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L'INCHIESTA
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L'ITALIA DEI SALVADANAI |
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Dario
Giustizieri, Lucio Tartaro, V.A. Stagno
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L'interpretazione
più convincente della crisi che ha colpito l'economia mondiale
nella prima parte degli Anni Settanta, e che tuttora perdura, è
quella di una fase di transizione da un vecchio a un nuovo modello di
sviluppo. Il vecchio modello si è ormai logorato per molti aspetti:
prodotti e modi di produrre obsoleti, rapporti non razionali tra nazioni
e tra parti sociali, e, soprattutto, politiche economiche che hanno paurosamente
perso la loro efficacia. E' normale che nelle fasi di transizione, in questo ciclo pluridecennale fatto di innovazioni e di ritardi, emergano gravi difficoltà: perché nella transizione i costi sono molti e devono essere pagati subito, mentre i benefici sono incerti e in larga parte dilazionati. La saldatura tra i costi oggi ed i ricavi domani è, almeno fino ad un certo punto, compito qualificante del sistema finanziario; ma è anche, necessariamente, obiettivo primario della politica economica. Appare ragionevole, dunque, ritenere che per il resto degli Anni Ottanta la domanda totale di finanziamenti - in Italia e negli altri Paesi ad economia prevalentemente di mercato - si manterrà potenzialmente molto elevata. Sarà una domanda in vista di tre grandi gruppi di destinazioni dei finanziamenti: a) investimenti presso le imprese; b) investimenti all'esterno delle imprese; c) altri impieghi che non lasciano controvalori reali. Gli investimenti presso le imprese sono: produttivi in senso stretto; solo parzialmente produttivi; legati ad esigenze sociali. Le necessità di investimenti strettamente produttivi (ivi comprese le costruzioni utilizzate nel terziario privato) spazieranno dall'ammodernamento e dalla razionalizzazione degli impianti già esistenti all'ampliamento, o al cambiamento radicale, degli impianti anche con operazioni di rilocalizzazione; dalle spese di ricerca scientifica ed applicata, e per lo sviluppo, agli investimenti nel capitale umano. Questi ultimi, ovviamente, dovranno rientrare pure nell'impegno delle famiglie e del settore pubblico. Gli investimenti meno direttamente produttivi consisteranno, tra l'altro, in razionalizzazioni amministrative, nel lancio di nuovi prodotti e nella creazione o consolidamento delle reti di vendita e di assistenza, e nell'acquisizione di partecipazioni strategicamente rilevanti in altre imprese. Non dimentichiamo poi l'immobilizzo (crescente a causa dell'inflazione e, talora, di situazioni di mercato difficili) nel magazzino e nei crediti ai clienti: anche se alcune di queste voci (partecipazioni, crediti a clienti) trovano ovviamente compensazione all'interno del sistema delle imprese. In aggiunta a tutto ciò, le imprese devono investire anche per rispondere ad esigenze sociali: la tutela dell'ambiente, il perfezionamento della sicurezza nelle lavorazioni, il miglioramento dei posti di lavoro. Infine, imprese con un autofinanziamento ridotto e già fortemente indebitate, in presenza di un costo del denaro gonfiato dall'inflazione e da discutibili politiche economiche e finanziarie, molto spesso devono ricorrere al finanziamento esterno anche per coprire gli interessi dei debiti precedenti. Lo stesso vale, a maggior ragione, per il settore pubblico. Gli investimenti all'esterno delle imprese rientrano in due categorie. Da un lato, abbiamo il fabbisogno di edilizia residenziale: prime case ad uso del proprietario, varie forme di edilizia pubblica, abitazioni da dare in locazione, seconde case per le vacanze. Dall'altro lato, troviamo le opere pubbliche e di pubblica utilità: le quali vanno dai grandi interventi (ad esempio nelle reti di comunicazione o nell'opera di riassetto idrogeologico del territorio), fino ai non meno importanti investimenti per l'ammodernamento dello strumentarlo delle pubbliche amministrazioni. Gli impieghi di finanziamenti che non lasciano controvalori reali, infine, sono quelli a copertura dei disavanzi correnti del settore pubblico, e delle perdite di altri operatori, imprese in particolar modo. Può essere discussa l'appartenenza a questa categoria degli acquisti di beni-rifugio non produttivi, che comunque, in dati periodi, possono assorbire quote non trascurabili di disponibilità finanziarie orientate verso l'investimento: ciò, sia se i beni acquistati sono di nuova produzione sia se esistono già, perché in quest'ultimo caso chi compra pensa di investire e chi vende può desiderare un maggiore consumo. Di fronte ad una probabile, imponente domanda di finanziamenti, è evidente che la prima risposta - da parte del sistema economico, ma anche da parte della politica economica che lo indirizza - deve essere quella di stimolare e sostenere decisamente la formazione del risparmio. La forma di risparmio migliore sarebbe, con ogni probabilità, quella dell'autofinanziamento presso gli utilizzatori finali, imprese ed amministrazioni pubbliche. Ma, se trascuriamo gli ammortamenti (che in prima approssimazione servono per sostituire il capitale fisico, non per aumentarlo), sembra realistico ritenere che per il resto degli Anni Ottanta il risparmio netto proverrà ancora prevalentemente dalle famiglie: è dunque ai comportamenti e alle esigenze dei risparmiatori che sarà necessario dedicare grande attenzione e altrettanto grandi cure. Sostenere il risparmio, però, non basta. Occorre anche evitare di sprecarlo, e cercare di indirizzarlo verso gli impieghi economicamente e socialmente più produttivi. Per questo, dovrà essere superato il metodo di ricorrere a "sistemazioni" meramente finanziarie di problemi - siano essi aziendali o pubblici - di cui non si vogliono o non si sanno affrontare le cause reali. Proprio questo tipo di deviazione del sistema finanziario si è ormai trasformato da effetto della crisi economica a fattore della sua perpetuazione. Gli sprechi - lo abbiamo constatato e non dobbiamo dimenticarlo - possono nascondersi pure sotto le etichette degli investimenti aziendali e delle opere pubbliche. La costruzione del nuovo modello di sviluppo impone di scegliere anche tra gli investimenti. Non è più possibile offrire o stanziare finanziamenti massicci, magari a condizioni agevolate, per realizzare investimenti purchessia. Occorre una garanzia di adeguatezza alle necessità di questa fase storica; occorrono prospettive di sufficiente redditività economica o sociale. Occorre, dunque, efficienza produttiva presso chi riceve i finanziamenti, ed efficienza allocativa presso chi decide chi finanziare. La selezione di partenza, appunto, spetta in larga parte al sistema finanziario. Ecco perché, pur attribuendo la massima importanza all'investimento come strumento per rilanciare durevolmente lo sviluppo, e al risparmio come condizione necessaria per l'investimento, dovremo dedicare molta attenzione ai problemi specifici del sistema finanziario, divenuto un intermediario fondamentale tra risparmiatori ed investitori. Da diversi anni le banche italiane stanno attraversando una fase complessa, che si caratterizza soprattutto per le pronunciate oscillazioni nella crescita dimensionale, le sensibili modifiche di struttura dell'attivo e del passivo, un intenso processo di innovazione finanziaria, l'erosione del ruolo che un tempo era tipico dell'attività bancaria, e cioè quello di guidare l'allocazione delle risorse. CRESCITA DIMENSIONALE. Fino al 1978, il
sistema bancario italiano aveva vissuto una lunga stagione di impetuosa
crescita delle dimensioni, con tassi annui di incremento dei depositi
ben superiori a quelli del reddito nazionale nominale e dell'insieme
delle attività finanziarie dell'economia. I depositi bancari,
che rappresentavano circa un quarto delle attività finanziarie
delle famiglie all'inizio degli Anni Sessanta, toccavano il 55 per cento
a fine 1977. E' poi venuta una fase, anticipata fin dal 1976 da qualche
grande banca, caratterizzata dalla "disintermediazione". Le
singole banche hanno assegnato maggiore peso agli obiettivi di conto
economico rispetto a quelli puramente dimensionali. A loro volta, i
vincoli amministrativi sull'attivo, introdotti già nel 1973 e
in seguito intensificati, hanno avuto l'effetto di abbassare, a parità
di altre condizioni, il rendimento medio effettivo ottenibile dagli
incrementi di raccolta, e perciò hanno indotto le banche a moderare
la crescita dei depositi, sia mediante la corresponsione di tassi passivi
relativamente più bassi, sia mediante una politica della "consulenza
allo sportello" più benevola nei confronti di strumenti
alternativi, i Bot in primo luogo. MODIFICHE Di STRUTTURA. Sottese alle fasi alterne della crescita dimensionale, si sono manifestate in questi anni importanti modifiche di struttura nell'attivo e nel passivo delle banche. Nei limiti di spazio di questa inchiesta, sarà sufficiente richiamare: il crescente ruolo di "intermediario nell'importazione di valuta" (con la crescita della raccolta all'estero sul totale della raccolta e degli impieghi in valuta sull'interno sul totale degli impieghi); il peso crescente, sul totale dell'attivo, delle attività detenute in virtù di vincoli diretti (riserva obbligatoria e vincolo di portafoglio) e indiretti, dato il massimale sugli impieghi (titoli, soprattutto di Stato); la destinazione di quote sempre maggiori, nell'ambito degli impieghi totali pur in relativa flessione, alle imprese private di medie e piccole dimensioni, con la correlativa diminuzione di quota delle imprese pubbliche e delle maggiori imprese private; l'aumento percentuale, malgrado la ricomposizione descritta, delle sofferenze sul totale degli impieghi. INNOVAZIONE FINANZIARIA. Come negli altri Paesi, anche se forse in misura inferiore ad alcuni di essi, si è sviluppato un significativo processo di innovazione finanziaria, nel duplice senso dei processi produttivi (impiego di tecnologie più avanzate) e dei prodotti (salita di quota, e diversificazione, dei servizi bancari rispetto alla tradizionale intermediazione o "gestione denaro"; sviluppo, anche da parte delle banche, dei cosiddetti servizi parabancari). Si può probabilmente affermare che il sistema dei vincoli amministrativi ha concorso a rendere meno veloce la innovazione dei processi, contenendo l'impulso concorrenziale; è più veloce invece l'innovazione dei prodotti, sommando ad una componente fisiologica di innovazione dei servizi una certa componente ulteriore di ricerca di forme e di circuiti nuovi di finanziamento come elusione dei vincoli gravanti sui circuiti più tradizionali. ALLOCAZIONE DELLE RISORSE. Nel complesso, come
sopra accennato e come argomentato in più sedi, si è in
qualche modo ridotto il ruolo delle banche come soggetti delle decisioni
circa l'allocazione delle risorse finanziarie. In termini icastici,
ma non troppo irrealistici, si potrebbe dire che vi è stata,
probabilmente senza un disegno preordinato, una qualche inversione di
ruoli. Lo Stato, con l'espansione dei trasferimenti alle imprese, svolge
di fatto sempre più il ruolo di "banchiere occulto".
Il sistema bancario, soggetto ai vincoli amministrativi, svolge di fatto
sempre più le funzioni di "esattore occulto", (l'"imposta
essendo costituita, com'è ormai noto, dalla minore remunerazione
del risparmio e dal maggiore costo del denaro alle imprese, che conseguono
dai vincoli). E' un'inversione dei ruoli che genera benefici in termini
di consenso alla classe politica, poiché gran parte dei trasferimenti
alle imprese permette il mantenimento delle imprese e di posti di lavoro
fuori mercato e il mantenimento di prezzi politici; il che espone il
sistema bancario al biasimo della pubblica opinione, la quale spesso
"valuta" il costo dell'intermediazione bancaria come se delle
imposte occulte le banche fossero non esattori, ma percettori finali. MODALITA' DI CONDUZIONE DELLA POLITICA MONETARIA. Dopo dieci anni di politica monetaria condotta prevalentemente mediante i vincoli amministrativi, la speranza delle banche di riacquisire un maggior ruolo nell'allocazione delle risorse e la speranza dell'economia di vedere il sistema bancario sottoposto ad una maggiore concorrenza, e perciò costretto ad una maggiore efficienza tecnico-operativa, sono legate alla piena attuazione della manovra iniziata dal Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio il 23 dicembre scorso. Maggiori pressioni per il controllo della finanza pubblica e maggiori probabilità di vedere lo sviluppo di un sistema creditizio più efficiente discenderanno dall'effettiva eliminazione del massimale sugli impieghi, sull'aumento del rendimento della riserva obbligatoria, dall'eliminazione del vincolo di portafoglio. CONTROLLI "STRUTTURALI". Rilevante sarà anche l'evoluzione che assumeranno i controlli sulla struttura del sistema bancario. Per quanto riguarda i "controlli all'entrata", riguardanti l'apertura di sportelli, la costituzione di nuove aziende di credito, lo stabilimento in Italia di aziende di credito estere, non sembra che sarà possibile evitare ancora a lungo l'applicazione delle direttive della CEE. PREVENZIONE E GESTIONE DELLE SITUAZIONI Di CRISI. Certamente, un sistema bancario reso più concorrenziale dall'eliminazione dei vincoli amministrativi e da una maggiore apertura tenderà ad essere più efficiente, ma potrebbe essere più esposto sul piano della stabilità (sebbene casi di crisi non siano mancati negli ultimi anni, pur in regime più vincolistico, di quello qui ipotizzato). Ma il potenziale rischio di maggiore instabilità si può ovviare in vari modi: evitando di muovere verso un regime nel quale le banche siano autorizzate ad acquisire capitale proprio delle imprese; disciplinando in funzione della raccolta a termine le eventuali possibilità di impiego al di là del breve termine; favorendo gli accantonamenti a fronte dei rischi interni e internazionali; considerando attivamente l'ipotesi di istituire un sistema di assicurazione dei depositi bancari (esplicito, limitato e a carico degli interessati), in sostituzione degli interventi di salvataggio finora effettuati (che equivalgono di fatto ad un sistema di assicurazione non esplicito, illimitato e a carico della collettività). TASSI DI INTERESSE. Vi è infine
un comparto, sottoposto all'attenzione ormai quotidiana, che forse richiede
da parte della comunità dei banchieri qualche maggiore riflessione.
Qual'è il ruolo delle singole banche e quale quello delle associazioni,
e in particolare dell'Abi, nella formazione, nella motivazione e nell'annuncio
dei tassi di interesse bancari? Si è registrato in proposito,
negli ultimi tempi, un dinamismo di per sé interessante; ma che
lascia qualche incertezza sia in ordine alla distribuzione dei ruoli
tra le "singole aziende" e l'"associazione" (la
seconda ha un compito di ratifica o anche di decisione?), sia in ordine
alla distribuzione dei ruoli tra le "autorità monetarie"
e il "mondo bancario" (quest'ultimo, per singole aziende o
associativamente, deve stabilire esso qual è il livello dei tassi
coerente con valutazioni squisitamente di politica monetaria -tasso
di inflazione, equilibrio esterno, ecc. - oppure deve recepire i segnali
che in proposito le autorità devono trasmettere nelle forme palesi
e, condizionato anche da questi, deve decidere i tassi, per singole
aziende o associativamente, ma in un'ottica aziendale, facendo cioè
strettamente la propria parte?).
D'altro canto, alla
radice stessa della funzione creditizia, nella raccolta e nella canalizzazione
di capitali per l'investimento, li ruolo istituzionale svolto dalle
banche nei processi di industrializzazione di molti Paesi europei -
ritardati rispetto all'esperienza inglese della seconda metà
del XVIII secolo, in Francia, ma soprattutto in Germania, nell'impero
Austro Ungarico ed infine in Italia, fra gli ultimi due decenni dell'Ottocento
e la guerra mondiale - è evidente. Esso fu in realtà esaltato,
nei diversi casi, dalle banche d'affari e dalle banche "miste"
di tipo tedesco, che adempirono a compiti di autentica pianificazione
dello sviluppo economico al sorgere della grande industria moderna.
Basti pensare, per l'Italia, all'azione della Banca Commerciale Italiana
e del Credito Italiano, fondati rispettivamente a Milano e a Genova
nel 1894 e nel 1895, entrambe creazioni di banche tedesche, e in generale
al profondo coinvolgimento delle grandi banche nel decollo economico-industriale
dell'Italia. A questo coinvolgimento, alle crisi bancarie che ne hanno
segnato le tappe, agli effetti sconvolgenti del "crack" e
della grande depressione mondiale, si ricollegano direttamente, in Italia,
la costituzione dell'Iri e i salvataggi degli Anni Trenta, e finalmente
la legge bancaria del 1936. Quest'Ultima conclude una serie di interventi
legislativi a tutela del risparmio, ma soprattutto a presidio di un
controllo che le autorità monetarie centrali avrebbero esercitato
come strumenti e depositari, ad un tempo, di un potere politico-economico
affidato alla responsabilità pubblica e gestito per scopi di
politica pubblica.
L'abbandono del
modello di banca mista, ovvero la separazione istituzionale tra credito
a breve e credito a media e lunga scadenza, non è che un aspetto
della nuova disciplina dell'intermediazione dettata dalla negativa esperienza
di quel periodo. Un altro aspetto - sul piano sostanziale certamente
non meno importante - è l'acquisita consapevolezza che il rischio
di instabilità del sistema finanziario nel suo insieme non è
semplicemente la somma dei rischi di insolvibilità dei singoli
istituti. Semmai ce ne fosse stato bisogno, tale consapevolezza ha trovato
un puntuale riscontro nelle difficoltà dell'ultimo decennio,
quando in Paesi di provata solidità delle strutture finanziarie
il fallimento di banche non ha potuto essere evitato, e solo l'attenta
vigilanza delle autorità monetarie ha potuto scongiurare l'innescarsi
di "effetti domino". |
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