sopradetti signori
e i miseri creditori diserti e poveri.
(Giovanni Villani, Cronica, XII, 55)
Italiani nel
mondo
E non saranno accoppati come bestie feroci
La grande Proletaria
si è mossa.
Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi
e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre le Alpi e oltre
mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzare terrapieni, a gettar
moli, a scavar carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare
culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale,
a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più
difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile
e perciò più difficile ancora: ad aprire vie nell'inaccessibile,
a costruire città, dove era la selva vergine, a piantar pometi,
agrumeti, vigneti, dove era il deserto; e a pulire scarpe al canto
della strada. Il mondo li aveva presi a apra i lavoratori d'Italia;
e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava
poco e li trattava male e li stranomava: Carcamanos! Gringos! Cincali!
Degos!
Erano diventati un po' come i negri in America, questi connazionali
di colui che la scoprì; e come i negri, ogni tanto erano messi
fuori della legge e della umanità, e si linciavano.
Lontani o vicini alla loro patria, alla patria loro nobilissima su
tutte le altre, che aveva dato i più potenti conquistatori,
i più sapienti civilizzatori, i più profondi pensatori,
i più ispirati poeti, i più meravigliosi artisti, i
più benefici indagatori, scopritori, inventori, del mondo,
lontani o vicini che fossero, queste apre erano costrette a mutar
patria, a rinnegare la nazione, a non essere più d'Italia [
... ].
Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione
bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle
avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente
la nostra isola grande [ ... ]. Là i lavoratori saranno, non
l'apre, mai pagate, mai pregiate, mal nomate, degli stranieri, ma,
nel senso più alto e forte delle parole, agricoltori sul suo,
sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza,
abiurarlo, ma apriranno vie, coltiveranno terre, deriveranno acque,
costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall'immenso
palpito del mare nostro il nostro tricolore.
E non saranno rifiutati, come merce avariata, al primo approdo; e
non saranno espulsi, come masnadieri, alla prima loro protesta; e
non saranno, al primo fallo d'un di loro, braccheggiati, inseguiti,
accoppati tutti, come bestie feroci. Vivranno liberi e sereni su quella
terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta
la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, a ogni tratto
le vestigia dei grandi antenati. Anche là è Roma.
(Giovanni Pascoli, Intervento a favore della spedizione in Libia,
Discorso al teatro di Barga, 25 novembre 1911)