La produzione
generale e l'utilizzazione degli impianti - Disoccupazione e costo
della vita - Guerra del vino - Bilancia con l'estero - Interessi bancari
- Le vertenze sindacali e gli scioperi - Il "pacchetto"
anticongiunturale.
Le speranze che in autunno si iniziasse la ripresa economica sono
andate deluse. La crisi si protrae, e ancora ci si chiede quando veramente
usciremo dal tunnel.
La gravità della situazione si concentra in alcuni fattori
sostanziali:
1) la continua diminuzione della produzione estesa a tutti i settori:
2) l'aumento della disoccupazione;
3) l'inflazione, cioè il persistente aumento dei prezzi al
consumo;
4) la minacciosa situazione sindacale e gli scioperi.
E' bensì vero che vi sono alcuni elementi favorevoli:
1) la diminuzione del costo del danaro;
2) un miglioramento della bilancia dei pagamenti;
3) il "pacchetto" di provvedimenti governativi anticongiunturali.
Ma se mettiamo sui due piatti della bilancia i pro e i contro, il
peso maggiore è per i contro.
Analizziamo i vari fattori su indicati.
La produzione
generale, l'acciaio e il cemento
Da dieci mesi
la produzione industriale segna continue diminuzioni, come appare
dalle seguenti cifre confrontate con quelle dell'anno precedente.
Ottobre 1974 -3,9%
Novembre -11,6%
Dicembre -8,3%
gennaio 1975 -14,5%
febbraio -6,6%
marzo -14,4%
aprile -9,7%
maggio -18,4%
giugno -9,5%
luglio -11,6%
Da gennaio a luglio
1975, rispetto allo stesso periodo dei 1974, la contrazione è
stata dei 12,2 per cento e si è estesa a tutti i settori industriali.
Le previsioni per i prossimi mesi sono anch'esse sfavorevoli: ce lo
conferma un'analisi della Confindustria per il terzo trimestre 1975
confrontato con quello dell'anno scorso: nel complesso è prevista
una contrazione complessiva dei 13,4 per cento, con punte gravissime
di diminuzioni nei settori della carta e cartoni e della gomma:
Previsioni
Confindustria 3° trim. 1975 rispetto 3° trim. 1974
Variazioni percentuali
Alimentari -4,9
Tessili -16,3
Vestiario e abbigliamento 11,7
Legno, mobili, arredamento -2,0
Siderurgia -7,4
Meccanica -15,8
Materiali da costruzione - 15,2
Chimiche e affini -13,8
Fibre chimiche -20,0
Gomma -32,0
Carta e cartoni -40,0
Totale (esclusi i mezzi di trasporto) -12,9
Totale (compresi i mezzi di trasporto) -13,4
Sono da tenere
presenti anche le seguenti altre indicazioni delle prospettive della
Confindustria per gli stessi periodi su indicati.
Ordini dall'interno -16,7%
Ordini dall'estero -3,9%
Ore lavorate -5,4%
Mano d'opera impiegata -2,4%
Si può quindi prevedere che per l'intero anno 1975 la produzione
industriale segnerà una diminuzione intorno al 10-12 per cento
rispetto al 1974. Se si considera che nel reddito complessivo della
Nazione quello dell'attività industriale costituisce circa
il 40 per cento, si può concludere, anche se l'agricoltura
darà buoni risultati, che il reddito nazionale nel 1975 presenterà
una diminuzione compresa fra il 6 e l'8 per cento rispetto a quello
del 1974.
Altri settori industriali di elevato significato previsivo mostrano
anch'essi valori negativi: sono la produzione di acciaio e quella
di cemento, cioè produzioni che entrano come fattori in molteplici
rami industriali e precedono l'andamento generale.
La produzione di acciaio nello scorso mese di agosto è risultata
di 1.326 milioni di tonnellate contro 1.647 milioni di tonnellate
nello stesso mese dell'anno precedente, con una diminuzione del 19,5
per cento. La produzione complessiva dei primi otto mesi del 1975
è stata del 6,2 per cento in meno (14 milioni 706 mila tonnellate
contro 15.673.000 tonnellate). La contrazione appare ancora più
grave se si considera che si sono ridotte le esportazioni, mentre
è aumentata la capacità produttiva per l'entrata in
funzione di nuovi impianti.
La produzione di cemento, di 3.341.679 tonnellate nello scorso mese
di luglio, ha segnata una diminuzione del 5,3 per cento rispetto allo
stesso mese nel 1974. Nei primi sette mesi del 1975 in confronto allo
stesso periodo dell'anno scorso la diminuzione è stata del
3,8 per cento, la situazione appare migliore per il Mezzogiorno: Italia
settentrionale - 4,9%, Italia centrale - 13,9%, Italia meridionale
+ 5,5%, Italia insulare + 1,0%. Nei dati riguardanti il cemento e
l'acciaio si ha la conferma della grave e persistente crisi dell'edilizia,
per la quale le previsioni continuano ad essere fortemente negative,
come appare dalla forte contrazione delle abitazioni progettate.
Infine, un altro dato viene a confermare la riduzione dell'attività
industriale: l'olio combustibile immesso al consumo nell'industria
è diminuito nel periodo gennaio-agosto 1975 del 24 per cento
rispetto allo stesso periodo dei 1974. Anche nei lubrificanti si è
constatata una contrazione del 22,2 per cento.
Riduzione dell'utilizzazione
degli impianti
La critica situazione
dell'intero apparato industriale è messa ulteriormente in luce
dai dati concernenti il grado di utilizzazione degli impianti. La
caduta di detto elemento si è iniziata nel 1974 e si è
via via aggravata.
Il grado di utilizzazione complessivo per tutti i settori era dell'88-89
per cento nel 1973; nel quarto trimestre del 1974 era sceso a 73 per
cento; infine è caduto al 70,4 per cento nel primo trimestre
1975 e al 70,6 per cento nel secondo trimestre.
Con un grado così basso di utilizzazione degli impianti esistenti,
non fa meraviglia se manca lo stimolo a nuovi investimenti.
Disoccupazione
quasi "senza lagrime"
Perché
diciamo "senza lagrime"? La disoccupazione costituisce il
fattore sociale più doloroso, in quanto incide sulla vita delle
famiglie. Essa è notevole, ma le sue conseguenze sono state
in gran parte attenuate con vari mezzi: 1) anzitutto con il ricorso
sempre più esteso alla Cassa integrazione guadagni; 2) con
la riduzione dell'orario di lavoro; 3) con la soppressione quasi totale
dei lavoro straordinario. Con tutto ciò si è potuto
limitare al massimo il numero delle persone che hanno perduto l'impiego
e il salario.
La statistica a nostro parere più valida è quella fornita
dall'indagine trimestrale sulle forze di lavoro effettuata dall'Istituto
Centrale di Statistica per mezzo di interviste personali presso un
campione estesissimo di famiglie in tutte le parti d'Italia. Gli ultimi
dati resi noti con i necessari dettagli riguardano l'aprile 1975.
I disoccupati sono risultati 667.000, ai quali sì possono aggiungere
502.000 sottoccupati. Questi dati denunciano, rispetto allo stesso
periodo dell'anno precedente, un aumento di 183.000 per il numero
dei disoccupati (in cerca di occupazione) e di 248.000 per i sottoccupati.
Quindi si ha la conferma di un preoccupante aggravamento.
E' da segnalare il forte numero delle persone (giovani) in cerca di
prima occupazione,: essi sommano a 416.000 sui 667.000 disoccupati
in totale, quindi essi rappresentano i due terzi delle persone in
cerca di occupazione. La situazione per i giovani è quindi
particolarmente grave: è certo doloroso che molti giovani,
terminate le scuole, non riescano a trovare un impiego. Ma il fatto
è comprensivo: le aziende fanno il possibile per non licenziare
il personale esistente, ma, data la riduzione dei lavoro, non fanno
luogo a nuove assunzioni.
La disoccupazione si fa sentire maggiormente nelle regioni dei Mezzogiorno.
Su 667 mila disoccupati in tutta Italia, metà (330 mila) sono
concentrati nel Mezzogiorno, pari al 5,5 per cento delle forze di
lavoro, contro il 3,4 per cento per il complesso nazionale. La situazione
più grave si presenta nella Campania con 89.000 disoccupati,
pari al 5,6 per cento delle forze di lavoro.
Disponiamo di un'altra fonte sulla disoccupazione: essa è costituita
dagli iscritti nelle liste di collocamento dei Ministero dei Lavoro
e della Previdenza sociale. Sono note le obiezioni e le, limitazioni
concernenti questa rilevazione che comprende oltre un terzo di persone,
che a rigore non si possono considerare disoccupate. Ad ogni modo
anche questi dati hanno un loro significato, specialmente se confrontati
nel tempo e nelle regioni.
Alla fine dei giugno 1975 gli iscritti nelle liste di collocamento
sono risultati 1.084.415 in confronto a 945.241 nello stesso mese
del 1974. Si riscontra quindi un aumento dei 14,7 per cento, che sale
al 35,6 per cento in Piemonte e al 31,6 per cento in Sardegna. Il
numero massimo di iscritti è concentrato in Campania con 230.488
unità, che rappresentano, il 21 per cento di tutta Italia.
Ecco i dati regionali.
Chiudiamo questo doloroso capitolo della disoccupazione riportando
i dati delle ore concesse dalla Cassa integrazione guadagni nell'industria.
In questo caso il Mezzogiorno figura con cifre non molto elevate rispetto
alle altre regioni, a causa della sua minore importanza industriale.
I settori che presentano le cifre più elevate sono quello della
meccanica e quello tessile.
Cassa integrazione
guadagni nell'industria
(esclusa l'edilizia)
Giugno 1974 ore
1.541.216
giugno 1975 ore 18.727.543
gennaio-giugno 1974 ore 13.573.627
gennaio-giugno 1975 ore 118.835.365
Sempre in aumento
il costo della vita.
Si constata una
attenuazione dei rincaro dei prezzi; ma ciò non di meno essi
aumentano continuamente con un ritmo troppo accelerato.
Nel mese di luglio l'indice dei prezzi all'ingrosso è aumentato
dello 0,3 per cento rispetto al precedente mese di giugno e del 5,1
per cento rispetto al luglio 1974. Si nota negli ultimi mesi un sensibile
rallentamento della tendenza agli aumenti verificatasi nei mesi precedenti,
in relazione alla contrazione dei prezzi di numerose merci all'importazione.
Anche nei prezzi al consumo e nell'indice dei costo della vita si
segnala da qualche mese un andamento più calmo rispetto a quello
dei 1974. Gli ultimi dati resi noti dall'ISTAT riguardano il mese
di agosto, per il quale l'indice dei prezzi al consumo (indice dei
costo della vita) per le famiglie di operai e impiegati è aumentato
dello 0,5 per cento rispetto al precedente mese di luglio e del 15
per cento in confronto all'agosto dell'anno scorso. Nei singoli capitoli
di spesa le variazioni fra luglio e agosto sono state: alimentazione
+0,7%, abbigliamento invariato; elettricità e combustibili
-0,1%; abitazione +0,6%; beni e servizi vari +0,4%.
L'indice sindacale per l'applicazione della scala mobile ai salari
è scattato in agosto di tre punti "pesanti";si prevede
che quello dei mese di novembre scatterà di due punti. Dunque,
come si è detto, rallentamento, ma l'inflazione è ancora
pesante.
La guerra del
vino
A rendere più
precaria la situazione economica di autunno si è aggiunto il
provvedimento iniquo e illegale adottato dalla Francia contro l'importazione
dei vini italiani, i quali vengono sottoposti al pagamento di un dazio
di circa il 15 per cento. Esso colpisce gravemente l'agricoltura italiana,
specialmente di alcune regioni, il Piemonte e la Sicilia, che sono
le maggiori esportatrici di vini in Francia.
Miglioramento
della bilancia con l'estero
Sin qui abbiamo
riferito i fattori negativi più gravi della congiuntura italiana
che si presentano all'inizio dell'autunno. Ora esaminiamo i fattori
positivi. Fra essi primeggia l'andamento della bilancia dei pagamenti,
che in luglio ha presentato un disavanzo di 342 miliardi di lire,
che quasi si annulla se si considera la restituzione di un precedente
prestito per 325 miliardi. Il deficit complessivo nei primi sette
mesi del 1975 ammonta a 650 miliardi di lire, in confronto al deficit
di 2.073 miliardi registrato nello stesso periodo del 1974. Si constata
quindi un miglioramento notevole dovuto principalmente alla diminuzione
delle importazioni e ad un aumento delle esportazioni. Questi risultati
positivi nascondono però un aspetto sfavorevole, in quanto
la diminuzione delle importazioni è dovuta in buona misura
alla contrazione dì materie prime e semilavorati richiesti
dalle nostre industrie in crisi.
Gli interessi
bancari diminuiti di due punti
Dal 15 settembre
il costo dei danaro è stato ridotto di due punti, passando,
di massima, dal 14 per cento al 12 per cento. La decisione è
stata presa dai rappresentanti degli istituti di credito nel corso
di una riunione presso l'Associazione bancaria e a seguito di un invito
dei ministro dei tesoro, che nel frattempo ha annunciato una riduzione
dei tasso di sconto dal 7 per cento al 6 per cento e una analoga riduzione
dell'interesse sulle anticipazioni presso la Banca d'Italia. Si è
decisa anche una diminuzione dei tassi passivi corrisposti dalle banche
per i conti correnti e i depositi a risparmio.
La diminuzione del costo del danaro, che - come si ricorderà
- aveva raggiunto punte elevatissime sino al venti per cento, è
in armonia con la tendenza verificatasi negli ultimi mesi in tutti
i paesi industrializzati e si inserisce nell'azione anticongiunturale
per favorire la ripresa delle attività economiche. Le banche
hanno chiesto al ministro Colombo di ridurre anche gli interessi pagati
per i risparmi postali (7 per cento) che in questo momento esercitano
una forte concorrenza ai depositi presso le banche; ma pare che il
ministro non intenda accogliere la richiesta.
Permane fra tassi attivi (quelli richiesti dalle banche per la concessione
di crediti) e quelli passivi (quelli riscossi dai clienti che portano
danaro alle banche) un forte divario dovuto agli elevati costi di
intermediazione e ad altre circostanze che gravano sull'attività
bancaria.
La notizia della riduzione dei costo dei danaro è stata accolta
dai ceti produttivi evidentemente come un buon segno, ma è
generale la considerazione che la maggiore facilità dei credito
non è sufficiente da sola a stimolare in misura decisa gli
investimenti e la produzione.
Le vertenze
sindacali e gli scioperi
Più dell'effetto
positivo che possiamo aspettarci dalla riduzione del costo del danaro,
si guarda con apprensione al periodo, già iniziato, del rinnovo
dei contratti di lavoro riguardanti oltre quattro milioni di dipendenti.
Le rivendicazioni già avanzate in varie sedi sindacali puntano
sul l'occupazione, ma anche sugli aumenti salariali e altri elementi
che costituiscono aggravi dei costo dei lavoro. Dalla strategia dei
sindacati dipenderà in grandissima parte la possibilità
di un miglioramento della congiuntura e di una prossima ripresa economica
o un peggioramento che potrebbe mettere in serio pericolo tutta la
struttura produttiva del Paese.
L'on. Moro, nel discorso alla Fiera dei Levante, e altre voci responsabili
dei governo hanno accennato alla possibilità nell'attuale fase
della nostra economia di non superare negli aumenti delle retribuzioni
il "livello di guardia" del 10 per cento. Più che
il livello dei salari è molto preoccupante l'abuso esteso e
indiscriminato dell'arma dello sciopero, che investe pure settori
fondamentali, come ferrovie, poste, il trasporto aereo, le dogane.
Se si aggiungono alle giornate di sciopero quelle perdute per il diffuso
assenteismo, si perviene ad un'allarmante diminuzione della produttività
e ad un caos generale, che ci allontanano sempre più dalla
ripresa.
Il "pacchetto"
anticongiunturale
Non molte speranze
si nutrono sull'effetto dei vari provvedimenti annunciati dal governo
per contrastare la sfavorevole congiuntura. Ciò per il fatto
che essi, non ancora definiti dal Parlamento, vengono in ritardo e
costituiscono un aggravio notevole al bilancio dello Stato, già
in allarmante disavanzo; quindi costituiscono alla fine un elemento
inflazionistico. Uno sciopero delle ferrovie o delle dogane divora
più miliardi di quanti ne distribuisca lo Stato con il suo
"pacchetto" a favore di alcuni settori produttivi.
A quando la
ripresa?
Questa domanda
si pone in tutti i paesi dell'Occidente afflitti anch'essi dalla lunga
crisi economica. La rivista "Vision" ha svolto una vasta
inchiesta fra esperti europei, responsabili di grandi industrie e
di banche, economisti pubblici e privati sulle prospettive per il
1975 e oltre. Le loro risposte alla domanda: a quando la ripresa?,
possono essere così sintetizzate:
nel 1975, l'11 per cento; nel 1976, l'80 per cento; più tardi,
il 9 per cento.
Ci mettiamo anche noi nella maggioranza che crede nella ripresa nel
1976; ma un anno è lungo: all'inizio o a metà, o alla
fine? Forse lasciamo deluso il lettore che si aspettava da noi una
risposta più precisa; ma ci scusiamo: ci intendiamo un poco
di economia e di congiuntura, ma non siamo nè maghi nè
indovini.