Napoli é
un mondo che fa impazzire l'ago della bussola di urbanisti, sociologhi,
economisti, con la sua immensa miseria, con la sua disperata condizione
umana, con la quotidiana guerriglia per la sopravvivenza. L'altra Campania
è tagliata in due: quella costiera, con l'immediato hinterland,
pianeggiante e riordinata, è in grado di darsi, in futuro, uno
sviluppo autonomo; l'altra, interna, fragile e sconvolta, preannuncia,
dopo le oasi di Benevento e Avellino, il caos idrogeologico della Calabria
e della Basilicata.

Lunga 200 chilometri, dalla foce del Garigliano a Sapri, nel Golfo di
Policastro, e larga 130 chilometri, da Pozzuoli a Rocchetta S. Antonio,
si divide in quattro zone: pianure costiere, isole, preappennino vulcanico,
massicci calcarei dell'interno. Metà del territorio è
collinoso; la parte restante è montana al 35 per cento. Divide
col Lazio il corso del Garigliano. Massimo fiume regionale, il Volturno,
che conta notevoli affluenti: il Calore, che bagna Benevento; il Tanagro
e il Sele, che alimentano l'Acquedotto Pugliese. Tre laghi: quello costiero
del Fusaro, quello carsico del Matese, e l'ultimo - caro alla mitologia
- dell'Averno.
Felix
Aldo Bello
Nel 1904, con la
"Risorgimento Economico", lo Stato assegnò a Napoli
un prestito per aiutarla a risolvere i suoi problemi.
La "Risorgimento Economico" fu la prima (e la più lunga,
con ben quaranta articoli) di una serie di leggi speciali, nessuna delle
quali è riuscita, come dicono i partenopei, "a risolvere
il resto di niente". Si è perpetuata la storia delle magniloquenti
e inutili leggi speciali italiane. Perché? Perché ciascun
intervento straordinario parte affermando che il comune conta, press'a
poco, un milione e duecentomila abitanti. Poi si scopre che la metropoli
incomincia a Cuma e finisce a Castellammare.
Ad esser cauti, son due milioni e mezzo di uomini. Le leggi parlano
di un centro e di una periferia. Niente del genere.
Si passa da un marciapiede all'altro, in qualsiasi via della città,
ed è come trasferirsi di colpo da un agglomerato urbano ad un
altro; da una società, da un tipo di economia ad un'altra. Sono
isole che si alternano all'interno del tessuto urbano. E' un arcipelago
di società fisse. La situazione non muta se dai quartieri del
cuore di Napoli si passa agli agglomerati esterni: i comuni che da una
quarantina d'anni in qua sono entrati a far parte della città
non hanno mutato se non in peggio la loro condizione.
Alcuni erano comuni agricoli; l'insediamento urbano ha lasciato senza
lavoro gli agricoltori, ha tolto loro la terra. Tutto ciò vuol
dire che nella provincia lo spostamento verso l'esterno del sottoproletariato
napoletano non ha modificato affatto la situazione. Anche le industrie,
rispetto alla dimensione della metropoli, sono trascurabili. Eccezion
fatta per l'Italsider e per un manipolo di altri impianti che assicurano
un minimo - ma proprio minimo - di occupazione, le altre sono attività
che servono la città. Il porto, anch'esso, tolti i carichi per
gli stabilimenti di Bagnoli e per le raffinerie, fornisce merci che,
nella massima parte, restano a Napoli. Ma allora, di che vive questa
città? Facciamo un calcolo sommario: tolte quindicimila famiglie
che attingono le risorse agli impianti industriali, ci sono tra dipendenti
dell'amministrazione comunale, impiegati ai trasporti, alle comunicazioni,
e alle aziende di luce, acqua e gas, poco più di centomila addetti.
Questi costituiscono il grosso del reddito. Aggiungiamo settemila funzionari
degli istituti di credito e dell'assicurazione; ci sono cinquantamila
edili; pochi altri sono produttori di un reddito, la cui fonte è
fuori città. Il resto commercianti, avvocati, strozzini, magliari,
professori, geometri, ambulanti, contrabbandieri, medici, maghi, giocatori
del lotto, esorcisti, e i trecentomila disoccupati perpetui di Napoli
- vivono dei primi. Ossia, in buona parte Napoli campa attingendo ai
fondi che usa per amministrarsi. Quando aveva un Regno la cosa era fattibile.
Ma il Regno non c'è più. E' rimasto solo il meccanismo;
anzi, in qualche modo è cresciuto e si è perfezionato:
mentre si moltiplica, Napoli si divora. E' la sua specialità,
ed è il suo dramma più antico, che può avere un
giorno o l'altro ripercussioni da cataclisma.
Qualche tempo la, in un bel saggio sulla storia del Mezzogiorno, Giuseppe
Galasso ricordò la sostanziale dipendenza di alcuni principali
aspetti progressivi di questa storia da un "aiuto esterno":
la monarchia spagnola nella lotta contro i particolarismi baronali alla
fine del secolo XV; la potenza francese durante la repubblica del 1799
e nel periodo muratiano; l'intervento garibaldino-piemontese nel 1860.
Sulla necessità di interventi "nordici" per la soluzione
dei problemi meridionali era giunto a concordare nel secondo dopoguerra
anche Salvemini, ("L'Italia meridionale non può fare da
sé"). Poi venne il tempo degli interventi straordinari nel
Sud. Ha beneficiato Napoli in misura adeguata alla politica meridionalistica
svolta? Rispondere a questa domanda richiederebbe un esame assai accurato.
Si potrebbe osservare, anzitutto, che la posizione economica relativa
di Napoli nel Mezzogiorno è peggiorata dal 1951 ad oggi. In quell'anno,
il reddito medio della provincia partenopea superava del 39,2 per cento
quello medio del Mezzogiorno; nel 1963, il dislivello si era ridotto
al 26,7; nel 1973 era sceso al 4,5; oggi, forse è pari, e forse
è un pò sotto. Il fatto, di per sé, non è
negativo, rientra in un salutare processo di redistribuzione di beni
e risorse fra l'antica capitale e il resto del "Reame".
Questo processo è stato favorito da fattori geografici o da deliberati
indirizzi di politica delle nuove localizzazioni industriali, che spiegano
largamente lo sviluppo e la crescita di numerose aree meridionali. Tuttavia,
dove il ritmo di progresso dell'area napoletana diventa un fenomeno
del tutto negativo, è quando lo si valuta non come "decadenza
relativa" di Napoli rispetto al Sud nel suo insieme, ma come insoddisfacente
sviluppo dell'economia napoletana in rapporto all'enorme addensamento
demografico che questa città rappresenta. La densità provinciale
per chilometro quadrato di Napoli (2.067 abitanti) è pari a circa
quattro volte la densità provinciale di Roma (519), quasi due
volte quella di Milano (1.145), sette-otto-nove volte quelle di Torino
(267), Bari (246), Palermo (222). In questo gran calderone ribolle e
si agita un'umanità promiscua, ottimistica e depressa, fatalistica
e affamata, che non è quella dei palazzi di Foria, del Vomero,
di via Toledo, o delle ville di salita Tasso; è quella dei vicoli
e dei bassi: sono i sottocittadini della sottocittà, che si riforniscono
ai loro sottomercati: per i vestiti a Ponte di Casanova.
Per le scarpe alla Duchesca e alla Maddalena per i viveri ai Vergini
e a Pignasecca, per le sigarette e gli elettrodomestici a Forcella.
L'itinerario dell'"economia da vicolo" è lungo e tortuoso,
ma non conduce in alcun luogo. I problemi di Napoli sono, in parte,
anche queste isole brulicanti e chiuse, inespugnabili.
Napoli ha sempre sintetizzato tutte le contraddizioni del Sud. Ebbe,
in Italia, la prima ferrovia, la prima società di navigazione
e la prima metropolitana, Ha un Istituto per gli Studi Storici, fondato
da Croce, e due fra le Accademie più celebri dal lontano 1700;
un Istituto di Fisica Nucleare; la migliore Scuola italiana di specializzazione
in Economia e Agraria, a Portici; il più celebre centro di lingue
straniere. E su Napoli pesa un pauroso indice di non-scolarità;
Si diserta la scuola dell'obbligo, che altrove segna il limite del nuovo
analfabetismo. Ha una delle migliori, e più articolate Università
del Centro-Sud, ma si preferisce "andare a legge", a prendere
l'avvocatura, perché Napoli è la terra del cavillo e del
gesto ciceroniano, la patria di Porzio e De Nicola.
La metropoli ha un'area agricola unica in Europa, con una produzione
media per ettaro uguagliata solo dall'hinterland di Imperia, ma registra
la maggiore frantumazione terriera del vecchio continente, con mezzo
ettaro per abitante. Ha risorse umane di primo piano, fantasia, inventiva,
capacità intellettuali singolarissime, destrezza, ma spreca tutto
nel circuito dell'individualismo e dell'improvvisazione, o, al massimo
della cooperazione, nel giro familiare e tribale. E' un mondo che la
impazzire l'ago della bussola degli urbanisti, dei sociologhi, degli
economisti, con la sua immensa miseria, con la disperata condizione
umana, con la quotidiana guerriglia per la sopravvivenza: nelle strade,
nei giardini, nei vicoli, nelle salite, nei bassi, negli ammezzati,
nei quartieri, nei circondari: in tutta Napoli. Dappertutto è
un bianco sertao su cui gli uomini incidono trame intricate e inimitabili
vicende, bizzarri scorci di vita. avventure umane fuori d'ogni logica,
al di sopra d'ogni razionalità, cioé privi d'ogni comune
principio scientifico, ad quale - bene o male - tenta di attenersi qualsiasi
altro comunità umano.
In questo, io credo, Napoli è tutta orientale: negli uomini e
nelle donne, nelle case e nelle piazze, nelle seduzioni che offre, nelle
poesie che canta, nella fame che vive, negli affari che invento, nei
lutti che piange, nell'aria che respira, nei pensieri che esprime, nei
sogni in cui muore, nel sole in cui brucia. Nel coro di voci che, qui,
ha cantato per millenni le sue nere sventure, le dominazioni, il servilismo,
le rivolte, il sangue e l'amore, la forca e l'alcova.
Napoli era città ricca. Sotto i Borboni e dopo, sotto i Piemontesi.
Poi venne il protezionismo, e venne la regressione. Napoli diventò
allora profondo Sud. E c'è rimasta anche quando avrebbe potuto
fare grandi cose, mentre ha visto "passare a nord" Salerno
e Caserta, Bagnoli e Pomigliano. Qui si chiamarono i grandi ingegneri,
i Tocchetti, i Beguinot, i Mazzuolo, li si fece lavorare giorno e notte,
dovettero tirar fuori piani per insediamenti industriali che guardassero
lontano e respirassero aria di futuro. A Napoli si son fatti piani per
un domani che è già oggi, mentre il porto invecchia, la
città si sfascia e sprofonda, la demografia prorompe, i servizi
si intasano, il settore terziario (anche illegale) ha cifre da vertigine.
Napoli arretra, mentre la Campania avanza. Napoli incancrenisce, mentre
intorno si decolla. Napoli muore impazzendo di gioia, con un veicolo
ogni sei abitanti (indice d'incremento superiore alla media nazionale),
con decine di miliardi in cambiali protestate (indice superiore a quelli
di Milano e Torino messi insieme), con Piedigrotta, con un paio di inutili
Fiere, con le Case dello Scugnizzo, con i palazzi in bilico sulle creste
delle frane, con i santoni, con gli ispirati, con i sognatori di numeri,
con i miracoli. Napoli va morendo con la sua amara scienza, un poco
alla volta: resta una città sempre più sola, con i suoi
sogni traditi, con i suoi fantasmi esiliati, con i suoi canti spenti.
E' il silenzioso, triste epilogo d'una Capitale che troppo a lungo ha
covato la speranza del privilegio politico, geografico, storico, con
le sue classi verticalizzate, i suoi padroni intoccabili, le sue camorre
inattaccabili, i suoi vizi inalienabili. Neapolis, la nuova città
dei greci migratori, è un vecchio groviglio di cimiteri su cui
scende, a volte, di notte, un lamento di luna.
L'altra Campania, quella che non ha il fascino leggendario di Napoli,
ma che in compenso è ritenuta più attiva, in grado cioè
di ricevere il più alto indice di industrializzazione, comprende
tutta la piana, dal Garigliano a Castellammare di Stabia, con la ricca
Valle del Sarno, i comuni di Battipaglia, Capaccio-Paestum, Eboli, Pontecagnano,
e con Caserta, Salerno e la Valle del Sete. Inoltre. vi sono comprese
la Penisola Sorrentina, Ischia. Procida e Capri, inadatte alt' industria
manifatturiera, ma economicamente attive in quella turistica. Tutta
quest'area costituisce il 21,2 per cento della regione, e ha solo qualche
tratto corrugato nelle zone interne. Tutte le altre fasce sono collinari
o montane.
Quali sono i vantaggi di questa Campania piatta e costiera? Innanzitutto,
è il primo comprensorio economicamente attivo che si incontra
nei confini fissati per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno;
è il più vicino ai mercati del Centro-Nord; ha gli sbocchi
marittimi che fronteggiano in Nord Africa e l'Europa sud-occidentale;
infine, comprende l'inesauribile mercato partenopeo. Il rovescio della
medaglia è costituito da una innaturale crescita demografica:
in vent'anni, la popolazione è aumentata di circa un milione
di unità, compensando i vuoti delle regioni sannita, irpina e
cilentana. Lo squilibrio fra territorio e demografia è evidente
la Campania conta il dieci per cento della popolazione italiana, su
una superficie pari soltanto al 4,51 per cento di quella nazionale.
Ebbene, tre quarti della popolazione regionale si addensano sulla lascia
costiera da Salerno a Pozzuoli e nell'immediato entroterra. Alle spalle
di Caserta si apre il deserto, interrotto dalle oasi di Avellino e Benevento.
La nuova Caserta nacque intorno alla reggia. La Caserta più autentica
è Casa Erta, in cima a una mezza montagna, splendido esempio
di borgo arroccato, sospeso anche nel tempo, con case, chiese, stradine,
armerie, archi, porte e muri merlati d'età medioevale. Ed è
quasi un avamposto a difesa di decine di groppe cintate, di cocuzzoli
merlati, di contadi infeudati tra le rocce e le argille alte, lontani
dagli approdi pirateschi, al riparo dalle fulminee incursioni e dalle
minacce provenienti dal mare. Massicci castelli sopravvivono a una remota
architettura di guerra, isolati torrioni svettano sugli speroni appenninici,
difendono memorie di storia locale, povera di fronte alla preponderante
storia della Capitale, povera di fronte alla storia religiosa che si
irradiò da un santuario austero e laborioso, quello di Montevergine.
E' il regno del castagno, che preannuncia le nevi precoci e le improvvise
interruzioni dei valichi.
Qui è il cuore della Campania interna, intorno al quale ruotano
tre profondi Sud: Sannio, Irpinia e Cilento, fragili terre antiche,
sconvolte dai terremoti e dalle frane. I paesi hanno bisogni elementari,
e alle spalle non hanno vicini più fortunati: devono guardare
avanti, verso la pianura e verso il mare. Sono contrade così
povere, che la camorra vi si estinse spontaneamente. Le ha divise la
storia, non la miseria, né la fierezza. Roma rischiò di
vedere infranta la sua potenza contro gli irriducibili Irpino-Sanniti:
quando li vinse, senza poter mai dire d'averli sottomessi, dopo essersi
piegata all'umiliazione delle forche caudine, ebbe aperte le vie della
Magna Grecia. Costì, per un ricorso storico, Eboli fu la frontiera,
che Levi mitizzò, per un'altra invasione, quella delle ciminiere,
scarse e predatrici, né libere né liberatrici, cresciute
- qui e altrove - in una ragionevole condizione di necessità
neocoloniale.
Predomina un'agricoltura di rapina, distese a grano su campi mobili,
giovani e morbide terre che piogge e straripamenti sommuovono come su
una gigantesca scacchiera, con un gioco più forte di qualunque
forza. E' l'argilla mobile che preannuncia quelle, infernali, della
Calabria e della Basilicata, delle quali ha lo stesso colore grigio
nelle calanche e brunastro nei botri; delle quali ha l'identica perfidia
nel fingere di rattenere le radici di alberi vaganti come massi erratici,
nel prospettare una debolezza che in realtà èforza brutale
e distruttiva, cieca. E' l'insidia che ha costretto città come
Avellino ad articolarsi sugli spuntoni scistosi, città né
stellare né concentrica. com'è nelle tradizioni urbanistiche
meridionali, ma quasi centrifuga, disarticolata e sfuggente: senza baricentro;
o come Benevento, con le case addossate, incatenate, con i quartieri
a macchia d'olio, bassi e torvi. Se si alza il vento c'è un colore
d'Epiro, date storiche sono i giorni dei terremoti. E, quasi a contrappunto,
paesi segreti su nascoste vallate, alte anche queste, e tanto più
sicure quanto più in alto e fuori dal mondo sono: quasi a ricordare
che anche qui ci fu, come vuole l'incredibile mitologia meridionale,
una Campania felix.
L'itinerario archeologico è stupefacente: Castellammare prelude
alla classica Stabia; Nola è di origine osca e di sviluppo, paleocristiano;
Ischia e Capri ricordano i fasti imperiali di Roma; Pompei è
una intatta città morta (città, ellittica, con mura a
otto porte); Pozzuoli, che domina i Campi Flegrei, custodisce l'anfiteatro
più vasto dell'antichità.: Ercolano riecheggia la tragica
vicenda vesuviana che ebbe. vittima illustre, Plinio il Vecchio; Torre
del Greco è sospesa tra Medioevo e Rinascimento; Caserta Nuova
propone reggia e parco del Vanvitelli; Capua è l'antica Casilinum;
Santa Maria Capua Vetere è l'antichissima e potente Capua degli
ozii di Annibale; Salerno fu patria, nei secoli XII e XIII, del primo
centro medioevale per lo studio delle scienze mediche; Amalfi fu la
più antica repubblica marinara, raccolta intorno al suo duomo-gioiello;
Sessa fu capitale degli Aurunci; Cava de' Tirreni crebbe all'ombra di
una severa Abbazia; Benevento custodisce i reperti di civiltà
autoctone, irpina e sannita; Napoli quelli di una civiltà importata,
quella ellenica.
E Napoli, città ricchissima e miserabile, fu, matrice di storia,
lettere e arti. Lo "Studio Napoletano" fu la più celebre
università europea fin dal tempo degli angioini, Gli aragonesi
accolsero umanisti di primo piano, dal Panormita al Valla, al Pontano.
La monarchia borbonica, che incoraggiò lo sviluppo dell'architettura
(con le regge di Caserta, Portici e Capodimonte, col Teatro San Carlo,
con i Granili. con, l' Orto Botanico, con l'Albergo dei Poveri), volle
- prima in Europa - lei cattedra di Economia Politica, affidata al Genovesi,
e l'Accademia Ercolanense.
Crebbero a Napoli spiriti di cultura cosmopolita, dal Filangieri al
Cuoco, da Spaventa al Vico e al De Sanctis, da Pisanelli al Settembrini,
da Labriola a Croce, a Di Giacomo, a De Roberto. Una "Scuola Napoletana"
ebbero pittura e musica, astronomia e diplomazia. Napoletana fu la prima
repubblica
moderna d'Italia, quella del 1799; e con le giornate di Napoli, epopea
di un popolo che emergeva dalle macerie del secondo sterminio mondiale,
nacque la coscienza della nostra repubblica.
Contraddittorio destino di questa capitale del Sud; al primato civile
e morale, culturale, scientifico e giuridico, che illuminò l'Europa,
ha visto seguire una costante decadenza, cui non ha posto riparo alcuna
lezione del passato. Una puntuale legge del contrappasso fa di Napoli
una sintesi emblematica delle contraddizioni del profondo Sud.
Letteratura di
Campania
Ada Provenzano
Se una difficoltà
incontra chi affronta lo studio della letteratura campana, è
quella di ridurla - appunto - nello stretto àmbito regionale.
Se ciò vale per tutte le regioni, ancor più si evidenzia
per la Campania, la cui cultura già nell'Alto Medioevo si svolse
in costante rapporto con molteplici elementi e con diversi centri, offrendo
un quadro composito ed eterogeneo: influssi bizantini si incrociarono
con l'impulso della nuova cultura latina, irradiata da Montecassino,
mentre Benevento longobarda manteneva i contatti con la civiltà
curiale e clericale dell'Italia del nord. Sulla scia di Paolo Diacono
si mossero gli autori della cronaca latina e di quella salernitana,
dei "gesta" dei vescovi napoletani, oltre allo storico Erchemperto,
ai cronisti Romualdo e Pietro di Tuscolo, ai retori Alberico da Montecassino
e Roffredo da Benevento, e gli scrittori di medicina della Scuola salernitana
Campano di nascita, anche se culturalmente si forma a Parigi e Colonia,
è il massimo sistematore della dottrina scolastica, Tommaso d'Aquino.
Alla Campania appartengono le prime testimonianze scritte del volgare
italiano: le formule contenute nei celebri piaciti di Capua, Sessa Aurunca
e Teano son di poco posteriori al secolo X; insieme col "Ritmo
Cassinese", frammento di lauda mariana, attestano l'esistenza di
un idioma già elaborato. Tuttavia, la Campania parteciperà
tardi alla letteratura volgare propriamente detta: darà alla
fase svevo-normanna della Scuola Siciliana due figure minori, Rinaldo
e Jacopo d'Aquino; e, nell'età angioina, quando Napoli assurgerà
alla dignità di capitale, sarà la Toscana ad assumere
il primato letterario. Napoli resta centro di una cultura giuridica,
didascalica, teologica, di sapore tradizionale, anche so non mancano
manifestazioni dialettali ("Cronica di Partenope", "Bagni
di Pozzuoli e di Ischia"), che già avviano un filone ingenuo
e popolaresco, che giungerà ai nostri giorni. Eppure, in questa
Napoli un poco torpida e apparentemente periferica Boccaccio elabora,
fin dal 1340, la sua prima educazione sentimentale e poetica, e da questa
città attinge motivi e forme congeniali al suo gusto turgido
e alla sua fantasia articolata; e a Napoli viene il Petrarca, dove recluta
un cenacolo di ammiratori (Barbato di Sulmona, Giovanni Battista Barrili,
altri minori), che costituiscono il primo nucleo dì quella civiltà
umanistica che esploderà nel secolo seguente e culminerà
nel rigoglio di Napoli aragonese, quando l'Accademia promossa dal Panormita
e l'insegnamento dei Lascaris e dei Valla allargheranno gli interessi
culturali dei napoletani, e dei "provinciali" presenti o formatisi
nel clima e nell'ambiente napoletano: da Tristano Caracciolo ad Antonio
de Ferraris, detto il Galateo; dagli autori in volgare G. Maio e D.
Carafa ai due fiori all'occhiello dell'umanesimo quattrocentesco Pontano
e Sannazzaro.
Anche la letteratura in volgare comincia ad uscir d'impaccio, attenuando
il dialetto e assumendo a modello i calchi toscani (F Galeota, P. J.
de Jennaro, G. Pierleoni, B. Gareth detto il Cariteo, e, su tutti, Giannantonio
Petrucci, conte di Policastro, morto sul patibolo. L'espansione del
gusto classicheggiante nel Cinquecento troverà massimi cultori
napoletani Bernardino Rota e Angelo di Costanzo, e una dotta cultrice
in Laura Terracina avrà la restaurazione arcadica. La storiografia
vanterà opere insigni (tra cui la "Congiura dei baroni",
di Camillo Porzio), mentre sul finire del secolo si svilupperà
il teatro, (Bruno, Della Porta, D'Isa). Tra la pleiade dei letterati
emerge il poligrafo Luigi Tansillo di Venosa.
Si delineano, intanto, le due direzioni fondamentali, preannunciate
nel secolo precedente, e che si svilupperanno dal Seicento in poi: quella
idillica e musicale, nativamente sensuale, bizzarra, epigrammatica,
ingegnosa, colorita ed esuberante; e, per converso, quella che richiede
quasi un ripiegamento della coscienza, un'esigenza di approfondimento
interiore, un'inquieta ricerca sui temi morali, filosofici, religiosi.
Nella prima direzione, che è la più vistosa, sull'esempio
di Tansillo e sotto il magistero formale di T. Tasso, si colloca la
fortuna, non solo italiana, di G. B. Marino e del marinismo, che si
svilupperà, prendendo diverse direzioni, con G. Fontanella, A.
Muscettola, M. Macedonio, T. Stigliani, con lo spericolato teorico F.
Meninni, col predicatore G. Lubrano, e rifiorirà col Metastasio,
con la voce satirica di Salvator Rosa, con la vena dialettale di F.
Sgruttendio e di G. C. Cortese, e soprattutto - in chiave barocca -
con G. B. Basile e col poligrafo Pompeo Sarnelli. Sull'altro fronte,
si va dalle rime calviniste del pensoso A. Caracciolo, ai trattati e
ai poemi di Giordano Bruno. martire moderno. Già al tempo di
Bruno Napoli è la capitale degli studi filosofici, e tale resterà
fino ai nostri giorni. Fin dal Seicento, con L. Di Capua e gli aderenti
alla Accademia degli Investiganti, si pongono le basi di un coraggioso
e libero pensiero, che diffonde l'ideologia galileiana e propugna, in
letteratura, una riforma nel senso che sarà poi ripreso dal Caloprese
e dal Gravina. Napoli recepisce le conquiste del pensiero europeo, apre
le porte a Cartesio, Gassendi, Spinoza, Grozio, Leibniz, ai teisti inglesi,
all'esegesi biblica protestante. L'eccellenza della scuola speculativa
napoletana in campo europeo è dimostrata da Pietro Giannone,
che fonda i motivi dell'anticurialismo locale in una grandiosa interpretazione
storica che troverà larga eco nei teorici dell'Illuminismo, e
da G. B. Vico, che instaura una visione profondamente storicistica,
illuminando il principio immanente del progresso umano, delineando il
corso parallelo e crescente delle istituzioni, delle leggi, dei costumi,
della cultura, riscoprendo - accanto alla ragione - il valore della
fantasia, dell'intelligenza poetica, del mito. Crebbe una generazione
di illuministi, dal Doria al Genovesi, dal Galanti al Caracciolo, al
Filangieri, al chietino e appartato abate Galiani, compagni di strada
dei giansenisti, con i quali prepararono lo sbocco rivoluzionario della
Repubblica del '99, per la quale morirono Vincenzo Russo e Francesco
M. Pagano e la ternana Eleonora Pimentel, mentre l'abruzzese V. Cuoco,
il lucano F. Lomonaco, il cosentino F. S. Salfi, attraverso l'esperienza
dell'esilio, ebbero il compito di consegnarne il messaggio ideale e
la nuova coscienza della nazione alle generazioni risorgimentali.
L'Ottocento si aprì con l'esile poesia di A. Poerio, e con la
robusta voce della cultura e della prosa scientifica e critica. P. Colletta,
C. Troya, L. Tosti, L. Settembrini, gli abruzzesi Bertrando e Silvio
Spaventa, A. Tari e C. De Meis, il calabrese F. Fiorentino, e V. Imbriani,
S. Tomasi, Ruggero Bonghi, Antonio Labriola: uomini assai diversi fra
loro, per statura e qualità d'ingegno, furono accomunati dal
senso quasi religioso della cultura, padri e maestri aperti alle voci
più varie del pensiero europeo. Emerse, gigantesca, la figura
di Francesco De Sanctis, che insieme concluse e superò la fase
eroica del Risorgimento. Il secolo declinò col romanzo sociale
(A. Ranieri, F. Mastriani, F. Petruccelli della Gattina), e con la splendida
esperienza di un poeta, Francesco Gaeta. La nuova letteratura mosse
nell'ambito del verismo, (Serao,Verdinois, Lauria, Torelli, Bracco,
F. Russo), e si colorò con la poesia di Di Giacomo, abbandonata
quanto sottilmente tradizionale e quasi barocca, immediata nell'adesione
alle cose, alle passioni, al paesaggio popolare. Poesia che fu lirica
con Alfonso Gatto. La narrativa riprese vigore con una schiera di scrittori
(Carlo Bernari, Giuseppe Marotta, Domenico Rea, Michele Prisco, Luigi
Compagnone), mentre ancora riecheggiano i gusti classicheggianti dell'opera
di F. Flora, della poesia di E. Jenco, del carduccianesimo di E. De
Michelis, dell'ironia intellettuale di M. Venditti, del dialettale poeta
R. Galdieri, del genuino N. Vernieri, del romantico L. Giusso, dell'altissirno
L. Curci; e della schiera di "poeti stradali", da Murolo al
Russo, a Postiglione, a Petriccione, a Ruocco, a Scarpetta; e, da ultimo,
a Eduardo De Filippo, espressivo e malinconico poeta della scena.
Storia di Campania
Pino Orefice
Storicamente, il
nome Campania indicò dapprima il solo territorio di Capua e dell'Agro
Campano; poi comprese anche altre aree confinanti. Forse il nome si
deve agli storici greci; certo, per i latini, il primo ad usarlo fu
Cicerone. La storia di questa regione è, in buona parte, la storia
dell'intera Italia Meridionale. Ma anche la Campania ha una propria
preistoria, con segni di attività dell'uomo nel paleolitico.
Tracce di civiltà storica si hanno intorno all'anno 1000 a. C.,
quando immigrarono popolazioni etrusche, umbro-sabelliche, irpine e
lucane. Napoli, Cuma e Pozzuoli furono colonie fondate dai greci, ed
ebbero una lunga età di splendore, poi offuscata dalle pressioni
dei sanniti e dalla conquista di Roma.
Il ricordo del periodo romano domina soprattutto nell'area partenopea,
negli avanzi di Baia, nelle rovine di Ercolano, di Pompei e degli altri
centri sepolti dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., nei resti delle
opere pubbliche e private, come le vie Appia e Traiana, l'arco traianeo
a Benevento, i templi, i teatri, le numerose residenze per villeggiatura
lungo la marina da Formia a Paestum. La tradizione fa morire a Cuma
Tarquinio il Superbo, a Literno si ritira Scipione l'Africano, a Pozzuoli
si ritira Silla, fra Pozzuoli e il Lucrino villeggia Cicerone, a Noia
muore Augusto, a Miseno Tiberio, a Baia Adriano, a Stabia Plinio il
Vecchio.
Il Cristianesimo fu introdotto assai presto in Campania, fioriva già
quando Paolo di Tarso recandosi a Roma, sbarcò a Pozzuoli. Il
primo segno della nuova civiltà cristiana è dato da San
Benedetto, con la badia di Montecassino, costruita sul luogo dell'antico
tempio di Apollo, cui seguirono quelle di Cava de' Tirreni e, di Montevergine.
Nel corso del V secolo, la Campania subì le devastazioni dei
Visigoti di Alarico; fu dominata da Odoacre e dagli Ostrogoti di Teodorico;
fu saccheggiata dalle guerre gotiche, e i Goti vi si ridussero nell'estrema
difesa contro i Bizantini di Belisario e Narsete. Ai Bizantini seguirono
i Longobardi, che tennero il ducato di Benevento e i principati di Avellino
e Salerno fino al 1077. Nel 1139 si affermò il dominio normanno.
Le lotte intestine favorirono la nascita di comuni autonomi e della
repubblica marinara di Amalfi; poi si ebbe l'età delle invasioni
saracene, fino a che ci fu, con gli Altavilia, la Contea di Puglia,
con capitale Melfi: trasformata in regno, comprese quasi tutto il meridione,
ad eccezione del ducato di Benevento, che rimase alla Chiesa. Entrata
nel regno normanno, Napoli cominciò ad avere importanza crescente,
fino a diventare la capitale del Mezzogiorno. Gli ultimi svevi (che
avevano preferito la Puglia) furono travolti dagli angioini, che dominarono
sul Regno di Napoli fino al 1442; dopo di che, passarono la mano agli
aragonesi. Dopo le vicende francospagnole, giunsero i Borboni, cacciati
poi da Napoleone, e tornati dopo la caduta dell'imperatore francese,
con Ferdinando I, re delle Due Sicilie. La conquista garibaldina del
Sud si conclude a Gaeta nel 1860. Un anno dopo, si avviò quel
brigantaggio che fu in parte determinato dalla sobillazione borbonica,
ma in più gran parte dall'aggravarsi delle condizioni di arretratezza
delle popolazioni meridionali. La prima guerra mondiale, che fu guerra
essenzialmente di masse meridionali, servì, se non altro, a cementare
un'unità che fino allora era stata piuttosto formale. La seconda,
concludendosi, avviò da Napoli, capitale morale del Mezzogiorno,
la coscienza di un'età nuova.
G. Dorso
Claudio Alemanno
Scrittore politico
e meridionalista di rilievo. Nacque ad Avellino nel 1892, morì
nel 1947. Laureatosi in giurisprudenza, esercitò, come civilista,
l'avvocatura, e collaborò a vari giornali locali. Nel '23 fondò
il "Corriere dell'Irpinia, soppresso due anni dopo dalle leggi
fasciste. Collaborò a "Rivoluzione Liberale" di Piero
Gobetti.
Frutto dell'intensissima attività di pubblicista fu la pubblicazione
de "La rivoluzione meridionale", in cui, superando le tradizionali
concezioni riformistiche che facevano capo a Giustino Fortunato, e criticando
nello stesso tempo le forze politiche contemporanee, ritenendole inadatte
a sanare la frattura Nord-Sud, indicava la possibilità di soluzione
della crisi in un movimento autonomo meridionale: movimento, che avrebbe
dovuto sciogliere i legami tra il grosso ceto proprietario e la media
e piccola borghesia urbana che doveva essere indirizzata verso il mondo
contadino, estraneo alla conquista "regia" nel Risorgimento.
Borghesia e mondo contadino dovevano essere portati a maturità
politica, dapprima; in seguito, alla lotta contro lo sfruttamento instaurato
nel Mezzogiorno dalle classi dirigenti settentrionali con l'eliminazione
dell'industria meridionale, con l'eccessivo fiscalismo, e infine con
le protezioni doganali.
Per quanto in precarie condizioni di salute e sottoposto a sorveglianza
speciale, si tenne in contatto con gruppi clandestini. Tra il '38 e
il '39 preparò uno studio sull'avvento al potere di Mussolini;
entrò poi nei gruppi di "Giustizia e Libertà",
e quindi nel Partito d'Azione, dirigendo l'organo meridionale dello
stesso partito, "L'Azione": gli articoli che pubblicò
dal giugno al dicembre del '45 furono raccolti nel volume "L'occasione
storica". A fine anno, si ritirò, disperando che la riscossa
politica meridionale potesse partire da un movimento che non fosse espressamente
meridionalista. Aveva presenti, in tal senso, le esperienze dei Partito
Sardo d'Azione.
Fu candidato all'Assemblea Costituente per la Puglia e la Basilicata
alle elezioni del 2 giugno 1946. Morì poco dopo, mentre attendeva
a nuovi studi di critica e teorica politica.
PROFILI DELLE
REGIONI DEL MEZZOGIORNO
6. - Campania
Guglielmo Tagliacarne
La Regione più
estesa ma fra le più povere del Mezzogiorno
Reddito prodotto:
un terzo meno della media italiana
La popolazione della
Campania con 5.256.000 abitanti a metà del 1975, è la
più estesa fra le regioni italiane, dopo quella lombarda. Ma
non è certo la più ricca. Il reddito prodotto da questa
regione in media per abitante è di 966.000 lire, contro 1.420.000
lire ,per la media nazionale. Quindi, il reddito medio prodotto in Campania
è il 32 per cento inferiore a quello del complesso nazionale.
Altre regioni del Mezzogiorno, seppure povere come lo sono tutte le
regioni di quest'area, superano la Campania: l'Abruzzo presenta una
media per abitante di 1.176.000 lite, la Puglia 1.017.000 lire, la Sicilia
1.002.000 lire e la Sardegna 1.151.000 lire. La Campania, per questo
riguardo, supera soltanto le tre regioni più povere di tutta
Italia: Molise, Basilicata e Calabria.
Tutte le province della Campania sono povere, ma quella che occupa l'ultimo
posto è Avellino, con un indice del prodotto lordo che è
meno della metà di quello medio nazionale. Non solo questa provincia
è la più povera della Campania, ma lo è anche rispetto
a tutte le altre province italiane.
Fatto cento il reddito prodotto pro capite in Italia, i valori scendono
a 72 per Napoli, 68 per Caserta e Salerno, 60 per Benevento, ed infine
a 46 per Avellino che, ripetiamo, è la provincia che chiude la
graduatoria decrescente di tutte le province italiane.
Forte proporzione
agricola
L'attività
economica della Campania è ancora caratterizzata da un'alta quota
spettante all'agricoltura: infatti il 15,2 per cento del reddito ch'essa
produce spetta all'agricoltura, contro il 9,5 per cento riguardante
il totale dell'Italia. L'attività industriale in Campania conta
per il 30,2 per cento del reddito regionale, contro la quota del 40,1
per cento del complesso nazionale.
Le produzioni agricole più notevoli in Campania sono quelle orticole,
le frutta, gli agrumi, la vite e il grano.
Le produzioni industriali sono in gran parte quelle alimentari, oltre
quella del mobilio e, da pochi anni, le produzioni chimiche e meccaniche,
fra le quali è da annoverare quella degli autoveicoli.
Non può dimenticarsi l'esistenza del porto di Napoli che comporta
un complesso di altre attività sussidiarie. E' questo il principale
porto del Mar Tirreno, di importanza internazionale.
La Campania ha una grande metropoli, Napoli, che per molti anni è
stata la più importante di tutta Italia, ma successivamente è
stata superata dalle città di Roma e di Milano. Ora Napoli conta
1.224.000 abitanti contro 2.856.000 di Roma e 1.732,000 di Milano. Un
indice del livello economico della Campania è fornito dalle spese
familiari. Dall'indagine sui bilanci familiari curata dall'Istituto
Centrale di Statistica per il 1975, si desume che la media dei consumi
complessivi per membro componente della famiglia è di lire 79.336
contro 110.208 lire per la media italiana. Fra le regioni del Mezzogiorno,
quella della Campania è superata (di poco) solo dalla Calabria,
dalla Basilicata e dalla Puglia.
Per meglio valutare non solo il livello, ma anche la struttura dei diversi
consumi della Campania, riportiamo i dati di questa regione, confrontati
con quelli della media italiana.
Come si vede, la
spesa per tutti i generi in Campania è inferiore a quella media
dell'Italia, con le sole eccezioni delle spese per il pesce e per gli
olii e grassi.
Sono da notare le modestissime quote di spesa dedicate al vestiario,
ai mobili, all'igiene, ai trasporti (automobili).
Popolazione campana di nascita
Abbiamo detto che
la popolazione della Campania è di 5.256.000 abitanti, ma dobbiamo
ricordare che molte persone nate in Campania hanno residenza in altre
regioni italiane e all'estero.
Se vogliamo considerare le persone nate in Campania, possiamo presentare
il prospetto seguente.
Non possiamo dimenticare
neppure le persone nate m Campania e residenti all'estero, quali risultano
da una statistica del Ministero ,degli Affari Esteri.
Pertanto il totale
della popolazione campana di nascita ammonta a 5.908.972.
Pochi "colletti
bianchi"
E' interessante
considerare lo stato e il tipo del personale occupato nelle industrie
manifatturiere, con particolare riguardo alle categorie di "Dirigenti
e di impiegati", quelli che si usa chiamare "i colletti bianchi".
Essi sono 750.000 in tutta Italia, di cui 690.000 (pari al 92 per cento)
sono nel Centro-Nord; 230.000 si trovano a Milano, il 30 per cento dell'occupazione
industriale complessiva; a Napoli se ne contano soltanto 18.000, tanti
quanti ne ha una piccola città come Bergamo.
E' questo un dato che dimostra la grande carenza di personale direttivo
e di concetto a Napoli, in confronto alle città del Centro-Nord.
Disagiate abitazioni
Il grado di affollamento
in Campania è il più elevato riscontrato in Italia (una
stanza in media per 1,2 persone); è anche elevatissimo il numero
delle abitazioni improprie, costituite da cantine, grotte, eccetera.
La natalità è la più alta della penisola con 20
nati vivi su 1000 abitanti (15,7 per mille in tutta Italia). La mortalità
non è alta, ma purtroppo è elevatissima la mortalità
infantile, la più alta di tutta Italia. Anche l'analfabetismo
presenta in Campania un quoziente elevato (9,6 per cento, contro 5,2
per la media italiana al 1971).
Terra di emigranti
La Campania è
sempre stata una regione ,con un'alta proporzione di emigrati all'estero.
Nel decennio 1901-1910 gli emigrati all'estero salirono a 700.000. Ancora
in questi ultimi anni, durante i quali questo fenomeno è stato
molto limitato, sino, talvolta, ad essere superato dai rimpatri, la
Campania presenta una perdita demografica per gli espatri all'estero.
E' da notare che la Campania presenta la minore frequenza di suicidi
(3,8 su 100.000 abitanti, contro 9,1 per la media nazionale.)
Criminalità
Sulle 20 regioni
italiane, la Campania occupa il penultimo posto come indice di criminalità.
Fatto uguale a cento l'indice di criminalità per l'Italia nel
complesso, la Campania figura con l'indice 131. E' seguita a distanza
dal Lazio che tiene l'ultimo posto con un indice 200. E' da notare che
gli indici qui riferiti tengono conto della importanza dei delitti (commisurati
alle pene) e sono stati calcolati dal Consiglio Superiore della Magistratura.
E' stato calcolato dal suddetto Consiglio anche un indice per la delittuosità
minorile. Per 100.000 giovani in età da 10 a 18 anni, l'indice
è risultato 443,6 per il complesso dell'Italia e 986,5 per la
Campania. Quindi per la nostra regione l'indice di delittuosità
dei minori è più del doppio di quello medio di tutta Italia
(dati del 1973). E' questo indice per la Campania il più elevato
di tutta Italia.
Il 20 per cento
dei disoccupati di tutta Italia
Gli iscritti nelle
liste di collocamento per la Campania sono ammontati nel novembre 1976
(ultimo dato disponibile) a 246.762, pari ad oltre il 20 per cento degli
iscritti disoccupati di tutta Italia. Questa cifra rappresenta una sintesi
dello stato di disagio nel quale si trova la Campania.
Anche per le ore concesse dalla Cassa integrazione guadagni, la Campania
occupa uno dei primi posti fra le regioni del Mezzogiorno.
Carenze in tutti
i servizi
Per i vari servizi
si notano carenze notevoli: così dicasi per gli istituti di cura,
gli asili infantili, i luoghi di ricovero per gli anziani, le attrezzature
di assistenza pubblica. Fra tante depressioni e carenze, l'istituzione
che si eleva per il numero degli iscritti e per il pregio degli insegnanti
è l'Università di Napoli, che attira studenti da tutte
le regioni del Mezzogiorno e gode di un alto prestigio anche fuori dei
confini nazionali.
Credito e banche
In quanto alle aziende
ordinarie di credito nella Campania, possiamo valerci di un accurato
studio apparso nell'ottima rivista di Tancredi Bianchi "Banche
e Banchieri".
Al 31 dicembre 1974 operavano 25 aziende ordinarie di credito con 121
sportelli dei quali 75 nella provincia di Napoli, 11 in quella di Caserta,
20 in quella di Benevento, 15 in quella di Salerno; nessuno sportello
di aziende di credito ordinario esiste nella provincia di Avellino.
In totale tutti gli sportelli bancari (aziende ordinarie e altre) sono
481, quindi quelli delle aziende ordinarie rappresentano un quarto del
totale.
Per le aziende di credito ordinario, si constata che esiste uno sportello
ogni 43.232 abitanti nel complesso regionale; ma le differenze di questo
rapporto sono notevoli: 37.510 abitanti per sportello nella provincia
di Napoli, 64.461 abitanti in quella di Caserta, 14.491 abitanti in
quella di Benevento e 65.731 abitanti in quella di Salerno. Si consideri
che per tutta l'Italia si hanno 21.813 abitanti per sportello.
I comuni della Campania sono 545, quelli serviti da sportelli bancari
sono 201, dei quali 75 riguardano aziende di credito ordinario. In complesso
gli sportelli in Campania sono come si ègià detto, 481
(265 a Napoli, 52 a Caserta, 37 a Benevento, 31 ad Avellino, 96 a Salerno).
Il rapporto fra impieghi e depositi in Campania per le aziende ordinarie
di credito è del 60,2 per certo, contro il rapporto 64,8 per
cento concernente tutta l'Italia. Il rapporto è molto diverso
da provincia a provincia: 67,7 per cento nella provincia di Napoli,
35,6 per cento in quella di Caserta, 48,1 per cento in quella di Benevento
e 52,9 per cento in quella di Salerno.
Considerazioni
finali
La Campania è
forse la più bella regione italiana, gode di un clima confortevole,
vanta una storia gloriosa e una massa di opere d'arte grazie alle quali
esercita un'attrazione su tutte le parti del mondo. Difatti, una delle
maggiori fonti di reddito è costituita dai turisti stranieri.
Purtroppo, però, la Campania è povera e presenta una evoluzione
discendente, in senso relativo; vale a dire l'incremento del reddito
e il progresso economico presentano un tasso inferiore a quello del
resto d'Italia: quindi, questa regione perde terreno rispetto al complesso
nazionale. Disoccupazione, analfabetismo e criminalità costituiscono
tre piaghe dolorose.
Non mancano segni di ripresa, settori promettenti di sviluppo, volontà
di recuperare la ,posizione di elevato prestigio che un tempo la fece
grande e prospera. Sono prospettive - ed anche possibilità reali
- che la popolazione intelligente e di animo gentile di questa regione
merita di conseguire.
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