A chi si avventuri
nella Penisola Salentina per stradine di campagna poco battute o anche
per strade provinciali, non può sfuggire un grazioso sistema,
usato a volle ancora oggi, per segnare l'ingresso di una proprietà:
sia essa un campo, un giardino, un orto. Si tratta dell'uso di erigere
due pilastri o culonnette nel punto in cui l'abitudine e la praticità
hanno segnato l'ingresso o, in grico poro(1) per il quale si accede
in un podere o anche in una chiusura.(2) I due pilastri terminano quasi
sempre in una decorazione che assume varie forme geometriche, a seconda
del gusto di chi la costruisce o la vuole. La quasi assoluta mancanza
di proporzioni, ricorrente, fra i due elementi - pilastro e decorazione
sovrastante - spinge a pensare che questo simpatico dispositivo non
costituisca un tutto unico con l'esclusiva funzione di segnare il varco
attraverso il quale entrare nel podere ma che, evidentemente, debba
racchiudere in sé un significato ben più profondo e antico.
Dall'esame dei vari materiali, derivante da una lunga ricerca e classificazione
dei pori, alcuni dei quali anche molto antichi, si può giungere
agevolmente alla conclusione che le culonnette dovevano avere la precisa
funzione di basi per il sostegno e l'esposizione dell'elemento veramente
importante e sostanziale. Quello che appare decorazione, una volta ornamento,
e nelle culonnette più antiche ancora oggi, era invece l'essenziale
e consisteva in una scultura lignea o litica di forma fallica (3). Le
due colonne che segnavano l'ingresso in passato non costituivano uno
sbarramento fisico per gli estranei, ma una barriera simbolica creata
dal fallo in pietra che sostenevano e che era l'immagine, per sineddoche,
di una antichissimo dio del mito: Priapo.
Oggi che si è perduto il senso della loro funzione sono due banali
pilastri per il sostegno di cancelli o portoni.
I falli litici, rinvenuti nel Salento nella situazione descritta, hanno
forme molteplici. Quelli che si ritiene siano i più antichi hanno
l'aspetto del membro virile eretto (vedi foto n. 1 e 2), gli altri hanno
assunto la sembianza simbolica di piccoli coni rozzi (foto n. 3), di
corni, di coni tronchi a base piramidale (foto n. 4), di piramidi (foto
n. 5) e, via via che si è venuto perdendo il senso della loro
funzione e la memoria del loro simbolo, di piramidine sovrapposte a
più basi e, infine, di generiche punte.
Quanto più l'uomo ha perduto coscienza del loro valore simbolico
tanto più è aumentata la loro funzione decorativa e sono
venute precisandosi forme geometriche e proporzioni.
Oggi i contadini salentini non hanno quasi più memoria del significato
di questi simboli e solo pochi, interrogati, hanno risposto che sono
"cose contro il malocchio".
Impressionante analogia vi è tra alcuni di questi simboli appena
descritti ed altri presenti nelle campagne di Malta della zona di Siggiewi
(vedi foto n. 6 e 7). In questa isola però è molto più
vivo il loro significato e la loro funzione di simboli contro il malocchio;
inoltre, essi "portano bene" esorcizzando nello stesso tempo
il male, il negativo presente. Altri simboli fallici, oltre quelli già
presi in esame e sicuramente riconducibili a caratteristiche priapiche,
sono presenti nel Salento e in Malta. Le corna animali - soprattutto
di loro - esposte sulle facciate delle case contadine, delle masserie,
il corno di pietra sui comignoli (vedi foto n. 8), i bastoni piantati
al posto dei priapi o accanto ad essi sui pilastri o sui tetti delle
costruzioni rurali (4) (vedi foto n. 6), le generiche punte sistemate
nelle zone più alte ed evidenti dei campi sono tutti emblemi
di carattere sessuale-fallico evocanti "la forza e il vigor maschile
e, quindi, l'abbondanza, la prolificità, il piacere, come condizioni
favorevoli di vita fisica" (5).
Sono strumenti efficaci
contro ogni possibile forza negativa ed hanno un carattere apotropaico.
Tali simboli sono diffusissimi nelle due aree prese in esame. La loro
funzione per Malta viene confermata da Joseph Cassar Pullicino nel suo
volume "Studies in Maltese Folklore" (6).
Dai segni di un ipotizzabile culto magico un tempo dedicato a Priapo,
e qui finora descritti, emergono alcuni
punti caratterizzanti e riconducibili alle classiche peculiarità
priapiche: (7)
1. Priapo custode dei campi.
2. Priapo protettore dal malocchio.
3. Priapo dio della prosperità.
Queste tre funzioni sono emanazioni evidenti del vigor simboleggiato
dall'arcaica figura di Priapo. Vediamo più da vicino.
Per quanto concerne l'etimologia della parola PRIAPO essa deriva probabilmente
da un pri-(h)àpos, "colui che ha sul davanti un Hapos",
cioè un pene; questa etimologia pone l'accento sulla caratteristica
fondamentale del dio, cioè la sua forza generatrice.
Non si sa con precisione di chi sia stato figlio, ma non mancano le
attribuzioni. C'è chi lo dice figlio di Venere e Bacco, chi di
Venere e Giove, chi di Mercurio. Se la madre è certa, il padre
appare molto incerto. Giusta sorte per un simile dio!
Nato a Lampsaco, nell'Ellesponto, secondo quanto ci raccontano numerosi
autori classici, "in breve tempo la sua fama e il suo culto andò
crescendo per tutta la Grecia" (8). E non solo in essa, perchè
tracce del suo culto rimandano a un'area molto più vasta "e
le sue attribuzioni fondamentali non sono legate ad una specifica origine
geografica. Tanto è vero che molti, in vari momenti, sono stati
i nomi con cui lo si è indicato, e gli del con cui lo si è
confuso: fra questi ultimi vanno annoverati Pan, Bacco e Ermate, nonchè
l'egiziano Horus; fra i primi si devono almeno ricordare quelli espliciti
di Phallos, lthyphallos, Triphallos, che sono altrettante varianti del
nome del membro maschile in greco" (9).
A Roma fu confuso con una vecchia divinità che aveva lo stesso
segno distintivo e che presiedeva alla fecondità degli uomini:
MUTUNUS TUTUNUS, della quale poi prese addirittura il posto come ci
testimonia, fra i primi, M. Terenzio Varrone in uno dei suoi frammenti
delle "Antiquitates rerum humanarum et divinarum" in cui dice:
"durante la celebrazione delle nozze si comandava alla nuova sposa
di sedere sul fusto di Priapo" (10). La sua funzione ci viene confermata
da Virgilio quando lo dice "Custode di un povero orto" (11);
a lui fanno seguito i "Carmina priapea" definendolo "rosso
custode degli orti" (12), "un dio povero dei campi" (13).
Sono proprio i "Carmina priapea" - quasi una summa delle credenze
popolari - che, seppure in forma scherzosa, danno abbondanti particolari
e ulteriore conferma su Priapo divinità campestre e membruto,
inflessibile guardiano degli orti:
Il villano m'ha
messo qui a guardare
il giardino e i suoi frutti, e m'ha ordinato
di far bene la guardia (14)
si dice intatti
nel XXIV carme. Da questa raccolta di canti tardo-romani vien fuori
però l'immagine, se vogliamo anche triste, di un dio ormai in
disarmo ma pronto, con accanimento, a difendere il campo che gli è
stato affidato. I "Carmina" potrebbero essere considerati
il lungo monologo di un dio solitario, le riflessioni grottesche di
un guardiano di legno o di pietra - inanimato - issato su di un piedistallo
in attesa di sorprendere e punire il ladro, le fantasticherie di potenza
e le minacce di un tutor impotente che fa la voce grossa.
Chiunque, con
pessime intenzioni
varchi il confine del mio campicello
s'accorgerà che io non sono castrato; (15)
dice e precisa meglio:
I fulmini, di
Giove; Nettuno ha per arma il tridente;
Marte e si fa forte della spada; Minerva ha la lancia;
Bacco va in battaglia coi tirso sottile; di Apollo, si racconta che
lanci frecce;
Ercole l'invincibile va in giro con la clava;
per farmi rispettare, io, ho il c... duro (16).
La sua seconda funzione
- rilevata ancora oggi nelle parole dei salentini e dei maltesi - di
un dio che protegge dal malocchio ci viene testimoniata già da
Diodoro quando dice che Priapo, come divinità fallica, viene
considerato " ... colui che punisce quelli che fanno le malie"
(17). Infatti le immagini degli organi generatori maschili e femminili
sono state sempre ritenute, dalla preistoria ad oggi, e tra popoli diversi,
efficaci segni contro le cattive influenze e la sterilità.
Lungo le mura megalitiche del sito archeologico di Hagar Qim (2800 a.C.),
in Malta, evidentissimo è un megalite, fallico sicuramente -
per la sua sistemazione - elevato a divinità protettrice (vedi
foto n. 9).
I Romani, per lo stesso motivo, usavano mettere l'immagine del fallo
sulle facciate delle loro case o agli ingressi di edifici pubblici.
Su uno dei pilastri dell'ingresso dell'anfiteatro romano di Lecce vi
è scolpito un animale fantastico: un grifone con due piume in
testa e con le zampe di aquila tra le quali si nota un lungo fallo.
"II grifone fallico - scrive Mario Bernardini, che ha studiato
il mostro in un breve saggio - avrà potuto avere una funzione
protettrice, derivata da una tradizione orientale e da una tradizione
romana" (18).
Anche in cima ad un pilastro dell'anfiteatro di Nîmes, nel sud
della Francia, vi è un bassorilievo che rappresenta un triplice
fallo con zampe di cane e ali.
Nell'alzata di uno dei gradini della scalinata del Tempio di Ercole
italico presso Sulmona, in provincia dell'Aquila, vi è inciso
in senso orizzontale un fallo di sicura origine cultuale, tracciato
da qualche fedele come ex-voto.
Fra i resti della civiltà romana frequentissimi, dunque, sono
i simboli fallici posti come protettori contro le cattive influenze.
Il corno e il ferro di cavallo, entrambi simboli sessuali, non sono
ancora oggi usati per il medesimo scopo? E cosa rappresentava in origine
il ferro di cavallo, se non l'immagine del sesso femminile? (19)
Gli Arabi dell'Africa Settentrionale infatti erano usi attaccare sulla
porta delle loro abitazioni, o in altro posto evidente, gli organi generatori
di una vacca contro il malocchio. Data poi la difficoltà di riprodurre
in oggetto riconoscibili, da usare come sostituti dell'elemento organico,
si presero ad immagine del sesso femminile i ferri di cavallo. Quando,
come succede per un meccanismo classico, in seguito fu dimenticato il
significato originale dell'oggetto simbolico adoperato, si usò
lo stesso oggetto di per sé, e le qualità magiche - una
volta dell'organo femminile - si attribuirono allo stesso ferro di cavallo.
I priapi nostrani, messi in evidenza su rozzi pilastri, avevano il difficile
e delicato compito quindi di custodire i campi, oltre che dagli attacchi
dei ladri, dalle forze negative presenti in natura e attive attraverso
gli occhi malvagi degli invidiosi. Questi però, come abbiamo
già detto, non erano i soli motivi per cui i contadini li sistemavano
- un insieme ad altri simboli - sulle parti più alte presenti
nei loro poderi; c'era ancora una terza ed importante ragione: dovevano
portare bene. Nella cultura degli agricoltori, dei coltivatori una forza
generante e fecondante attiva, quale era considerata quella del priapo,
era condizione essenziale per risolvere i problemi della sopravvivenza.
Culti e riti dedicati a Priapo, dio della prosperità, o ad esso
connessi furono diffusissimi nell'età romana con lo scopo di
"ottenere abbondante raccolto e allontanare i malefici della terra"
(20), come ci testimonia nel "De civitate Dei" lo stesso S.
Agostino, uno dei Padri della Chiesa.
Importanti manifestazioni, credenze e tradizioni - anche se adattate
e in parte modificate - sono rimaste vive, avendo trovato l'humus opportuno,
per tutto il Medioevo. L'esibizione vulvare e fallica in fregi e bassorilievi
delle facciate di moltissime chiese nel nord J'Europa sono un esempio.
Per quanto riguarda la presenza di falli sulle facciate di chiese italiane,
e sempre con il medesimo scopo, riporto di seguito alcune notizie inedite,
direttamente fornitemi dall'antropologo Alfonso M. Di Noia che qui ringrazio.
1) Chiesa dell'Arciconfraternita di S. Antonio Abate a Città
di Castello (PG). Nella parete della facciata vi è inserito un
fallo litico aggettante di 30 cm. circa. Fino a qualche decennio fa
le donne io visitavano e gli rivolgevano preghiere per poter essere
feconde.
2) Basilica di San Cesidio a Trasacco (AQ). Lungo il fregio del portale
tardoromanico (porta degli uomini) sono presenti figure maschili con
fallo eretto e figure femminili con esibizione vulvare. Si può
datare intorno al 1400.
3) Chiesa della Madonna del Belvedere a Gubbio (PG). Nell'affresco murale
situato nell'interno della chiesa (sulla parete destra per chi entra)
vi è una Madonna con quattro Santi offerenti (Ottaviano Nelli,
1452) chiusa fra due colonne a tortiglione pure esse affrescate; lungo
le volute di dette colonne sono rappresentate varie posizioni sessuali
anormali con falli eretti.
4) Chiesa cattedrale della Santissima Annunziata a Sulmona (AQ). In
una delle scene del fregio romanico sovrastante l'ingresso è
rappresentato un uomo con fallo eretto e una donna che opera una fellatio.
Le qualità e gli attributi di Priapo, anche a causa dei vari
Sinodi che nel Medioevo tuonarono contro i culti dedicati al fallo,
abbandonarono il loro vecchio simulacro, per altro già svalutato,
e pian piano si trasferirono in nuove immagini di santi cristiani, spesso
mai storicamente esistiti, il cui patronato iniziò così
ad essere invocato. Nel sud della Francia si cominciò a venerare
San Foutin; nella diocesi di Bourges, San Guerlichon; in Bretagna, San
Gilles; a Brest, San Guignolé; ad Isernia, nel Molise, i SS.
Cosma e Damiano e un po' dappertutto San Raffaele. E sempre con il medesimo
intento. Anche San Nicola, venerato in tanta parte del sud d'Italia,
assorbì alcune qualità di Priapo e divenne il protettore
delle nubende e dei campi.
Ma, tornando alla realtà salentina, come il clero locale, espressione
anch'esso della medesima cultura subalterna, poteva combattere i rozzi
priapi dei campi per neutralizzarli senza fisicamente demolirli? la
tecnica, al solito, è stata quella di operare direttamente o
indirettamente una fusione, un sincretismo fra elementi pagani ed elementi
cristiani. Così, modestamente e sommessamente, si agì
in modo che dove erano i falli con la stessa funzione fossero presenti
- anche e, poi, soltanto - delle immagini sacre, le quali potevano cambiare
a seconda della devozione privata o del santo protettore del paese,
nel cui agro si trovava il campo con il simbolo fallico da distruggere.
Per questo si passò lentamente da situazioni rappresentate nella
foto n. 1 a situazioni rappresentate nella foto n. 10, attraverso ibridi
del tipo della foto n. 11.
Lo stesso processo si può documentare per la religiosissima isola
di Maila. Nella foto n. 12, al posto del priapo appare la statuina di
San Giuseppe, santo comunque di eccezionali doti generative!
Oggi, la pratica magica descritta in queste pagine e per tanto tempo
radicata nella cultura rurale, perchè capace di proteggere dai
rischi esistenziali, è quasi del tutto scomparsa.
Priapi ed immagini sacre vengono indistintamente demoliti per far posto
a moderni cancelli. Non è la psiche dell'uomo che è cambiata.
L'uomo nel suo profondo è sempre pronto, qualora la storia lo
emargini o lo releghi in aree nebulose, a crearsi griglie protettive,
meccanismi contro tutto ciò che è ignoto e che genera
paure esistenziali. Il ritorno al sacro di questi ultimi anni ce lo
conferma.
E' cambiata, invece,
e per sua opera, la realtà socio-culturale. Nuove tecniche di
produzione, di lavoro agricolo, nuove macchine, nuovi sistemi di difesa
hanno ridotto di molto il rischio della povertà e delle sue conseguenze,
la paura di non esserci. Ed è del tutto naturale che proprio
nel dominio in cui il rapporto con la natura è meglio controllato,
con tecniche agricole realisticamente orientate - come dice Ernesto
De Martino (21) - le tecniche magiche siano destinate a scomparire più
rapidamente.. L'uso dei moderni prodotti chimici, infatti, o di appropriati
dispositivi di sicurezza vai bene un priapo o un santino esposto all'ingresso
dei campi.
NOTE:
1) Dal greco:
2) Campo cinto da muretti a secco.
3) Per quanto concerne l'analisi dei simboli fallici vedi: Alfonso M.
Di Nola - Fallismo e rappresentazioni religiose falliche, sta in Enciclopedia
delle Religioni, vol. II, Vallecchi Editore, Firenze 1970, coll. 1514-1526.
Richard Payne Knight - Il culto di Priapo, Newton Compton Editori, Roma
1981 e l'acclusa vastissima Nota bibliografica di Ireneo Bellotta.
4) Per il bastone come simbolo fallico vedi:
A. Rossi - R. De Simone - Carnevale si chiamava Vincenzo, De Luca Editore,
Roma 1977, pag. 203.
Per gli usi e le credenze:
James G. Frazer - Il ramo d'oro, Universale Scientifica Boringhieri,
Torino 1965, vol. III, pagg. 950-951.
5) Alfonso M. Di Nola - Amuleti e talismani, sta in Enciclopedia delle
Religioni, Vallecchi Editore, Firenze 1970, vol. I.
6) Joseph Cassar Pullicino - Studies in Maltese Folklore, Malta University
Publication, 1976, pag. 184.
7) Richard Payne Knight - Op. cit., pag. 9.
8) H. Herter - De Priapo, Giessen, 1932, pag. 13: "Brevi tempore
nomen eius cultusque per totam Greciam percrebuit".
9) Carmina priapea, a cura di R. Gagliardi, Savelli, Milano 1979, pag.
13.
10) M. Terenzio Varrone - Antiquitates rerum humanarum et divinarum,
XIV, fram. 59: "In celebratione nuptiarum super Priapi scapum nova
nupta sedere iubebatur".
11) P. Virgilio Marone - Bucoliche, Egloga VII, vv. 33-35.
12) Carmina priapea - Op. cit., I, v. pag. 25: "Ruber hortorum
custos".
13) Carmina priapea - Op. cit., XIV, vv. 6-7, pag. 33: "Pusilla
culti ruris numina".
14) Carmina priapea - Op. cit., XXIV, vv. 1-3, pagg. 37-38.
15) Carmina priapea - Op. cit., XV, vv. 1-3, pag. 33.
16) Carmina priapea - Op. cit., XX, vv. 1-6, pag. 37.
17) Diodoro - IV. 6. 4. ap. R. Payne Knight -Op. cit., pag. 16.
18) Mario Bernardini -Animali fantastici su di un cratere di Rudiae
e su un pilastro dell'anfiteatro di Lecce, sta in Archivio Storico Pugliese,
Bari 1952, pag. 102.
19) Ernest Jones - Saggi di psicoanalisi applicata. Vol. II. Folklore,
antropologia, religione, Guaraldi Editore, Firenze 1972,pag.23.
20) Agostino - De civitate Dei, VII, 21.
21) Ernesto De Martino - Sud e magia, Feltrinelli, Milano 1972, pag.
48.
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