1. - La dimensione
regionale assunta sul piano istituzionale della politica agraria italiana
ha fornito lo stimolo per lo svolgimento di studi finalizzati alla descrizione
dell'evoluzione economica del settore agricolo nelle singole realtà
regionali ed alla individuazione delle variabili che ne influenzano la
crescita e, soprattutto, delle cause che generano squilibri ovvero comportano
il permanere o l'accentuarsi di divari interregionali di produttività.
Questi studi hanno permesso di definire una tipologia regionale (regioni
povere o ricche, stagnanti o dinamiche), basata sull'utilizzazione di
alcuni indicatori di trend (valore aggiunto per unità lavorativa,
produzione e valore aggiunto per ettaro); inoltre, altre ricerche hanno
permesso di approfondire la conoscenza dei meccanismi di crescita, esaminando
l'andamento della produzione complessiva e dei singoli gruppi di prodotti,
in ciascuna regione, rispetto al corrispondente dato relativo all'intero
Paese.
Da queste analisi, basate come si è detto, sull'impiego di pochi
parametri, è emerso che, a causa del ristagno produttivo che l'ha
colpita, l'agricoltura pugliese ha visto accentuarsi il divario che la
separava da numerose altre regioni italiane.
I risultati in tal modo acquisiti meritano ulteriori approfondimenti,
attraverso l'esame di altre variabili.
Nella presente nota, pertanto, verranno illustrati gli aspetti più
significativi della recente evoluzione dell'agricoltura in Puglia; successivamente
si ritornerà sull'argomento per analizzare il ruolo svolto dagli
altri fattori che hanno concorso a determinare il ristagno economico del
settore (inflazione, politica comunitaria, spesa pubblica) ed individuare
le prospettive che si delineano per gli anni '80 (piano di sviluppo regionale).
2. - EVOLUZIONE
DELLA STRUTTURA PRODUTTIVA ED ORGANIZZATIVA
2.1. - Una visione
d'insieme
Nel corso dell'ultimo decennio, l'agricoltura pugliese ha manifestato
un ritmo di crescita più contenuto rispetto al precedente, analogamente
a quanto si è verificato in altre regioni del Mezzogiorno. Nel
periodo 1971-79 la produzione vendibile ha registrato un incremento
del 16,7% in termini reali contro il 27% del precedente decennio. Il
tasso complessivo di incremento è stato molto contenuto nella
prima metà degli Anni '70 (+ 3,7% nel periodo 71-75); pertanto,
il maggiore sviluppo si è verificato nell'ultimo quinquennio
(1975-79).
Il modesto sviluppo della produzione agricola pugliese, inferiore a
quello registratosi nel periodo considerato nel Mezzogiorno (+ 25,8%)
ed in Italia (+ 24,8%), è stato conseguito in presenza di una
riduzione degli occupati (-5,9%) ed in conseguenza di un più
intenso uso dei mezzi tecnici e dei servizi acquistati: i consumi intermedi
sono aumentati in termini reali del 42,3% (Mezzogiorno 54,7%, Italia
49,5); la loro incidenza percentuale sul valore della produzione è
passata quindi dal 12,2 al 14,9%, pur restando nettamente inferiore
a quella meridionale e nazionale.
In conseguenza degli andamenti precedentemente indicati, il valore aggiunto
è complessivamente aumentato, sempre in termini reali, del 13,1%.
A causa del più contenuto tasso di sviluppo dell'agricoltura
rispetto alle altre attività, il peso del settore nella formazione
del reddito regionale ha subìto nell'ultimo decennio una contrazione
di circa 8 punti percentuali, attestandosi intorno al 14%, incidenza
che purtuttavia è quasi doppia rispetto al corrispondente dato
nazionale. Soprattutto per effetto della riduzione del numero degli
occupati, la produttività lorda del lavoro si è accresciuta
nell'intero periodo del 23,9% mentre quella netta ha manifestato un
incremento più contenuto (+ 20,1%).
La superficie agricola utilizzata, al contrario dell'occupazione, è
aumentata, seppure lievemente, e quindi il tasso di incremento della
produttività lorda della terra è stato ancora più
contenuto (14,3%) mentre il valore aggiunto per ettaro di SAU si è
accresciuto dell'11,2%.
2.2. - Utilizzazione
della superficie agricola.
La destinazione della superficie agricola utilizzata - che si è
accresciuta di circa 32 mila ettari tra il 1971 ed il 1980 - soprattutto
per la messa a coltura di incolti produttivi e per la riduzione delle
terre malcoltivate - ha subìto nel periodo considerato le modificazioni
indicate in tab. 2

L'incidenza dei seminativi è aumentata in tutte le province,
eccezion fatta per quella di Taranto; quella delle colture legnose si
è lievemente ridimensionata nelle province di Bari, Brindisi
e Lecce, ove peraltro costituiscono la principale forma di utilizzazione
della superficie agricola, mentre il loro peso si è accresciuto
nelle altre province. Infine, l'incidenza percentuale delle colture
foraggere, prevalentemente costituite da pascoli, è aumentata
nelle provincie di Bari, Taranto e Brindisi, mentre si è ridotta
nel foggiano (sensibilmente) e nel brindisino. In quest'ultimo periodo
vaste superfici pascolative specie della Murgia barese e tarantina sono
state messe a coltura, dopo l'esecuzione di spietramenti.
2.3 - Produzione
Come si è accennato, dal 1971 al 1979 la produzione agricola
ha registrato un'espansione, in termini reali, del 16,7%, con un saggio
medio annuo pari all'1,8%. Questo (modesto) ritmo di crescita è
stato reso possibile dall'andamento produttivo delle colture erbacee
(+ 22%) e degli allevamenti (+ 22%), mentre la produzione del gruppo
delle arboree si è sviluppata ad un tasso pari alla metà
di quello relativo ai due comparti precedenti (+ 11%).
Nell'ambito delle colture erbacee, fiori e piante ornamentali hanno
più che quintuplicato la produzione; più contenuto, ma
pur sempre al di sopra della media, è l'incremento delle produzioni
delle piante industriali. Nel gruppo patate e ortaggi la produzione
si è accresciuta del 21% mentre una lieve riduzione si è
verificata per le colture cerealicole (-11%).
La produzione zootecnica si è accresciuta per l'apporto dei bovini,
essendosi ridotta la consistenza di tutte le altre specie.
Nel complesso della regione la composizione percentuale della produzione
non è cambiata significativamente, essendosi verificato un incremento
di due punti in percentuale dell'apporto delle erbacee e di 0,5 degli
allevamenti, che hanno compensato la flessione delle colture arboree.
L'analisi della struttura della produzione nelle singole province mette
in luce, tuttavia, degli andamenti più differenziati.
Si accresce il peso delle colture erbacee in provincia di Bari e di
Taranto e quello delle arboree a Brindisi, Foggia e Lecce, mentre il
contributo delle produzioni zootecniche alla formazione della Plv delle
singole province appare sostanzialmente stazionario.

In sintesi, si può affermare che nell'ultimo decennio si è
consolidata la tendenza già in atto verso la localizzazione delle
attività produttive agricole per fasce longitudinali.
Nella fascia costiera, potendosi disporre di acqua per l'irrigazione,
si pratica un'agricoltura intensiva ed attiva (soprattutto orticoltura);
a mano a mano che ci si sposta verso l'interno della Regione si riscontra
la presenza di colture via via meno attive (arboricoltura, cerealicoltura),
mentre l'attività zootecnica è diffusa in alcune aree
più interne (Murgia sud-orientale e nord-occidentale, Sub-Appennino
dauno, Gargano) anche se con indirizzi produttivi e tecniche di allevamento
molto differenziate.
Si deve osservare che lo sfruttamento delle falde di acque sotterranee
è sempre più intenso e, soprattutto in alcune zone (Salento),
vi sono fondate preoccupazioni di un depauperamento di questa risorsa.
Se sotto il profilo strettamente produttivo, pur nell'ambito di un processo
di crescita contenuto, si sono manifestati quà e là segni
di progresso, si deve sottolineare che la stessa cosa non può
dirsi per quel che riguarda la valorizzazione della produzione agricola
(concentrazione dell'offerta, aumento del potere contrattuale del settore,
ecc.).
La quasi totalità della produzione pugliese è destinata
al consumo interno; invero, una percentuale del totale assai modesta
(6% circa) alimenta correnti di esportazione (uva da tavola, alcuni
ortaggi, vino).
2.4 - Occupazione
Nel corso degli anni '70 il numero degli occupati agricoli si è
ridotto del 9% circa, passando ai 420,3 mila addetti del 1970 a 386,1
del 1980.
Il tasso di variazione annuo non ha presentato un andamento regolare
nel periodo considerato; ciò induce a far ancora una volta riferimento
a dati di medie triennali, sulla scorta dei quali si osserva che, a
fronte di un lievissimo incremento (0,2%) nel periodo tra il 1971 ed
il 1975, la riduzione del numero degli occupati agricoli si è
verificata nel periodo tra il 1975 ed il 1979 nella misura del 6% circa.
Sempre facendo riferimento ai dati medi, nel Mezzogiorno si è
avuta una riduzione più marcata (-12,6%) ed ancora più
netta è sempre quella verificatasi a livello nazionale (-19,9%).
Avuto riguardo della posizione dei lavoratori, la suddetta contrazione
ha interessato esclusivamente gli indipendenti, mentre il numero dei
dipendenti, pur manifestando un andamento irregolare, è rimasto
sostanzialmente invariato. Pertanto, l'incidenza dei lavoratori dipendenti
sul totale si è accresciuta dal 68,1 al 72,8% (sempre sulla scorta
delle medie triennali). Analoghe variazioni si sono registrate nell'intera
area meridionale ove tuttavia l'incidenza dei dipendenti è passata
dal 44,9 al 49,2%.

Se si considera la ripartizione del reddito prodotto in agricoltura
fra salari per occupati dipendenti (monte salari) e "risultato
di gestione" per occupato indipendente (ottenuto sottraendo alla
produzione i consumi intermedi ed i salari), si osserva che nel periodo
fra il 1970 ed il 1979 il primo è passato dal 94,3 all'81,7%
del corrispondente dato nazionale mentre il risultato di gestione ha
subìto una fortissima contrazione, passando dal 127,1% al 46%.
Pertanto, il rapporto fra risultato di gestione e salarlo medio che
nel 1970 era pari a 2,59 è sceso nel 1979 a 0,73.
Per una corretta interpretazione dei fatti statistici ufficiali occorre
tuttavia tener presente che i conduttori di aziende di piccolissime
dimensioni (che nella regione presentano un'incidenza assai elevata)
svolgono attività lavorativa in altre aziende agricole e si dichiarano,
pertanto, lavoratori dipendenti. Numerosi sono, infatti, coloro che
dichiarano di svolgere attività di lavoro dipendente per fruire
del trattamento previdenziale e di sussidi di disoccupazione. D'altro
canto, si deve ricordare che gli occupati sono espressi in unità
di permanenti e che in Puglia, in misura maggiore rispetto alle altre
Regioni, si verifica un elevato grado si sottoccupazione e disoccupazione
nascosta a causa dell'accentuata stagionalità dei lavori agricoli.
Il grado di attività (39 gg.II. per ettaro di Sau) è nettamente
inferiore rispetto all'intero Paese (48 gg.II.).
Questi elementi riducono sensibilmente la possibilità di analizzare
e correttamente interpretare l'andamento del lavoro agricolo sulla scorta
dei dati statistici ufficiali.
Un aspetto che si propone con notevole evidenza, all'osservazione diretta
è costituito dagli spostamenti di manodopera dalle zone più
interne e più povere a quelle irrigue di pianura; tali trasferimenti
talora avvengono a livello interregionale, come nel caso di centinaia
di lavoratrici della Penisola Salentina che quotidianamente si spostano
nel metapontino su mezzi di trasporto forniti dai "caporali"
che provvedono ad ingaggiarle. Il fenomeno si è progressivamente
dilatato e solo negli anni più recenti ha subìto un ridimensionamento,
a seguito della presa di posizione delle forze sindacali.
Oltre a queste violazioni della normativa sul lavoro, si devono registrare
frequenti evasioni agli obblighi previdenziali e la pratica del sottosalario
che si presenta differenziata in funzione delle operazioni colturali
e delle zone. In alcune aree (Murge e segnatamente Altamura) è
ancora effettuato il reclutamento di bambini ai quali viene offerta
la custodia delle greggi al pascolo, con contratti annuali.
Numerosi sono anche i lavoratori indipendenti che hanno acquistato e
gestiscono aziende agricole in Basilicata (metapontino, fascia bradanica,
Valle Ofantina) ove hanno introdotto innovazioni colturali, tecnologiche
ed organizzative che si sono più o meno rapidamente diffuse presso
gli operatori locali.
2.5. - Impiego
dei mezzi tecnici.
Come si è accennato, l'impiego dei mezzi tecnici nel periodo
considerato si è notevolmente intensificato soprattutto per quanto
concerne gli antiparassitari il cui consumo, in termini di valore, si
è più che raddoppiato.

Sensibilmente si è potenziato anche il parco motoristico che
dal 1971 al 1980 è passato da 1,32 a 2,63 CV. per ettaro di SAU;
iI rapporto tra cavalli vapore e occupati è invece passato da
4,99 a 11,2. Più attendibile è tuttavia la valutazione
dell'evoluzione nell'impiego di questi mezzi tecnici, se si osserva
l'andamento dei consumi dei carburanti: prescindendo dall'impiego del
petrolio (che da 78 mila quintali del 1971 è sceso a 11 mila
nel 1980), il consumo del gasolio per ettaro di SAU si è accresciuto
del 22% (da 0,50 a 0,61 kg), mentre quello della benzina è passato
da 0,19 kg del 71 a 0,32 del 1980. Quest'ultimo dato deve essere comunque
accolto con qualche cautela, atteso il sempre più diffuso impiego
della benzina agricola per l'alimentazione delle automobili.
2.6 - Progresso
tecnico
Innovazioni tecnologiche sono state introdotte in numerosi processi
produttivi, anche se la diffusione del progresso tecnico non interessa
tutte le zone, le produzioni e le imprese nella stessa misura.
Progressi considerevoli si sono registrati nell'utilizzazione dell'acqua
con l'introduzione dell'irrigazione a goccia e con l'utilizzazione di
acque salmastre, nelle tecniche di allevamento del vigneto nel quale
si sono sempre più diffuse le forme espanse e, seppure in limitate
oasi, il cosiddetto "doppio palco".
Numerose, sono le innovazioni introdotte nel comparto ortofrutticolo.
Nel comparto olivicolo, si stanno introducendo varie tecniche (quali
l'impiego di sostanze cascolanti, di macchine scuotitrici, selezionatrici
- per la produzione raccolta di terra - e di attrezzi di vario tipo),
nell'intento di facilitare la raccolta riducendone i costi.
Nella cerealicoltura la pratica del ringrano ha ormai fatto dimenticare
la vecchia rotazione tipica della regione (terziaria) ed in alcune zone
del foggiano ampie superfici sono investite a grano duro da circa vent'anni.
Anche nell'allevamento bovino e ovi-caprino si diffondono innovazioni
tecniche; la fecondazione artificiale è sempre più largamente
praticata. Tuttavia, le distanze fra le aziende che sono all'avanguardia
nelle tecniche di allevamento e quelle che si trovano in condizioni
medie tendono ad accentuarsi. In alcune aree si stanno localizzando
allevamenti di specie minori (pollame, conigli, ecc.), anche senza terra.
Recente è l'introduzione di macchine che triturano la roccia
calcarea, rendendo quindi possibile le messa a coltura di terreni incolti.
2.7. - Investimenti
e credito.
Nel corso degli Anni '70 il sistema economico pugliese, è stato
caratterizzato da un basso tasso lordo di accumulazione che ha interessato
anche il settore agricolo. Una certa ripresa del flusso di investimenti
si è registrata nella seconda metà degli Anni '70 nel
corso dei quali l'assorbimento del settore primario si è aggirato
intorno al 12-13% del totale degli investimenti fissi lordi. Per la
gran parte si tratta di investimenti pubblici per la realizzazione di
opere infrastrutturali e segnatamento di impianti di irrigazione; al
riguardo, va osservato che la regione si avvantaggerà di rilevanti
investimenti effettuati in Basilicata.
Gli investimenti privati hanno manifestato un deciso rallentamento;
le opere di miglioramento fondiario, prevalentemente realizzate con
il concorso pubblico (90% circa), hanno subìto una notevole contrazione
che è da porre in relazione anche con la modesta capacità
di spesa che ha caratterizzato l'attività dell'Ente Regione.
Questa tendenza ha tuttavia subito una inversione nell'ultimo biennio,
grazie alla erogazione dei fondi assegnati alla Puglia per la realizzazione
del Piano agricolo alimentare.
Gli investimenti effettuati per l'acquisto di macchine e di bestiame
hanno registrato sul finire degli anni '70 una stasi, come si può
dedurre dall'osservazione dei dati relativi all'erogazione del credito
agrario di dotazione; al contrario, ha avuto un andamento crescente
l'indebitamento a breve termine a conferma del crescente impiego di
"consumi intermedi".
2.8 - Strutture
aziendali e forme di conduzione
Nel periodo considerato si è accentuato il processo di disgregazione
aziendale evidenziatosi già nel precedente decennio; tra il 1967
e il 1977 il numero delle aziende si è accresciuto dell'1,3%
contro una riduzione del 4,3% della superficie aziendale utilizzata;
conseguentemente,, l'ampiezza media delle aziende agricole è
passata da 6 a 5,66 ettari.
Dall'osservazione della tab.10 emerge che è in atto la tendenza
all'aumento del numero delle aziende al di sotto di un ettaro e della
superficie di quelle con ampiezza superiore ai 30 ettari.
Naturalmente, questo processo è al tempo stesso causa ed effetto
del part-time farming; il 28% dei conduttori di aziende agricole in
Puglia svolge attività prevalentemente extraziendale; ovviamente,
quest'incidenza è maggiore nelle classi di ampiezza inferiori
(fino a 2 ettari).
Un confronto fra i risultati delle indagini campionarie sulle strutture
aziendali svolte nel 1975 e 1977 su iniziativa della CEE lascia intravvedere
come i fenomeni prima descritti abbiano fatto registrare una deceleazione
nell'ultimo periodo; ma occorrerà attendere la pubblicazione
dei dati del III° Censimento per ottenere una conferma.
Per quel che concerne le forme di conduzione, si consolida la tendenza
alla crescita dell'incidenza delle imprese contadine e contadino-capitalistiche
e la netta contrazione della conduzione a colonia parziaria, soprattutto
nella Penisola Salentina, ove in passato ha avuto grande diffusione.
Invece si vanno diffondendo varie forme precarie di compartecipazione,
relative soprattutto a singole colture e con durate assai brevi.

Quanto al titolo di possesso, si deve osservare che la normativa vigente
ha provocato una forte riduzione delle superfici in affitto; ció
ha avuto tanta parte nel determinare il processo di disgregazione aziendale
prima descritto e il proliferare di contratti di affitto annuali o stagionali,
specie per le colture industriali prodotte su contratto (barbabietola
da zucchero, pomodoro), che hanno dato luogo alla fissazione di canoni
ben superiori a quelli legali (da 700 mila a 1 milione di lire per ettaro);
le modificazioni recentemente introdotte potrebbero comportare un certo
miglioramento di questa situazione invero assai confusa.
Numerose grandi proprietà sono state cedute e frazionate. Nella
Penisola Salentina, in genere gli acquirenti sono stati imprenditori
contadini o contadini-capitalisti; forte è stata la domanda esercitata
da categorie extra-agricole (commercianti e professionisti), soprattutto
nella provincia di Foggia. Le ragioni di questo interesse vanno ricercate
non soltanto dalla necessità di difendere i capitali dall'erosione
monetaria, ma anche nella presenza di moventi speculativi; invero, gran
parte delle proprietà passate di mano ricadono in territori che
nel corso degli Anni '80 potranno disporre di acqua di irrigazione.
Pertanto, le motivazioni dell'acquisto si basano sull'aspettativa di
una lievitazione dei valori fondiari di gran lunga superiore a quella
provocata dall'inflazione.
L'intervento pubblico volto alla formazione della proprietà coltivatrice
ha segnato un netto rallentamento, ben più sensibile di quello
verificatosi a livello nazionale.
La diffusa presenza di imprese non autonome e "non professionali"
ha progressivamente ampliato il raggio di azione dei contoterzisti ai
quali, specie negli ordinamenti meno attivi, sono delegate quasi tutte
le scelte dell'imprenditore (dal mezzi tecnici da impiegare, all'epoca
di esecuzione delle varie operazioni) in cambio di un compenso che può
essere preventivamente fissato o che viene commisurato al volume della
produzione. La presenza di questa figura si è estesa anche ad
altre attività e sono numerosissimi gli impianti arborei (vigneti
a tendone, pescheti, oliveti irrigui, ecc.) che sono stati eseguiti
da imprese di servizi che hanno effettuato lo scasso, la messa a dimora
delle barbatelle o delle piantine, dei paletti di sostegno, la predisposizione
dell'impianto di irrigazione, il rimpiazzo delle fallanze, ecc. ecc.;
queste colture vengono seguite dalle suddette imprese anche nella fase
produttiva, per la esecuzione delle lavorazioni al terreno e dei trattamenti
antiparassitari. La stessa fase della raccolta del prodotto è
spesso delegata agli acquirenti e si va sempre più estendendo
la forma di vendita a "blocco". Questi fenomeni sono favoriti,
oltre che dalle ragioni prima richiamate, dalla situazione presente
sul mercato del lavoro, dall'esigenza di specializzare sia l'impiego
dei capitali tecnici sia le diverse fasi del processo produttivo e inoltre
da altre cause e possono essere variamente interpretati. Allorquando
sono fondati sull'esigenza di introdurre nei processi produttivi innovazioni
tecniche che l'imprenditore non sarebbe in grado di eseguire direttamente
si è in presenza di un processo certamente positivo, anche se
esso conduce ad una contrazione del reddito netto d'impresa.
Ma, in molti casi queste forme organizzative vengono adottate per sostituire
l'opera degli affittuari o dei coloni o della manodopera salariata da
parte dei proprietari che - avendo risolto i precedenti contratti -
non intendono impegnarsi direttamente nella gestione aziendale; siamo
in presenza quindi di forme, per quanto aggiornate, di proprietà
assenteista.
2.9. - Cooperazione
agricola
Nel periodo in esame si è ulteriormente accresciuto il numero
e la potenzialità lavorativa degli impianti cooperativi, specie
nei tradizionali comparti (viticolo ed olivicolo). Indubbiamente ciò
ha favorito il miglioramento qualitativo delle produzioni trasformate,
ma ha purtroppo avuto una scarsa incidenza ai fini della concentrazione
dell'offerta e del recupero di potere contrattuale al settore.
I punti critici dell'attuale struttura di trasformazione delle produzioni
agricole su base associata vanno ricercati, fra l'altro, nel debole
collegamento che le cooperative hanno istituito con l'attività
delle imprese aderenti, con i conseguenti problemi (variabilità
quantitativa e qualitativa delle produzioni conferite) che si riflettono
sia sul livello dei costi medi dei servizi che sulla possibilità
di disporre di volumi di produzione qualitativamente omogenei e quantitativamente
costanti. Tutto ciò impedisce la differenziazione dei prodotti
e la valorizzazione degli stessi.
Nel comparto ortofrutticolo l'attività delle cooperative presenta
problemi ancora più gravi che la presenza delle associazioni
dei produttori non ha finora permesso di superare.
Quanto precede lascia intendere le ragioni per cui il movimento cooperativo
dipende sempre più strettamente dagli interventi contributivi
e creditizi di origine pubblica.
3. - CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE
Nell'ultimo decennio
il ritmo di sviluppo dell'agricoltura pugliese è stato molto
contenuto, sicuramente inferiore alle potenzialità produttive
delle risorse umane e fisiche presenti nella Regione.
Le innovazioni tecniche ed organizzative che - nonostante la contrazione
registrata nel flusso degli investimenti pubblici e privati - sono pur
state introdotte, specialmente nelle aree "forti", non sono
state tuttavia sufficienti ad impedire che si riducesse l'apporto dell'agricoltura
pugliese alla formazione del reddito agricolo meridionale e nazionale.
Le principali cause che, con numerose altre, hanno concorso a determinare
questo andamento vanno ricercate nella crisi economica che ha investito
l'intero sistema produttivo e, soprattutto, nel processo inflazionistico
che ha penalizzato l'agricoltura pugliese in misura maggiore rispetto
ad altre Regioni per il più sensibile deterioramento del rapporto
di scambio tra beni ceduti ed acquistati dagli imprenditori agricoli;
invero, il movimento dei prezzi ha presentato un andamento irregolare
e la velocità di propagazione dell'inflazione nei diversi comparti
non è stata uniforme concorrendo ad accrescere le incertezze
sulle prospettive dell'economia agricola regionale.
Incertezze che non sono state certo attenuate dalla fissazione nell'ambito
comunitario dei prezzi di una quota rilevante della produzione regionale;
anzi, la politica dei prezzi, la previsione delle conseguenze - certamente
non favorevoli - che potranno derivare dalla prevista adesione di altri
Paesi mediterranei fortemente competitivi, la scarsa fiducia nell'applicabilità
delle direttive sull'ammodernamento dell'agricoltura, hanno rappresentato
ulteriori elementi che hanno fermato la spinta al rinnovamento.
Inoltre, pur riconoscendo che l'azione dei pubblici poteri ha dovuto
superare il rosaggio relativo al decentramento delle competenze ed alla
conseguente ristrutturazione dell'amministrazione dell'agricoltura,
non si può sottacere che essa si è rivelata largamente
inadeguata essendo stata ispirata ad una visione assistenziale; è
quindi mancata la funzione di indirizzo delle scelte degli operatori.
Per uscire dal ristagno in cui versa il settore che, a seguito dell'allargamento
della CEE può tramutarsi in declino, occorre compiere delle chiare
scelte e, soprattutto, attuarle coerentemente, operando uno sforzo organizzativo
per rinnovare il quadro istituzionale ed il bagaglio degli strumenti
operativi per la organizzazione non soltanto della produzione agricola
e del mercato dei prodotti e dei fattori, ma anche delle complesse interrelazioni
esistenti tra l'agricoltura e gli altri settori produttivi.
NOTE
1) Tuttavia, è indubbio che i redditi dei lavoratori dipendenti
si siano accresciuti in misura superiore a quelli conseguiti dai lavoratori
autonomi.
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