Più povera
della Calabria e della Basilicata, con un saldo migratorio che ha annientato
l'incremento naturale della popolazione, abbandonata - dopo un primo,
interessante esperimento - dall'intervento pubblico straordinario, questa
regione è all'ultimo posto di tutte le graduatorie sul Mezzogiorno,
terra tipica della depressione socio-economica, profondo Sud da manuale,
area priva di una minima forza autopropulsiva, capace di svincolarla
dalla sua remota arretratezza.

Costituito in massima
parte dal Preappennino, con agricoltura diffusa e industria episodica,
il Molise gravita su tre delle quattro regioni confinanti: la Campania,
il Lazio e l'area pugliese della Capitanata. Quasi dissolti i vincoli
con l'Abruzzo, cui fu legata fino al 1963, quando, addirittura in contrasto
con le norme costituzionali, divenne regione autonoma.
Ghiaku sprishur
Aldo Bello
Nel 1963 il Molise
divenne regione autonoma. La Costituzione della Repubblica prevedeva
che potesse richiedere l'autonomia un'area comprendente almeno due province,
con una popolazione residente non inferiore a un milione di unità.
Il Molise aveva una sola provincia, Campobasso, e non raggiungeva neanche
la metà degli abitanti richiesti dal dettato costituzionale.
Eppure, con un referendum, si staccò dall'Abruzzo, e cominciò
a ricostruire la sua identità. Come regione "costituzionale"
si mise in regola al cinquanta per cento, creando la seconda provincia,
Isernia. Per quel che riguardava la popolazione, niente da fare. L'emigrazione
non aveva consentito nemmeno l'ordinata crescita demografica naturale.
Caso unico tra tutte le regioni meridionali, seguita forse dalla sola
Basilicata, il Molise presenta un saldo migratorio totalmente negativo:
le fughe non sono compensate dalle nuove nascite.
Ci sono paesi come mucchi di pietre: si sa che gli antichi preferivano
costruire sulle alture per difendersi dalle alluvioni, dai vicini e
da nemici che venivano da lontano.
Tutt'intorno, erano terre ben coltivate. Molte di quelle campagne, linde,
pettinate, irrigate a braccia, oggi sono lande abbandonate. I piccoli
borghi montani sono quasi deserti, moltissimi hanno perduto la metà,
o più della metà, degli abitanti. Dove si spingono le
coltivazioni, sono distese di grano a perdita d'occhio: messi bionde,
murgia dopo murgia, terrazzo dopo terrazzo, come nella vicina Capitanata,
cui il Molise, per lungo tempo, fu, più che unito, sottomesso.
Fu quasi sempre chiamato "Contado del Molise" (quasi a sottolineare
la soggezione politico-amministrativa e quella economico-agraria), e
rimase accomunato all'Abruzzo in una ingiusta subordinazione. Il gemellaggio
fra le due regioni contigue sembrava addirittura naturale, almeno fino
a che durò in queste valli la transumanza delle greggi, che dalle
irte montagne abruzzesi e da quella specie di nodosa mela cotogna che
è la montagna del Molise Centrale, scendevano a svernare nelle
pianure del Tavoliere pugliese. Cereali e bestiame, ricchezze sconvolte
dal crollo del settore primario e dalle allucinazioni dell'ideologia
"una ciminiera in ogni paese", sono - oggi - il simbolo dell'arretratezza
di quest'area.
Eppure, non si era partiti male. Avrebbero dovuto redimere gran parte
del Molise una diga alta sessanta metri e un lago artificiale. Inizialmente,
la capacità di invaso sarebbe stata di otto milioni di metri
cubi, in una gran fossa larga in media un chilometro, lunga otto. Le
prime previsioni irrigue parlavano di circa quattromila ettari, dominati
nella Piana di Boiano.
Aggiornato, il progetto aveva dimensioni da vertigine: la costruzione
della diga di Ponte Liscione avrebbe permesso l'accumulo di circa centosessanta
milioni di metri cubi d'acqua, destinati agli usi irrigui, a quelli
potabili e alla produzione (ed esportazione) di energia elettrica. La
superficie netta irrigabile superava i quindicimila ettari. La rete
di distribuzione coinvolgeva anche il territorio di Larino. I paesi
del Biferno, diventato fiume con la tuta blu, fiume-operaio e fiume-contadino,
avrebbero rotto la crosta del sottosviluppo. Si parlò di tempi
brevi, e forse anche quest'altra illusione ottico-fisica fu frutto dell'ansia
quasi panica dei meridionali di bruciare le tappe per un progresso che
hanno atteso per millenni. I tempi diventarono medi. poi lunghi, oggi
sembrano fermi. Create le strutture portanti, ma abbandonate quelle
indotte (agricoltura specializzata, industria di conservazione e di
trasformazione, ricerca e sperimentazione, creazione di sbocchi di mercato),
il Molise ha visto "saltare" i conti fatti al tavolo da politici,
economisti e responsabili dell'intervento straordinario. Roma, città
tentacolare, piovra del pubblico impiego e del parassitismo clientelare,
ha accolto più molisani che lo stesso capoluogo di Isernia. Le
regioni del "triangolo" settentrionale ne contano ancora di
più. Tutti i piani di sviluppo, venute meno le cifre dell'incremento
demografico, si sono sfasciati. Non sono più veritieri, hanno
numeri e dati astratti. Lo sviluppo industriale è stato, e resta,
un terno al lotto. Di quello silvo-agro-pastorale abbiamo già
detto. Nessuna meraviglia, dunque, se il Molise resta in fondo a tutte
le classifiche socio-economiche del Mezzogiorno e dell'intera penisola,
regione emblematica di un'arretratezza che non consente alcuna spinta,
alcuna forza autopropulsiva, capace di tirar fuori quest'area dalla
dimensione di profondissimo Sud in cui si trova da sempre.
Fu la terra orgogliosa dei Sanniti, rudi nemici di Roma, che a Roma
opposero la più accanita resistenza tra i popoli italici. Quando
Roma li vinse, decimandoli, dovette combatterli sulle montagne ancora
per secoli. Erano. le terre sannite, la porta d'ingresso verso una bellissima
Dreda; la Magna Grecia. Fu poi ponte di passaggio per tutti gli invasori
meridionali, fino a che cadde nei tempi più bui, quelli della
dominazione pontificia. Terra appartata, ricchissima solo di memorie
e storia locale, ingentilita da un'arte che restò - quasi senza
eccezione - anch'essa locale, rattiene una sua propria severità
costante, che si ammorbidisce a volte nella sorpresa che, oltre le ultime
barriere di rocce che si alzano con le montagne del suo baricentro,
permette la scoperta della gelosa, incantata solitudine dei suoi paesi.
Da Duronia a Pesche, da Montaquila a Venafro, da Campomarino a Fossalto,
da Guardalfiera a Portocannone, a Trivento, a Vinchiaturo, case e uomini
fusi con la montagna, in un'armonia assolutamente spontanea. Da Capracotta,
uno dei più alti comuni d'Italia, si scende verso Pescolanciano
e verso Trivento, antichi comuni regionali; oltre la Valle del Trigno,
sulla quale questi paesi si affacciano, si raggiunge Campobasso, capitale
dominata dalla rocca di Monforte. Casacalenda non è lontana da
qui: breve è la distanza, perché breve è la regione,
e quasi a vista sono i suoi confini cardinali. A Casacalenda Tovine
immaginò l'epopea contadina delle Terre del Sacramento; e se
grande fu l'arte con cui descrisse e raccontò l'amara vicenda
dei dissodatori delle "terre vergini" del feudo molisano,
non così difficile fu il lavoro della fantasia; la realtà
era lì, a portata di mano, immobile da secoli, cristallizzata
quasi, ad aspettare che la terra "tremasse", primo segno di
una riconquistata dignità civile e umana.
Il Molise centrale, roccia e roccia su grandi imbuti carsici, cede alle
alture coltivabili, sopra il Fortore e fino al Trigno: qui si spegne
un poco l'asprezza del paesaggio, l'orizzonte riprende una sua dolcezza
intenerita dal verde dei boschi di quercioli e di lecci. A oriente si
profila la riga azzurra dell'Adriatico. Termoli è lo sbocco del
Molise su questo mare; un borgo medioevale proteso sulle acque, con
il ricordo del suo passato a riflettersi negli specchi del porto, nodo
delle rotte verso il Sud-Est e verso il mondo slavo, punto di partenza
di Crociate e di antichi commerci. L'area di Termoli è l'antitesi
del Molise interno, cioè di quella parte di regione rimasta fuori
anche dalle prospettive minime create dalla diga di Ponte Liscione.
Vi si giungeva, fino a poco tempo fa, prima che si costruissero strade
migliori e l'Autosole, dopo ottantatre chilometri di arterie da capogiro
e con una ferrovia di cartone che, fra Casacalenda e Campolieto, (si
sfiorano i mille metri d'altitudine), restava spesso bloccata.
Il Molise interno è gelido, montagnoso, isolato. Termoli ha il
mare. Niente, neanche il dialetto li accomuna. La mentalità mercantile
dei termolesi contrasta violentemente con quella "ministeriale"
di Isernia e di Campobasso.
Gran parte del Molise guarda ancora a Napoli e alla laziale Valle del
Sacco. Termoli sparte gli occhi tra Pescara e Bari. Il Molise insegue
l'agricoltura intensiva, Termoli si è buttata nell'industria
e soprattutto nel turismo. Il Molise spera, Termoli è stata impaziente
e si è messa a giocare d'azzardo. Può vantarsi di non
avere quasi avuto una lira dalla Cassa per il Mezzogiorno, se si escludono
i finanziamenti per il nucleo industriale, e d'aver costruito lo stesso
un futuro su misura. Nell'immediato dopoguerra era poco meno di un villaggio,
oggi ha le prime raffinerie regionali. Perciò questa città
si sente pressoché estranea al Molise. Sa di esserne l'antitesi.
E solo da Termoli non si emigra. All'interno le emorragie demografiche
sono storia quotidiana, e i treni della speranza della letteratura meridionale
sono diventati i treni della consuetudine, dello stato di necessità.
Molti albanesi e molti dalmati che vivono arrampicati sui paesi a nido
d'aquila si salutano ancora oggi dicendo "Ghiaku sprishur",
che vuol dire "sangue sparso", e vuol significare una diaspora
antica, che li ha costretti ad abbandonare una terra natia che, nelle
mattinate serene vedono profilarsi tra le brume dell'orizzonte adriatico.
E sangue sparso si sentono il cinquanta per cento dei molisani che hanno
dovuto abbandonare case, piazze, paesi, amici, e rompere vincoli di
parentela e d'affetto, legami di cultura e di tradizioni, e quanto altro
è humus, clima, ambiente, per diventare perenni eradicati, lontano,
e comunque "altrove", solo per la conquista di una condizione
di imperfetta provvisorietà.
Letteratura di
Molise
Ada Provenzano
Rispetto all'Abruzzo,
regione con la quale formò un posticcio unicuum fino al 1963,
il Molise ha sempre avuto un più diretto contatto con l'Italia
meridionale: e con la Capitanata e la Puglia, fino al 1806, fu strettamente
collegata. I rapporti con Napoli (nella capitale del Sud furono presenti,
sempre, valenti uomini di legge molisani, come Andrea di Isernia, già
nel lontano Trecento) non riuscirono a stimolare nel Molise una vita
letteraria, che ebbe segni assai scarsi nel Medio Evo, nel Rinascimento
e nell'età barocca. Le stesse, non comuni risorse di leggende
e canti popolari locali non ebbero rafforzamenti fecondi con elementi
colti e letterari di un certo livello.
Nel Settecento illuministico la vita culturale molisana si manifestò
più alacremente, con elementi di livello europeo: Galantì,
Longano, Vincenzo Cuoco. Galanti, allievo dei Genovesi, fece convergere
la sua cultura di economista razionale nella "Descrizione dello
stato antico ed attuale del contado del Molise", e poi nella monumentale
e incompiuta descrizione geografica, statistica ed economica di tutto
il Regno di Napoli. Alla luce delle più recenti interpretazioni
dell'illuminismo meridionale, Galanti è proprio uno dei testimoni
più sicuri di quella concretezza del pensiero meridionale, di
cui una volta si denunciavano invece l'utopismo e il carattere troppo
teorico e speculativo. Alla stessa corrente appartiene l'altro allievo
dei Genovesi, Francesco Longano: Galanti e Longano, però, legarono
le loro speranze al riformismo illuminato dei governi assolutistici,
mentre al centro di un cospicuo numero di molisani attivi nella rivoluzione
del '99 e nel suo tragico epilogo (Serafini, Lucarelli, Palombo, De
Gennaro), spicca la figura di Vincenzo Cuoco, che di quella rivoluzione
divenne poi lo storico e il critico, assurgendo, specie nella prospettiva
romantica e idealistica, a precursore di una visione storicistica, contrapposta
spesso e troppo facilmente all'illuminismo utopistico e antistorico.
Proprio nel periodo napoleonico e muratiano si forma una classe culturale
e politica che associa, nell'Ottocento risorgimentale, l'esercizio amministrativo,
l'attenzione alle esigenze e alle tradizioni locali, l'aspirazione politica
liberale e il gusto della storia, dell'economia, della letteratura.
Massimi esponenti di questo comportamento, Giuseppe Zurlo e Gabriele
Pepe. Nell'età post-unitaria, dominata dal positivismo, si rivela
la formazione di una coscienza storica, sociale ed etnografica. La scuola
del metodo storico ebbe Francesco d'Ovidio e, figura minore, il Colagrosso.
Un'originale vena poetica si ha in pieno Novecento: Felice del Vecchio,
Eugenio Cirese; e il narratore Francesco Jovine, che realizzò
con alti toni la sofferta vicenda del Molise oppresso. Tra gli ultimi
esponenti della poesia molisana, Sabino d'Acunto e Geri Morra.
Storia di Molise
Pino Orefice
Terra dei Sanniti,
oppose un'accanita resistenza alla conquista romana. Sconfitti Irpini
e Sanniti, dopo aver subìto l'umiliazione delle Forche Caudine,
Roma ebbe aperte le vie della Magna Grecia. Dopo le devastazioni della
guerra gotica (535-553), il territorio fu invaso dai Longobardi e aggregato
al Ducato di Benevento. Da quel momento ebbe inizio un faticoso progresso,
che non s'interruppe neppure con l'insediamento di un'orda di mercenari
bulgari, che costituirono un castaldato tra Sepino, Isernia, Trivento
e Venafro. La Chiesa riuscì ad acquistare un notevole potere,
basato sul possesso di molte aree, dopo la conversione dei Longobardi
al Cattolicesimo. Con l'inizio delle invasioni saracene del IX secolo,
il territorio decadde economicamente, e nel secolo successivo vi si
affermarono alcune signorie feudali. Poco per volta si formarono nove
Contee: Venafro, Larino, Trivento (X secolo), Boiano, Isernia, Campomarino,
Termoli, Sangro, Pietrabbondante (inizi dell'XI secolo). Fra queste,
cominciò a prevalere Boiano, che ebbe come signori i conti normanni
Rodolfo e poi Ugo I di Molhouse (o De Molinis, o Molisio), donde - per
alcuni - il nome della regione. Quest'ultimo ingrandì i confini
della contea, ponendo le basi di un compatto dominio feudale. Nella
prima metà del XII secolo, il conte Ugo II poté assumere
il titolo di conte del Molise. Alla sua morte, la contea fu ceduta dalla
reggente Margherita di Navarra a Riccardo di Mandra, e all'inizio del
XIII secolo pervenne a Tommaso di Segni, conte di Celano, che a sua
volta la perdette, in favore dell'imperatore Federico II. Questi, per
eliminare i grandi feudatari della regione, la trasformò in giustizierato.
Dopo vari mutamenti in epoca angioina e aragonese, il Molise rimase
aggregato alla Terra di Lavoro fino al secolo XVI, quando fu unito alla
Capitanata. La regione conobbe nei secoli XVI-XVIII disagi gravissimi,
l'isolamento e la decadenza economico-sociale. Con l'occupazione francese
e con un decreto emanato nel 1806, fu resa provincia autonoma. La dominazione
borbonica peggiorò le sue condizioni, e nemmeno l'unità
d'Italia portò a un suo immediato risollevamento. Il Molise divenne
così terra del brigantaggio. Dal 1963 costituisce una regione
autonoma dall'Abruzzo. Ed è rimasta, forse solo insieme con la
Basilicata, un esempio insuperato di terra decimata dall'emigrazione.
PROFILI DELLE
REGIONI DEL MEZZOGIORNO
8. - Molise
Guglielmo Tagliacarne
La più
piccola regione del Sud. - Una delle tre sorelle povere.
1. Popolazione
e occupazione
Tre cifre possono
subito inquadrare e caratterizzare questa regione: rappresenta lo 0,6
per cento della popolazione italiana e soltanto lo 0,3 per cento come
reddito e lo 0,4 per cento come consumi privati. Quindi, regione piccola
ed estremamente povera.
La popolazione, ripartita in 136 comuni, è stata censita, nell'ottobre
1971, di 319.629 abitanti residenti e 302.060 abitanti presenti. Le
famiglie sono 93.285. Il fatto che la popolazione residente superi quella
presente, come in tutte le regioni del Sud, sta a significare che il
Molise è una regione di emigrazione; i suoi emigranti sono diretti
specialmente verso il Lazio, le regioni nord-occidentali e l'estero.
Nel 1972 si sono registrate 9.283 cancellazioni (emigrazione) per trasferimento
di residenza dai comuni del Molise verso altri comuni delle regioni
seguenti:
Si ha conferma del fenomeno dell'emigrazione dal decremento demografico
registrato dal 1951 al 1971. In nessun'altra regione si è verificata
una perdita così grave: del 21,4 per cento. Ecco le variazioni
delle varie regioni del Mezzogiorno dell'ammontare della popolazione
nel decorso ventennio.
Alla fine del gennaio 1977 la popolazione residente del Molise veniva
calcolata in 330.529 abitanti con un aumento del 3,4 per cento rispetto
all'ottobre 1971; il che si deve probabilmente alla rallentata emigrazione
e, negli ultimi anni, con i numerosi rimpatri. Per l'Italia, complessivamente,
l'aumento della popolazione nel medesimo periodo è stato del
4,1 per cento.
Le abitazioni occupate sono 89.261, con 332.261 stanze; queste sono
quasi pari al numero di abitanti: si ha quindi una media di circa una
stanza per abitante.
La diminuzione della popolazione indicata più sopra contrasta
con il movimento naturale: infatti fra il tasso di natalità del
13,6 per mille abitanti e quello della mortalità di 9,7 per mille
abitanti, si ha un residuo attivo del 3,9 per mille abitanti. E' questo,
tuttavia, il tasso di incremento più basso fra le regioni del
Mezzogiorno a causa del. saggio di natalità, che è inferiore
a quello di ogni altra regione del Sud. Per la provincia di Isernia
si è riscontrato nel 1976 un numero di morti superiore a quello
dei nati. E' questa la prima provincia del Sud che presenta un saldo
negativo per nascite e morti.
La mortalità infantile, cioè il numero dei morti nel primo
anno di vita su mille nati vivi, è nel Molise del 17,3, il più
basso fra le regioni del Mezzogiorno e sensibilmente inferiore alla
media nazionale, del 22,6 per mille (dati del 1974).
La popolazione attiva in agricoltura è costituita da 56.089 persone,
pari al 46,5 per cento di tutta la popolazione attiva della regione:
è questa la proporzione più elevata fra tutte le regioni
del Mezzogiorno e molto superiore alla media nazionale, pari al 17,3
per cento.
L'industria nel Molise è di scarso rilievo; le unità locali
sono 4.889 con 14.181 addetti. Prevalgono le aziende gestite in forma
artigiana.
2. Reddito e
consumi
Il reddito lordo
prodotto nel Molise è stato calcolato dall'Unione delle Camere
di Commercio per il 1975 in 422.100 milioni di lire. Il reddito netto
per abitante è di appena 1.280.000 lire, molto vicino a quello
più basso di tutto il Mezzogiorno, constatato per la Calabria
di 1.179.000 lire. Il reddito medio pro capite è poco più
della metà di quello medio nazionale, di 2.006.000 lire. La quota
più rilevante del reddito del Molise proviene dall'agricoltura,
con il 20,8 per cento del totale: èquesta la percentuale più
elevata in confronto alle altre regioni del Mezzogiorno.
Le altre attività rappresentano le quote indicate nel seguente
prospetto, confrontate con quelle della media italiana e del Mezzogiorno.
I depositi presso le aziende di credito, conglobando quelli dei privati
con quelli delle imprese, nel 1972 sono ammontati a 98 miliardi di lire,
concentrati per circa l'80 per cento nella provincia di Campobasso.
L'ammontare degli impieghi (50 miliardi di lire) è minore della
metà dei depositi: rapporto estremamente modesto.
E' notevole anche nel Molise l'afflusso di depositi sotto la forma di
libretti a risparmio, buoni fruttiferi e conti correnti postali, con
un totale di 113 miliardi di lire.
Poco meno della metà delle spese per consumi sono assorbiti nel
Molise dall'alimentazione, bevande e tabacchi: questa alta percentuale
è la conferma del modesto livello di vita dei molisani.
La ripartizione dei consumi per il Molise è 76,4 per cento per
i consumi privati e 23,6 per cento per quelli pubblici (rispettivamente
per la media nazionale, 81,8 per cento e 18,2 per cento).
3. Il reddito
prodotto dall'agricoltura, silvicoltura e pesca e la consistenza del
bestiame.
Già si è detto che il Molise è caratterizzato da
un'alta quota di reddito prodotto dall'agricoltura. Ora vediamo com'è
costituito detto reddito per il 1976.
Fra le coltivazioni più importanti nel Molise occupa una posizione
notevole il frumento con 1.766.000 quintali (anno 1974) pari all'1,8
per cento del totale nazionale. La coltivazione del granoturco rappresenta
con 328.000 quintali lo 0,5 per cento del totale d'Italia e l'uva con
558.000 quintali (0,5 per cento del totale).
La consistenza del bestiame al 1. dicembre 1976 è la seguente:
Come si vede, la consistenza del bestiame è particolarmente notevole
per i suini e specialmente per gli equini.
Le aziende agricole nel Molise sono 53.014 e rappresentano l'1,5 per
cento di tutte le aziende dell'Italia. La loro superficie è di
381.555 ettari, pari ad una media per azienda di 7,2 ettari, circa uguale
a quella nazionale (7,0 per azienda).
La quota del reddito prodotto in agricoltura pari, come si è
visto, allo 0,76 per cento rispetto al totale dell'Italia, è
il frutto del lavoro di una quota dello 0,60 per cento degli addetti
in tale settore sul complesso nazionale (censimento 1971).
Nelle attività industriali, secondo l'ultimo censimento della
popolazione, le persone occupate rappresentano solo lo 0,2 per cento
del totale nazionale degli addetti in tali attività. Un altro
dato che conferma il grado di arretratezza dell'attività industriale
nel Molise è fornito dal consumo di energia elettrica, che costituisce
solo lo 0,1 per cento rispetto al totale di tutta Italia.
Anche per il turismo il Molise presenta valori modestissimi: i posti
letto disponibili (3.366) costituiscono solo lo 0,1 per cento del complesso
nazionale.
4. Isernia, la
provincia più povera d'Italia
Sia la provincia
di Campobasso quanto la nuova provincia di Isernia sono fra le più
povere di tutta Italia, ma quella di Isernia rappresenta il fanalino
di coda della graduatoria di un indice che comprende dieci aspetti di
particolare valore per la misura del livello economico: essi sono costituiti
da alcune spese e consumi e da alcune imposte (di famiglia e complementare).
Nel complesso, fatta uguale a cento la media pro capite per l'Italia,
l'indice globale del livello economico è risultato di 51 per
la provincia di Campobasso e di 36 per quella di Isernia.
5. Le aree socio-economiche
Un'analisi più
particolareggiata di questa regione è possibile quando si considerino
aree minori di quelle provinciali, ma di significazione più concreta,
quali sono le aree socioeconomiche. Esse sono costituite da un centro
urbano verso il quale convergono gli abitanti di una data zona circostante
per usufruire di attività e servizi di varia natura: acquisti
di beni non comuni; impiego; scuola; ospedali; istituti di cura; consulenza
di professionisti; divertimenti; svago; eccetera. Queste aree costituiscono
comunità nelle quali si svolge il complesso di una vita sociale:
aree di convergenza e di complementarietà di interessi e di attività.
Dette aree, determinate con ricerche e sopralluoghi dall'Unione delle
Camere di Commercio, sono quattro:
- area di Campobasso, costituita da 57 comuni;
- area di Isernia, costituita da 52 comuni;
- area di Larino, costituita da 14 comuni;
- area di Termoli, costituita da 1-3 comuni.
Per ciascuna delle quattro aree abbiamo raccolto i seguenti dati:
6. Alcuni indici di benessere e sociali
Gli abbonati alla
radio e alla televisione nel Molise sono 202 su 1000 abitanti, contro
una media di 227 per il totale dell'Italia. Ma si nota una disparità
notevole, se si considerano gli abbonati alle radioaudizioni separatamente
da quelli della televisione: per 1000 abitanti.
Le spese per spettacoli
in Molise (1974) sono appena 3.317 lire, poco meno di un terzo della
spesa media per tutta Italia, pari a 9.713 lire.
Le autovetture circolanti nel Molise sono 15,7 per 100 abitanti, contro
la media nazionale del 25,7 per cento. I depositi presso le aziende
di credito costituiscono solo lo 0,2 per cento nel Molise sul totale
nazionale, quelli presso l'amministrazione postale salgono all'1,2 per
cento.
Il quoziente di criminalità (delitti per 100.000 abitanti) è
stato calcolato per il Molise in 1.250, contro un quoziente di 3.258,8
per la media nazionale. Le separazioni legali in Molise sono il 4,0
per 100.000 abitanti, contro la media di 27,1 per tutta Italia. I scioglimenti
di matrimoni nella regione sono 14,7 per 100.000 abitanti in confronto
a 27,7 per la media complessiva del Paese.
Come si vede dai pochi indici qui riferiti, si ha la riprova dell'arretratezza
economica, quindi dei consumi e delle spese voluttarie; ma rispetto
a fattori come quelli della delinquenza e della vita familiare, la regione
si presenta in senso nettamente favorevole.
7. Breve sintesi
Il Molise costituisce,
insieme con la Calabria e la Basilicata, l'area più depressa
del Mezzogiorno. E' caratterizzata da una elevata quota di attività
agricola; per contro, presenta un bassissimo grado di industrializzazione,
sebbene si sia riscontrato negli ultimi anni uno sviluppo industriale
di una certa importanza. I consumi sono quanto mai modesti. Come valore
di mercato esso è molto limitato e può assumere un certo
livello solo per beni comuni e di prima necessità.
La regione è seriamente depauperata da una forte perdita demografica,
cioè da una progressiva diminuzione di popolazione per emigrazione.
Presenta pure un basso tenore di nascite, che contrasta con il forte
impulso di nascite caratteristico nel Mezzogiorno.
Nella depressione quasi generale, si elevano di poco la provincia e
l'area di Campobasso, mentre Isernia e Larino restano povere cenerentole.
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