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Itinerari leccesi
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Cronache barocche |
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testi
di Enzo Panareo disegni originali di Raffaele Spizzico
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La pietra protagonista
e nello stesso tempo narratrice di una vicenda arcana che ancora incanta,
in una città in cui chiese e palazzi patrizi esprimono i motivi
di una civiltà composita e pittoresca che, passata indenne attraverso
la ferocia dei secoli, perdura.
Biancamente dorato
Scrisse Carlo Levi:
"La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni". A Lecce,
invece, la notte par che gli angeli ed i santi di pietra si diano convegno
nelle raccolte piazzette della città e li, tranquillamente, si
raccontino storie favolose. Discesi dalle facciate delle chiese e dei
palazzetti, dopo essersi di giorno offerti indifferenti all'ammirazione
dei turisti ed allo sguardo distratto dei leccesi, essi intrecciano
lunghe storie, quasi sempre appena sussurrate, nelle quali la nozione
del tempo si misura sul frenetico ricamo delle architetture.
Santa Croce - che completa il luminoso palazzo dei Celestini - è un trionfo che l'uomo, il lavorio del tempo e quello degli elementi hanno affidato alla città. A scavare nelle rughe della pietra, si possono cogliere i momenti di una vita forse ancora attuale; vescovi paludati, preti, monaci e monache salmodianti, fedeli rapiti nel fumo dell'incenso, e su tutto statue di santi indifferenti portate in processione. "A.D.1684 A 6 marzo fu decapitato il sig. Consalvo Santa Barbara di Minervino essendo fuorgiudicato la causa si fece ad horas, e si perorò dal sig. Francesco Bozzicorso avvocato primario di questi nostri tempi. A 18 fu appiccato Vito Venere di Racale e si ruppe il chiappo e fu ammazzato dai soldati con archibuggiate. A 9 luglio di domenica entrò in Lecce la statua di Rame del nostro S. Oronzo venuta da Venezia per collocarsi sopra alla colonna della pubblica piazza quale statua si pigliò processionalmente dalla Chiesa dei PP. Alcantarini fuori le mura associata da tutte le confraternita, Conventi e dal Revendissimo Capitolo ed infinità grande di nobili, civili, ed artigiani colle torce accese e con tutta la soldatesca della Provincia a piede e a cavallo, quale statua si portava sopra una bara grande, e la sostenevano 24 persone benvestite e tutte guarnite di seta. Andavano avanti di detta bara i musici cantando lodi al detto Santo. Nell'entrare in piazza si fece una salva reale di mortaretti con lo sparo dell'artiglieria del castello e anche delli soldati ... " (1) In queste reviviscenze il barocco diventa verità. Verità di esistenze impegnate in preghiere, traffici, dispute, amori: la storia della città è nei manuali, ma è soprattutto nella successione dei motivi decorativi che hanno condizionato il sentimento degli uomini, formandone il carattere. Un frenetico
A Lecce il sole
è complice della pietra. Le seduzioni che questa escogita nascono
e sono alimentate dalla carica di amore che il sole, impietosamente
talvolta, le riversa addosso. Le strette e contorte vie della Lecce
seicentesca, sovrastate dalle ricche mensole che sorreggono i balconi,
danno il senso di una vastità che è tutta interiore. Si
annulla, dunque, la nozione dello spazio topografico e si esalta quella
dello spazio dell'anima che cerca di andare al di là. A guardare
in alto, percorrendo quelle vie, par di affondare nei secoli, par che
quelle mensole, mentre propongono donne smisuratamente poppute e tralci
abbondantemente carichi, ammoniscano con la loro opulenza sulla caducità
della vita. Una sensazione confortata, talvolta, dal muschio e da qualche
ciuffo d'erba che ha preso imprudentemente dimora nelle commessure della
pietra ferita dal tempo.
In qualche periodo la pestilenza a Lecce infuriò senza pietà. Nelle miserabili stamberghe di una improbabile periferia gli uomini languivano, abbandonati alla voracità del morbo, e morivano reclamando dal Santo una protezione accordata a poco prezzo. "... I leccesi dunque avevano sino a quel tempo della peste o ignorato o dimenticato questo loro santo. L'essere scampati dal morbo li fece a un tratto svegliare e d'accordo con Monisignor Pappacoda fecero pratiche presso la S. Sede onde averlo protettore. Il Baronio e i Bollandisti non trovarono Oronzo nei loro elenchi e poca fede prestarono alle leggende esumate e alla pergamena longobarda citata dal Ferrari che nessuno aveva visto. Essi osservarono nella vita precedente del Santo una mistificazione umanista dell'epoca allorché le città e le famiglie si facevano derivare da un ceppo romano e del tutto patrizio. Ma c'eran prove di forte credenza, di lontane visioni, di brani di tradizioni tramandate da padre a figlio, che essi non seppero contrastare... La Santa Sede compenetrata più dalla fede dei leccesi che dalla validità delle prove sanzionò, a 16 luglio 1658 l'elezione a protettori di Lecce dei tre martiri e la relativa festa di precetto ... " (2) Alla fine non uno,
ma tre protettori! La devozione in questa città correva sul filo
di una santità inventata. Gli uomini qui, in realtà, pregavano
con la pietra. C'è in S. Croce un altare che è tutto un
ricamo. In nicchiette poco profonde formicolano graziose figurine che
raccontano, festose, la vita ed i miracoli di S. Francesco di Paola.
Il tempo della fede in questo altare è diventato la fede nella
morbida pietra. Francesco Antonio Zimbalo, quando nel 1614, in giorni
e giorni di lavoro paziente, scolpì quelle figurine pregava,
invocando dal santo una protezione bonariamente accordata. I suoi peccati
gli furono certamente rimessi in virtù di quella pazienza. In
quelle nicchie la luce tremula di ceri fumiganti, quando non è
quella più mistica delle lame di sole che s'insinuano attraverso
i finestroni posti in alto, la muovere quelle figurine e sconfigge il
tempo, restituendo ai miracoli del santo la serena ingenuità
della vita.
In tal contesto negli anni dello splendore spagnolesco, una questione di forma assumeva agli occhi dei fedeli cronachisti un valore, non è esagerato affermarlo, patriottico. "A. D. 1695 A 12 Marzo di sabato venne in Lecce la signora Contessa di Conversano D. Pupina Acquaviva, e stanziò in casa del Vescovo, dove dimorò 4 giorni, e portava seco il Contino di anni 4 e rimase stupita quando girò tutta Lecce per la bellezza della città. Ma si deve però sapere come l'anzidetta signora Contessa pretendeva dalle nostre dame l'Eccellenza, ma le medesime le fecero intendere che le signore leccesi non davano tale titolo a chicchessia ma se ciò voleva dovesse ella trattarle col titolo d'Illustrissime, onde non essendosi accordate, non vi fu niuna che l'andasse a riverire come fecero i nostri signori nobili i quali così non preggiudicarono il loro onore e zelo e stima della patria..." (3) Prodotti, anche questi, del barocco! Un'aria d'oro
A Lecce il barocco
ha arrestato il tempo. Tutto sembra ancorato ad un momento - ore, giorni,
secoli - irripetibile della storia della città, quando attraverso
il fornice dell'Arco di Trionfo gli eventi entravano, venendo dal Reame,
per raccogliersi indolenti nel Sedile dal quale si amministrava l'esistenza
splendida e grama dei leccesi. Ma non solo nel Sedile. Affari di stato,
intrighi politici e familiari trovavano il loro naturale sviluppo nel
raccoglimento dei saloni patrizi, nei quali si incontravano i maggiorenti
della città. Saloni maestosi, decoro dei palazzi delle arterie
cittadine.
"A. D.1688 A 1 Giugno di Pentecoste la sera ad ore 2 di notte avanti la Chiesa di S. Eligio fu tirata un'archibuggiata a Giuseppe Tiso da Lecce ed il terzo giorno se ne morì..." (4) Le cronache che
tramandano la vita della città nei secoli del Reame sono il più
delle volte cronache insanguinate. Racconti di eventi truci, nei quali
hanno luogo agguati, ammazzamenti per interesse o per rivalità
in amore, esecuzioni capitali, dopo un regolare processo o sommarie,
eventi dai quali si ricava l' idea di una città che, ai margini
dello splendore patrizio - e quanto inquinato anche questo! -, ospitava
i miasmi affioranti dalla palude della miseria e della degradazione
sociale. Certi angoli leggiadri, a sollecitarne la memoria attraverso
le cronache tramandate, assumono oggi, a chi li ripensa nel tempo, il
volto fosco e temibile di scenari sui quali furono consumate le più
nere turpitudini. Lecce fastosa e miserabile, dunque! La città
dai mille volti umani, la città di una vita multiforme nella
quale grandezza e miseria convivevano tranquillamente. "... Cominciò a sorgere anche una nobiltà di straforo composta di mercanti, di avvocati e di notai e che si sovrappose a quella autentica di antico stampo... Era il secolo che decadeva e tra il rimescolio di razze e l'incrociarsi di condizioni diverse succedevano sfide e ammazzamenti ad ogni passo". (6) Nasceva, con i secoli
del barocco, una nuova classe dirigente, una borghesia mercantile abile
ed avida, che aspirava al successo ed al blasone. Cominciarono le fortune
degli avvocati, degli uomini di legge i quali prosperavano sugli eventi
delittuosi, sulle controversie per interessi economici. E cominciarono
a sorgere i nuovi palazzi, le dimore fastose nelle quali questa nuova
classe s'insediava con prospettive ardite. NOTE |
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