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MEZZOGIORNO E MOVIMENTO CONTADINO
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Il vento del Sud (3) |
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Maria
Rosaria Pascali
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Agli
inizi del '900, si risveglia l'interesse verso la questione meridionale.
L'enorme dislivello creatosi tra Nord e Sud è alla base delle
discussioni parlamentari. Lo sviluppo capitalistico che, nelle aree
settentrionali, ha coinvolto sia l'industria sia l'agricoltura rende
ancora più insopportabile la statica arretratezza delle zone
meridionali. Ma chi vuole veramente porre fine al dualismo? Chi sente
la "questione" come un dramma umano? In altre parole, chi
si interessa della miseria della povera gente unicamente per sottrarla
da quello stato? In generale, nessuno fa niente per niente. E i reietti
vengono presi in considerazione e guardati con spirito umanitario solo
se possono servire a raggiungere i fini delle classi che dominano. La
grande menzogna non ha tempo. Così, la questione meridionale
diventa terreno di disputa di contrastanti interessi che travalicano
il popolo. La massa, con la sua miseria, è utile finché
la si può sfruttare, manovrare, essendo essa numerosa e incapace
di decidere da sola. La massa, con la sua miseria, è utile finché
può servire da copertura, per mascherare la posta in gioco, che
è sempre la conquista o la conservazione del relativo potere.
Chi comprende questo comprende pure che l'intero destino del Mezzogiorno
e delle sue genti è giù segnato. Non devono incantare
quegli esperti oratori che al Parlamento si accendono di fronte ad una
situazione che essi per primi implicitamente appoggiano. Questa categoria
di falsi samaritani sovrasta l'altra, molto più limitata numericamente,
che guarda impotente allo svolgersi della tragedia del Mezzogiorno,
perché sa che la struttura sociale, radice di tutti i mali del
Sud, non cambierò. E le masse resteranno reiette. la rivolta
dal basso è pura utopia se non è guidata da forze illuminate.
Resterà un'utopia visto che tutto è sotto controllo e
quelle forze si sono vendute in cambio di un pezzo di potere. ti silenzio
di quei pochi fedeli meridionalisti, come Fortunato e Salvemini, di
fronte alle retoriche oratorie che in questi anni si succedono alla
Camera è, a tal proposito, significativo.
Agli inizi del 1901, assumono la direzione del governo i due più importanti esponenti della sinistra liberale: Zanardelli, come presidente del Consiglio, e Giolitti, come ministro dell'interno. Si tratta di una vera e propria svolta politica. Il nuovo governo, ponendosi in una posizione neutrale rispetto alle lotte tra capitale e lavoro, mentre attrae la simpatia dei "sovversivi", suscita al tempo stesso l'ira del conservatori, i quali vedono nell'atteggiamento largamente permissivo del nuovo ministero la causa della crescente ondata di scioperi nelle fabbriche e soprattutto nelle campagne del settentrione. Ma la politica finora condotta dall'ala conservatrice si è rivelata un fallimento. A nulla è valso il tentativo sonniniano di imbrigliare il mondo contadino nelle mire dello Stato liberale, attraverso strumenti pacifici, quali il suffragio universale e lo sviluppo della mezzadria. Anche la politica coloniale perseguita dal Crispi si è rivelata una delusione, nonostante le ampie possibilità di far presa sulle masse più miserabili del popolo, soprattutto meridionale. Falliti sono pure i tentativi di contenere la protesta popolare attraverso un regime di repressione armata, che si fonda sugli stati d'assedio e sulle leggi eccezionali. Si delinea, così, la necessità di agire in modo diverso, più sottile, sulle masse popolari. Occorre fingere sensibilità verso i loro problemi, operando anche limitate concessioni. Il tutto per evitare lo scoppio di una protesta incontrollabile, visto lo stato di malessere sociale ormai generalizzato. Con Giolitti, il Mezzogiorno e le sue genti saranno ancora una volta sacrificati in nome dei più vasto interesse nazionale. L'ineluttabilità di questo sacrificio deriva dall'esigenza di attirare nelle aree maggiormente sviluppate quelle risorse economiche e finanziarie necessarie ad assicurare al capitalismo italiano le basi per la sua accumulazione originaria. Scrive Gramsci nei suoi Quaderni del carcere: "Il programma Giolitti o dei liberali democratici è questo: creare nel Nord un blocco "urbano" (capitalisti-operai) che dia la base allo stato protezionista per rafforzare l'industria settentrionale, cui il Mezzogiorno è mercato semicoloniale; il Mezzogiorno è "curato" con due sistemi: sistema poliziesco (repressione implacabile di ogni movimento di massa, stragi periodiche di contadini); nella commemorazione di Giolitti "Spectator" della "Nuova Antologia" si maraviglia che Giolitti si sia sempre strenuamente opposto ad ogni diffusione del socialismo nel Mezzogiorno, mentre la cosa è naturale e ovvia, poiché un protezionismo operaio (riformismo, cooperative, lavori pubblici) è solo possibile se parziale, cioè perché ogni privilegio presuppone del sacrificati; misure politiche: favori personali al ceto del paglietta o pennaioli (impieghi pubblici, permesso di saccheggio delle pubbliche amministrazioni, legislazione ecclesiastica meno rigida che nel Nord, ecc. ecc.), cioè incorporamento a "titolo personale" degli elementi più attivi meridionali nelle classi dirigenti, con particolari privilegi "giudiziari", impiegatizi, ecc., in modo che lo strato che avrebbe dovuto organizzare il malcontento meridionale diventava uno strumento della politica settentrionale, un suo accessorio "poliziesco" ... ". La condanna del l'atteggiamento governativo verso il Sud non deve però far dimenticare le responsabilità gravanti sulla rappresentanza meridionale in Parlamento. I deputati meridionali si pongono di fronte al nuovo orientamento in una posizione nettamente ostile, ma certo non per fini di giustizia sociale. Essi, rappresentando gli interessi della proprietà terriera, non possono accettare alcuna sorta di alleanza con le classi popolari. Il loro fine è dunque quello di conservare il tradizionale status qua. Alle accuse mosse dai conservatori contro la neutralità del governo, Giolitti risponde: "La neutralità del governo è stata da molti proprietari considerata come ostilità contro di loro, e ciò è facilmente spiegabile: per il passato il Governo era intervenuto a favore dei proprietari ed aveva con la sua azione tenuto bassi i salari; questa volta il Governo non essendo intervenuto, siccome l'effetto della sua neutralità fu più favorevole alle classi popolari e portò un aggravio, non grave, ma infine un qualche aggravio alla classe dei proprietari, così essi si sono creduti lesi nei loro interessi. Ma poteva il Governo condursi diversamente?". Evidentemente no, se non si voleva incorrere nell'errore di far coincidere "l'interesse materiale dei proprietari e degli affittuari a tener bassi i salari ... con la causa delle nostre istituzioni politiche"; no, se non si voleva aizzare "le grandi masse popolari d'Italia, che costituiscono la forza maggiore del paese, contro quelle istituzioni che noi, come tutti i conservatori, abbiamo il dovere di difendere". Le agitazioni che il blocco agrario meridionale teme debbano verificarsi nel 1901 scoppieranno invece l'anno successivo e si concentreranno soprattutto in Puglia. Causa immediata di queste proteste è l'aggravamento di una delle tante crisi agrarie che ormai sempre più spesso colpiscono le regioni meridionali. la difficile situazione in cui versa l'agricoltura con il conseguente malcontento delle masse popolari, allarmano la classe dei proprietari. L'opposizione, guidata questa volta dal Salandra, approfitta dell'ostilità del Mezzogiorno verso la politica governativa per presentare, nel dicembre del 1901, una mozione di sfiducia al ministero Zanardelli. Ma l'astuto intervento di Luigi Luzzatti manda in fumo la manovra. Nel suo discorso al Parlamento, parte da un'affermazione impegnativa: "Quale sarà l'avvenire e il destino del Mezzodì, tale sarà l'avvenire e il destino di tutta l'Italia". Affermazione questa che implica "il criterio di dare la precedenza, uditelo bene colleghi del Nord, alle opere del Mezzodì su quelle di altre parti d'Italia più felici e che possono attendere di più". Ma il fine di questo discorso è ben altro che quello di tutelare gli interessi di un Mezzogiorno diseredato. La presunta priorità da assegnare agli interventi nel Sud è contenuta entro limiti molto stretti, dovendo essere per forza di cose subordinata a esigenze di ordine nazionale. Occorre dunque "far prima tutto ciò che è di utilità nazionale, perché questo giova al Nord come al Sud e fare poi pel Sud, in questa graduatoria di opere pubbliche e di riparazioni di credito e di istituti redentori, tutto ciò che è necessario e urgente!". L'imbroglio è evidente e ben congegnato. E' chiaro, infatti, che l'enorme affermazione di partenza ben poco conserva di notevole nella sua applicazione pratica. Di concreto, nei riguardi del Mezzogiorno, c'è solo l'impegno per l'industrializzazione di Napoli e la creazione di un sistema di ferrovie di collegamento con il Sempione, nonché il progetto di costruzione dell'acquedotto pugliese. Il problema fondamentale, il problema della terra, è volutamente messo da parte dal parlamentare, per non entrare in contrasto con la potente proprietà meridionale, promotrice del dibattito e schierata su una posizione nettamente ostile al governo. Concluso il discorso di Luzzatti, è la volta del politico pugliese Antonio Salandra, interprete degli interessi della suddetta classe di proprietari. Egli, dopo aver smentito l'accusa di antiministeriaIismo rivoltagli dai giolittiani - "A nessuno può venire in mente che a noi piaccia ostentare al sole le miserie dei nostri paesi per creare imbarazzi di Governo, o per tentare di conquistare, per vie traverse, qualche brandello di potere" -, lancia severi ammonimenti verso la classe dirigente dicendo che "la questione del Mezzogiorno non è esclusivamente economica, ma è soprattutto economica" e che "fino a quando le condizioni del Mezzogiorno e delle isole rimarranno quelle che sono, cioè dove di mortifero ristagno, dove di squilibrio acuto seguìto a tentativi e a scatti di coraggiose energie produttive, dove di vera e propria decadenza, non vi è possibilità di riscossa, neanche negli ordini più elevati della politica, dei l'amministrazione, della morale". è evidente la parzialità di una tale impostazione che, certo, non va in favore delle classi più misere del Mezzogiorno. Puntando l'attenzione sulla struttura economica quale elemento chiave da cui dipende ogni altra attività, sia essa politica, amministrativa o morale, si liberano dalle responsabilità politici e amministratori che l'arretratezza meridionale gestiscono nell'interesse delle classi dominanti e che nel perpetuarsi degli infiniti vincoli e dei tradizionali rapporti economici e sociali vedono l'unico mezzo per conservare il loro potere. Ma Salandra è ben cosciente delle gravi ripercussioni che può avere un sia pur minimo mutamento nella struttura sociale del meridione. Basta poco, infatti, per far saltare in aria il già instabile equilibrio ottenuto con mezzi illeciti e oppressivi. Smascherando le mille contraddizioni esistenti, le tensioni potrebbero sfociare in un'incontenibile protesta. E, a questo punto, non si tratterebbe più di adottare misure sporadiche e transitorie: sarebbe necessario rivoluzionare l'intero regime, abbattere tutti i vincoli, rendere libera la massa. Nell'affermare l'importanza del ruolo svolto dalla proprietà fondiaria, Salandra cerca di attirarsi anche le simpatie del viticultori, nonostante le evidenti difficoltà di conciliare i loro interessi con quelli, maggiormente protetti, del cerealicultori. A tal fine, invita il governo "a non fare trattato con l'Austria-Ungheria se esso non contenga ... delle condizioni che diano fondata speranza di vedere proseguita la nostra esportazione vinaria in Austria", poiché "fuori di questi patti ... non è possibile che le nostre popolazioni accettino di buon animo, dirò di più, che accettino senza vivissimo risentimento e starei per dire ribellione, una convenzione qualsiasi con l'Austria-Ungheria". Salandra guarda pure con favore ai provvedimenti sollecitati dal collega e rivale Luzzatti, riguardanti l'industrializzazione di Napoli, la costruzione di ferrovie di collegamento tra Napoli e Roma, la realizzazione dell'acquedotto pugliese. Incita, inoltre, i deputati settentrionali a recarsi personalmente nelle regioni meridionali, per prendere atto delle condizioni desolanti in cui versano quelle aree. L'invito è accolto da Zanardelli che l'anno successivo si recherà in Basilicata. Nel frattempo, il presidente del Consiglio dà avvio alla pratica attuazione elle tre maggiori proposte sopra ricordate. Con questi parziali risultati si conclude così un dibattito tormentato che ha visto chiusi nel silenzio i due maggiori esponenti del meridionalismo italiano, Fortunato e Ciccotti, i quali sanno che non bastano i "contentini" per sanare una questione molto più profonda di quanto si voglia far credere. Il meridione è malato alla base. Ma proprio quelle strutture arretrate non si vogliono abbattere. Il tutto per perpetuare un regime di sopraffazione comodo a molti, comodo pure all'"interesse nazionale". Antonio de Viti de Marco, in occasione del rinnovo dei trattati commerciali, avvia una campagna propagandistica contro la tariffa del 1887 e contro il protezionismo industriale. Il suo intento è quello di estendere a tutto il Mezzogiorno l'agitazione sorta in Puglia per i trattati. Agitazione che, qualora resti nei confini regionali, rischia di ridursi alla sola rivendicazione del rinnovo della clausola del vino con l'Austria - Ungheria. Ma si tratta di una battaglia persa in partenza, dato che essa pretende di scontrarsi con l'ormai delineato assetto capitalistico italiano, che si basa sulla trasformazione industriale delle regioni settentrionali. Tanto più che la proposta del de Viti punta sulla costituzione di un blocco uniforme del Sud agricolo contro il Nord industriale. L'erroneità di questo eccessivo schematismo è messa in risalto da Salvemini, il quale spiega che non si può "parlare di un Sud astratto, come se la popolazione meridionale sia un blocco omogeneo e compatto e come se tutti i meridionali siano egualmente oppressi dall'attuale orientamento politico. Quando si discute della cosiddetta Italia meridionale, bisogna sempre distinguere se si parla dei latifondisti o dei minuti borghesi o delle plebi rurali; perché quel che si dice degli uni non è in alcun modo applicabile agli altri, e viceversa" ... Quindi, "non vi è lotta fra Nord e Sud; vi è lotta fra le masse del Sud e i reazionari del Sud; vi è lotta fra le masse del Nord e i reazionari del Nord; e come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme per opprimere le masse del Nord e del Sud, così le masse delle due sezioni del nostro paese debbono unirsi per sconfiggere a fuochi incrociati la reazione ... " (G. Salvemini, La questione meridionale e il federalismo). Ma, oltre alla critica avanzata da Salvemini, il tentativo di de Viti de Marco di trasformare una semplice agitazione regionale in una lotta che veda tutti gli agricoltori meridionali schierati contro la tariffa protezionistica è destinato a fallire per un altro importante motivo. La classe direttamente interessata a condurre la lotta è quella dei proprietari di colture pregiate di esportazione. A questa classe spetterebbe il compito di guidare l'intero movimento di protesta. Da qui la debolezza del progetto, che non può contare su un numero elevato di aderenze, visto che la maggior parte dei proprietari meridionali sono cerealicultori super-protetti. Scrive Francesco Barbagallo in Stato, Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno: " ... non si poteva pensare che la massa dei proprietari meridionali - ampiamente cointeressata ai destini della cerealicoltura e priva di particolari convinzioni economiche - si gettasse in una battaglia contro il protezionismo, che era agrario oltre che industriale, per tutelare un interesse al l'esportazione, che costituiva un aspetto soltanto parziale dei più ampi e prevalenti interessi della proprietà meridionale". Non è dunque nel campo doganale che si può avere la solidarietà e l'aggregazione dell'intera proprietà meridionale. Argomento, invece, sul quale tutti si trovano d'accordo è il ridimensionamento dell'imposta fondiaria, ritenuta la causa più grave del l'inasprimento delle crisi agricole nel Sud. Ed è su questo terreno che batte Sonnino quando, nel 1902, propone il dimezzamento dell'imposta erariale sui terreni nel Mezzogiorno. La proposta ottiene, infatti, il pieno consenso in tutte le province meridionali. Ma è davvero l'imposta fondiaria la ragione determinante delle crisi nell'agricoltura? la critica di Salvemini è, a questo proposito, significativa: "Le riforme proposte dall'onorevole Sonnino ... hanno l'intento di salvar dalla rovina e consolidare la proprietà latifondista, causa prima dei mali meridionali, laddove la soluzione del problema meridionale deve ricercarsi nel disfacimento e nella espropriazione della proprietà latifondista per opera dei liberi coltivatori ... " (G. Salvemini, Un programma per i socialisti del Sud). Di certo, la perequazione fondiaria è un provvedimento scomodo per tutti quei proprietari che, a dirla con il Carocci, sono in possesso di "cospicui beni non censiti, quali terre demaniali, di cui si sono indebitamente appropriati"; nonché per coloro che vogliono evitare di essere colpiti da una più forte tassazione, proporzionalmente agli elevati introiti conseguiti negli anni '70. Ma queste motivazioni esulano dall'interesse del popolo meridionale. Ed è ancora Salvemini a rilevarlo, rispondendo così a chi, come il de Viti de Marco, vede nella riduzione dell'imposta un "fatto di giustizia" sociale, oltre che economica: "Di ingiustizie ce ne sono a migliaia e se dovessimo lasciarci guidare dalla sola giustizia bisognerebbe riparare alle ingiustizie di cui son vittime i proletari, prima di pensare alle ingiustizie di cui son vittime i proprietari". Un'ulteriore conferma ci è data dall'avversione degli agrari meridionali alla seconda parte del programma esposto dal Sonnino. Anche il deputato, infatti, comprende che non è sufficiente ridurre la tariffa fiscale per superare le difficoltà che attraversa il mondo agricolo; ma quel provvedimento deve essere integrato con lo scioglimento, o almeno con l'allentamento, di alcuni di quei vincoli oppressivi che tengono legati i contadini alla terra. La sua seconda proposta è, infatti, quella di "regolare con un largo concetto umanitario e col sentimento della intima solidarietà che deve esistere tra i vari fattori della produzione agricola, diversi patti agrari relativi alle anticipazioni delle sementa e del cosiddetti soccorsi, ai compensi per le migliorie recate al fondo ... ". Nel 1903, Giolitti diventa presidente del Consiglio proprio grazie all'appoggio di quella deputazione meridionale che nel 1901 gli si era schierata contro. In questi anni, infatti, il comportamento governativo ha fatto cadere la paura di imminenti trasformazioni sociali, propria degli agrari e causa primaria del comportamento antiministeriale da essi assunto. Ne segue un rapporto di fiducia tra governo e rappresentanza meridionale basato, appunto, sulla promessa del mantenimento nel Sud dei tradizionali assetti sociali e politici. Non dimentichiamo poi la capacità dei Giolitti di imbrigliare con astute manovre e laute ricompense quegli elementi meridionali che a lui rimanevano pericolosamente ostili. Gli "ascari" giolittiani diventano così una schiera compatta e fedele agli ordini del governo. Poco hanno a che spartire con la loro terra d'origine. L'unico ministro veramente legato alla causa meridionale, Rosano, muore suicida. La sua scomparsa scatena in Scarfoglio una smania separatista contro tutta la borghesia settentrionale, che non risparmia né radicali né socialisti. Così si esprime su Il Mattino del 13 novembre 1903: "Nulla ci lega più a questo Stato, nutrito del nostro miglior sangue ... Il vincolo della solidarietà nazionale è infranto per noi: noi siamo quelli che debbono perire. E per affrettarci l'agonia, i nostri fratelli d'Italia ci hanno scatenato contro la masnada socialista, che si è gittata sopra di noi con la bocca piena di fango e col cuore riboccante di odio micidiale. Non è questa una vera e propria guerra civile? Non è guerra civile la distruzione di tutta una parte d'Italia per la ricchezza delle altre? E' uno stato vero e proprio di guerra guerreggiata quello in cui viviamo: guerreggiata contro una masnada di pecore che non reagisce, che china la testa sotto il coltello fraterno, e si lascia placidamente scannare". Ma lo sdegno di Scarfoglio, pur provocando paure e agitazioni a livello governativo, non riesce a smuovere le acque. Tutto è sotto controllo. Gli interessi delle classi dominanti sono tutelati. Non ha nessuna importanza che essi non coincidano propriamente con quelli del Mezzogiorno tagliato fuori dalla storia. La sua arretratezza èla chiave del potere. Donchisciottesco appare il tentativo di de Viti de Marco di proporre una soluzione alternativa al nuovo indirizzo del governo. Come sappiamo, infatti, egli è convinto che la riforma, quella vera, stia in una totale trasformazione del sistema fiscale e della politica doganale. Si oppone così alle "elargizioni elemosiniere" e clientelari proprie della legislazione speciale e dell'intero programma di spese per lavori pubblici architettati "a favore" del Mezzogiorno: "E' ... un errore di considerare il Mezzogiorno come un paese isolato, di considerare il problema meridionale in se stesso, staccandolo dall'insieme della politica italiana, perché i mali del Mezzogiorno sono anzitutto il risultato della politica generale dello Stato; quindi non posso adagiarmi al facile concetto che questi mali vadano studiati in se stessi, e che possano trovare adeguati rimedi in specifici regionali. la questione meridionale non deve essere un peso nella politica italiana, bensì un incitamento a mutarne l'indirizzo generale". Ma la posta in gioco è troppo alta. E Giolitti non può rischiare di perdere quel controllo sulla rappresentanza meridionale così astutamente conquistato. Si dà quindi inizio all'attuazione pratica delle leggi speciali ed è la Basilicata la prima ad usufruirne. Si tratta di provvedimenti che vengono però rivendicati anche da altre regioni, principalmente dalla Calabria, le cui condizioni sono di certo "non meno lagrimevoli della Basilicata". Al contrario di Zanardelli, Giolitti si dimostra pronto "ad estendere l'applicazione ad altre Provincie le quali si trovino in condizioni analoghe". Di fronte alle pressanti richieste del Chimirri di realizzare in tutto il Mezzogiorno azioni di carattere generale, Giolitti, da esperto stratega, tronca la controversia sostenendo la "necessità di estendere gradatamente, secondo il criterio del maggior bisogno e compatibilmente con la disponibilità del bilancio, alle Provincie che si trovano in condizioni analoghe a quelle della Basilicata le disposizioni contenute nel presente disegno di legge". Risposta questa che suscita l'ira del Sonnino, per il suo chiaro intento non di risolvere i mali del Mezzogiorno, bensì di consolidare il patto di solidarietà instaurato con la deputazione meridionale. La rabbia del Sonnino, il cui sogno resta sempre quello di realizzare un equo rapporto tra proprietari e contadini meridionali, sarebbe sfociata in una spietata critica all'indirizzo governativo, accusato di aver predisposto tutto "a vantaggio delle classi possidenti, con sollievo di tributi, concorsi a lavori, aiuti al credito e facilitazioni diverse ... e nulla ... pel contadino meridionale". In effetti, la politica delle leggi speciali ha semplicemente rafforzato, nel Mezzogiorno, la posizione dei proprietari. Le masse, invece, non usufruiscono di alcun vantaggio, anzi restano completamente isolate. I loro moti di protesta sono tempestivamente soppressi dalle forze dell'ordine. La loro unica via d'uscita resta l'emigrazione. AGITAZIONI PUGLIESI NEI PREMI ANNI DEL'900 La Puglia è l'unica regione del Meridione nella quale nascono moderne forme di organizzazione e di lotta del movimento contadino. La dura repressione attuata dal generale Pelloux durante la "crisi di fine secolo" non ha annientato le forze democratiche della regione, le quali nel periodo giolittiano si riorganizzano e danno vita ad un vasto movimento rivoluzionario. I socialisti pugliesi comprendono finalmente che, affinché la loro azione abbia successo, è necessario cointeressare il mondo contadino. Nascono così le prime leghe. Nel 1902 viene creata la Federazione dei Lavoratori della Terra. Seguono scioperi e lotte bracciantili, che si concentrano soprattutto in Terra di Bari e in Capitanata. Nonostante i suoi sforzi, il socialismo pugliese non riesce però a contenere la frattura tra il movimento contadino e il socialismo delle città. Leghe da una parte e circoli culturali ed elettorali dall'altra continuano a vivere esperienze separate, indebolendo il potere del movimento stesso. L'avvento del governo liberale non muta l'atteggiamento repressivo nei confronti delle agitazioni. Anzi, con Giolitti, la Puglia diventa terreno di eccidi sanguinosi. Quello di Candela del 1902 è il primo di una lunga serie. Da parte loro, gli agrari vogliono che nulla sia concesso alle classi subalterne. Anche il progetto di realizzazione dell'acquedotto pugliese, potendo alimentare una politica di irrigazione delle campagne, trova la loro opposizione. Scrive Luigi Masella in un suo saggio sull'economia e la società pugliese dall'Unità alla la guerra mondiale: " ... Ciò infatti avrebbe significato non solo il soddisfacimento della storica sete della gente di Puglia, ma anche e soprattutto una sollecitazione pressante a una trasformazione effettiva dell'assetto produttivo e colturale delle grandi aziende latifondistiche. Gli agrari pugliesi accettarono così l'acqua ai primi anni del Novecento solo quando il progettato acquedotto si limitò a portare l'acqua nei centri abitati, lasciando insoluto la questione dell'irrigazione del campi, motivo di future grandi lotte del movimento bracciantile e contadino". OCCUPAZIONE DELLE TERRE NEL BASSO SALENTO (1900-1906) L'occupazione delle terre è considerata dalle forze dell'ordine un atto di violenza. Il giudizio si adegua perfettamente alla visione che prefetti, sindaci e amministratori, al pari dei proprietari terrieri, hanno nei riguardi delle proteste contadine. La fame, unico vero motivo di malcontento, non è considerata tanto importante da giustificare azioni "sovversive". E' così che, invece di guardare al latifondo, alla miseria, all'indifferenza degli agrari come alle sole cause delle rivolte sociali, si preferisce trovare un capro espiatorio nella figura del "sobillatore". Eliminato questo elemento aizzatore ogni protesta sarebbe stata facilmente domata. I fatti di
Presicce del 1900 I fatti di
Galatina e di Maglie del 1903 L'eccidio di
Taurisano I fatti di
Maglie, Muro e Scorrano del 1906
LE AGITAZIONI PUGLIESI NEL 1907 Nel 1907, le agitazioni in Puglia si inaspriscono. Le leghe contadine raccolgono un numero enorme di associati, decisi a far valere le loro richieste di aumenti salariali, di riduzioni dell'orario di lavoro e di costituzione di uffici di collocamento. Queste crescenti "pretese" del movimento bracciantile sono ritenute "il frutto del a propaganda socialista fatta a scopo politico senza coscienza e senza la necessaria conoscenza delle vere condizioni in cui agisce da vari lustri la nostra agricoltura" (da L'Agricoltore Pugliese). Le prime pesanti agitazioni si verificano in Capitanata e soprattutto a San Severo, dove uno sciopero di diecimila contadini riesce a tener testa alla controffensiva padronale. Poi è la volta della Terra di Bari, dove le sommosse assumono forme talmente simili a quelle sorte nella Capitanata da far credere di essere di fronte ad azioni unitarie e predeterminate. l'ondata di protesta non risparmia neppure Terra d'Otranto, dove gli scioperanti bloccano tutti coloro che tentano di recarsi ai posti di lavoro. Ma è in settembre che le agitazioni' agrarie esplodono in tutta la loro violenza. E' il periodo della vendemmia. I proprietari preferiscono ingaggiare "forestieri", mentre gli iscritti alle leghe restano disoccupati. Essi, inoltre, non tengono fede alle tariffe già concordate al tempo della mietitura. Inizia così una nuova catena di scioperi. Quello di Corato termina con l'uccisione di un contadino e il ferimento di altri cinque. La popolazione è inferocita. Si ripetono gli incidenti con le forze dell'ordine. Finalmente, la federazione agraria si decide ad aumentare i salari e a riconoscere l'ufficio di collocamento. Il 23 settembre scoppia uno sciopero generale a Cerignola. Il paese è immediatamente presidiato dall'esercito e dalla polizia. Anche qui, comunque, la lega contadina e la federazione agraria giungono ad un accordo. Si tratta, per il mondo contadino, di grandi conquiste. Tanto più che esso è solo e da solo si trova ad affrontare un temibile avversario, che ormai coincide con il governo stesso. Anche il partito socialista si distacca dal movimento contadino e dalle sue manifestazioni, considerate "una fase primitiva di lotta sociale ... la preistoria del socialismo". E finisce per appoggiare la stessa politica governativa. A Torremaggiore si consuma lo scontro decisivo. li 2 novembre, uno sciopero provoca l'intervento delle forze dell'ordine. Una contadina resta uccisa. la morte della donna, incinta di sei mesi, accende di rabbia l'intera popolazione. Il 3 novembre, San Severo entra in sciopero. L'ondata reazionaria minaccia di estendersi a Foggia, Lucera, Cerignola, e via via a tutti gli altri Comuni della Capitanata, se non si procede all'arresto immediato del carabiniere che ha sparato sulla donna. Ma mai come in questa occasione Giolitti svela tutta la sua ostilità verso i contadini e appare così fermamente deciso a non cedere alle loro "assurde" richieste. Studia quindi un piano per indebolire le leghe, privandole dei suoi uomini più attivi. Il sei novembre arriva, infatti, un dispaccio al prefetto di Foggia, in cui c'è abbastanza per trasformare le leghe in un'"associazione a delinquere" e il conflitto tra capitale e lavoro in un "gravissimo delitto comune". Non resta che, conclude Giolitti, "procedere di concerto con l'autorità giudiziaria ad accertamento e arresto di tutti quelli che appartengono a quella lega (di Torremaggiore) che costituisce una pericolosa associazione di malfattori. E' necessario un clamoroso esempio se si vuoi ristabilire la pace sociale in cotesta provincia". I maggiori dirigenti delle leghe vengono posti così fuori legge. Molti di loro sono arrestati. Altri riescono a sfuggire alla cattura. Per tenere sotto controllo la situazione, il consiglio comunale di Torremaggiore chiede al governo che nel paese sia predisposto un presidio con almeno cento soldati di truppa. Ma la partito è ancora aperta. Il braccio di ferro imposto da Giolitti per annientare la reazione produce l'effetto opposto di rafforzare le organizzazioni contadine. Il 16 novembre viene proclamato un nuovo sciopero generale: si chiede la liberazione dei dirigenti detenuti. Questa volta la richiesta viene esaudita e il giorno successivo gli uomini vengono scarcerati. (fine terza parte) |
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