Arrivo a casa
e, quando apro
la porta,
lui ha la prudente cortesia di esitare, prima di entrare impassibile...
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Enzo Miglietta,
o della scrittura infinita
È bello e paradossale al tempo stesso [
] vedere che,
dopo aver duellato per anni, la scrittura pazza chiede
alla scrittura convenzionale di essere accolta in un
Museo, inteso non come loculo cimiteriale, ma nel vero
senso letterale della parola: casa delle Muse, casa
in cui vivono le opere darte che in essa si trovano.
E la loro vita è eterna, perché sono state affidate
a Mnéme (la Memoria), che permetterà a noi, e soprattutto
ai nostri posteri, venendo al Museo Gabrieli di Matino, di ammirare
e gustare le opere di Gabrieli, di Balsebre, di Miglietta e di tanti
altri artisti.
vito primiceri, direttore generale BPP
Sin dagli anni Settanta,
Miglietta ha avuto contatti con i fondatori di gruppi e di riviste,
dapprima individualmente, poi, dal 1971, attraverso il Laboratorio
di Poesia Motoria (successivamente Laboratorio di Poesia di Novoli)
da lui fondato e diretto. La sua casa, luogo in cui è ubicato
il Laboratorio, diventa negli anni un vero e proprio centro culturale
in cui si allestiscono mostre, si organizzano iniziative, dibattiti
e performance. Enzo Miglietta, con sua moglie e i figli, insieme
con gli autori, i critici e gli storici del luogo, stabilisce un
dialogo costante con le più autorevoli personalità
nazionali e internazionali della poesia sperimentale della seconda
metà del Novecento. Egli frequenta i poeti del centro Tool
(in seguito Mercato del Sale) di Ugo Carrega a Milano, i poeti visivi
del Gruppo 70 e del Centro Tèchne di Eugenio Miccini a Firenze.
Con loro organizza mostre e incontri. Nel Laboratorio ospita esposizioni
di poeti e di artisti delle neo-avanguardie tra cui Ugo Carrega,
Vincenzo Accame, Vincenzo Ferrari, Adriano Spatola, Arrigo Lora
Totino, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Michele Perfetti, Luciano
Caruso, Lucia Marcucci, Stelio Maria Martini, Ignazio Apolloni,
Giovanni Fontana, William Xerra, Enzo Minarelli, Carlo Finotti ed
altri.
Oggi, a distanza di circa quarantanni, non si può non
evidenziare il ruolo del Laboratorio nella poesia sperimentale in
Puglia in relazione con quello del Gruppo Gramma, fondato nel 1970
da Bruno Leo, Giovanni Corallo e Salvatore Fanciano, con quello
del gruppo Ghen, fondato nel 1976 da Francesco Saverio Dodaro, e
con il Centro Ricerche Estetiche fondato da Corrado Lorenzo.
Lintensa attività del Laboratorio svolta insieme con
i gruppi e gli intellettuali del luogo, in particolare con Toti
Carpentieri, dà vita a nuove e originali forme poetiche che
nel corso degli anni suscitano linteresse e la curiosità
non solo degli operatori salentini, ma anche di molti intellettuali
internazionali che da diverse parti dEuropa (Irlanda, Francia,
Spagna, Germania, Inghilterra, Ungheria, ecc
) e dAmerica
(Los Angeles, Miami, Argentina, ecc
) collaborano e contribuiscono
alla diffusione della nuova poetica verbo-visuale salentina, in
cui la parola va oltre il suo significato verbale e diventa un segno
che con altri segni crea un nuovo linguaggio con un valore semantico
e visuale diverso.
salvatore luperto
Nel 1993
Miglietta faceva una sorta di consuntivo del proprio lavoro con
una mostra intitolata Manoscritti e altro (1977-93), allestita nelle
sale del Castello Carlo V di Lecce, nella quale presentava unampia
scelta della sua produzione.
In quella più recente si poteva notare il tentativo pienamente
riuscito di sfruttamento estetico del nuovo mezzo espressivo, che
si manifestava attraverso una maggiore cura dellaspetto formale
delle composizioni. Miglietta dimostrava ora di saper coniugare
perfettamente invenzione fantastica e competenza tecnica nella progettazione
e nellesecuzione delle tavole, che diventavano sempre più
raffinate, complesse, variopinte.
Ciò che colpiva era la sua capacità di saper svolgere,
con pochi schemi fissi, una serie impressionante di variazioni
sul tema. Nelle opere degli ultimi tre anni si assisteva poi a una
vera e propria esplosione fantasmagorica, a uninesauribile
proliferazione di segni, di colori e di parole, le quali avevano
un rapporto più stretto con il significato complessivo dei
manoscritti.
In alcune composizioni, a predominare era il piacere, il gusto della
composizione. In altre invece egli interveniva, a modo suo, su problemi
di attualità, politica e sociale: le guerre, lecologia,
il razzismo, il ruolo della donna nella società. Era presente
anche una riflessione sulluomo che Miglietta, nelle sue tavole,
vedeva sempre più ridotto a schiavo dei meccanismi e rappresentato
spesso, quasi alla maniera chapliniana, come un pupazzetto schiacciato
dalle pulegge e dagli ingranaggi che rischiano in continuazione
di stritolarlo.
Accanto alle esperienze di scrittura verbo-visiva su cartoncini
e carta a colori, proseguite fino al 1999 anche attraverso lallestimento
di due altre personali a Milano nel 1981 e nel 1993 e la partecipazione
a importanti mostre collettive in Italia e allestero, Miglietta
ha operato, come sè detto, sempre con inesauribile
fantasia e creatività, anche in altri settori della sperimentazione
artistica contemporanea. Ricordiamo, ad esempio: i videolibri, raccolte
di tavole manoscritte, con i quali tenta di sviluppare un discorso
più organico e articolato, mettendo quasi alla prova la duttilità
del nuovo strumento; i libri-oggetto, nei quali mette insieme materiali
diversi decontestualizzandoli in funzione di unidea, di unintuizione
che cerca di svolgere coerentemente nelle pagine interne;
gli innumerevoli interventi di mail art (o arte postale) inviati
un po in tutto il mondo. Queste altre esperienze sono accomunate
dalla presenza della scrittura manuale, la quale costituisce, a
ben vedere, una costante di Miglietta, il vero filo conduttore del
suo lavoro, dallinizio a oggi.
La scrittura [
] non manca nemmeno nellultima, più
estrema e provocatoria delle sue sperimentazioni, larte
dalla spazzatura, a cui si dedica dal 1999. Convinto della
definitiva e irrimediabile perdita della parola, dellinutilità
della comunicazione verbale, inflazionata e diventata ormai inautentica,
egli recupera materiali di scarto di ogni tipo (scatole di cartone,
residui di polistirolo, buste di cellophan, vecchi manichini, marchi
pubblicitari, ecc. ecc.) e li assembla dando loro una forma esteticamente
accettabile. Dopo, con limmancabile pennino da geometra, alla
maniera di un antico scriba o di un monaco amanuense medievale chiuso
nel suo scriptorium e intento a ricopiare preziosi codici, vi scrive
da ogni parte (sopra, sotto, intorno) vecchie composizioni in versi
o lettere dellalfabeto. In tal modo cerca di salvaguardare,
nobilitandoli, questi oggetti destinati a finire nei contenitori
di spazzatura, indicando forse, al tempo stesso, anche unoriginalissima
(e utopistica) soluzione a un problema diventato in questi ultimi
tempi di drammatica attualità.
antonio lucio giannone
Come mai lo chiama
Laboratorio? Non solo per esplicitare il concetto che fare arte
e poesia va considerato un lavoro vero e proprio, ma anche per sottolineare
lobiettivo di ottenere una coralità operativa, basata
sulla continua sperimentazione ed anche libera dai condizionamenti
posti dagli spazi espositivi pubblici e privati. E sicuramente la
scelta dellimpostazione del Laboratorio non è estranea
al teatro contemporaneo. Come non ricordare Luca Ronconi e il clamoroso
allestimento dellOrlando Furioso di Spoleto? Con la sua azione
si rafforza e diffonde il teatro sperimentale, da cui nasce il fenomeno
dei laboratori teatrali. Il teatro rappresenta con la sua complessità
e ricchezza un privilegiato spazio per condividere esperienze, attuare
contaminazioni e sconfinamenti fra le diverse discipline ed i loro
linguaggi. Ciò che le unisce è soprattutto la processualità
del fare.
Del resto nel linguaggio artistico è ormai entrata a pieno
titolo la spettacolarità sotto forma di happening e di performance.
E la Poesia Motoria nella sua dinamicità indotta prevede
non solo una sorta di teatralità, ma anche le prime contaminazioni
con le arti visive
Il suo pennino sismografico non registra più
solo i suoi respiri, ma quelli delluniverso. E sono premonizioni
minacciose. Ora la memoria delle cose, la cognizione del presente
e quasi una preveggenza del futuro si fondono. Con ritualità
quasi sacerdotale continua a ricostruire il decostruito e a scriverci
sopra. È un messaggio eroico e utopico, irricevibile da qualsiasi
strumento elettronico, messo in una metaforica bottiglia.
È comprensibile solo a chi può e vuole leggerlo.
ilderosa laudisa
Nellarte contemporanea
sono presenti due tipi di lettura dellopera.
1) Lopera si rivela in senso immediato, attraverso i sensi
della vista, delludito e in alcuni casi anche del tatto. Si
tratta di unopera che contiene una forma di lettura monocentrica,
con un unico nucleo rappresentativo.
2) Lopera si rivela attraverso forme di scorrimento del pensiero,
tramite percorsi formati da immagini successive accostate per omogeneità
o per contrasto. Si tratta di opere policentriche che presentano
una serie di nuclei destinati ad una fruizione più lenta
e che richiede non solo la partecipazione attiva dei sensi, ma anche
unattenta lettura destinata a decodificare sia i vari significati
di ogni singola immagine sia gli altri significati determinati dagli
accostamenti.
In questo secondo caso ci troviamo, a mio parere, di fronte ad unarte
viva, in grado di dare risultati e soprattutto emozioni diverse
a seconda della sensibilità del fruitore.
Lopera non sarà mai fruita completamente in quanto
potrà determinare risultati e significati diversi nello stesso
fruitore in momenti successivi.
Leffetto magico della parola che incanta e persuade lanimo,
grazie alle segrete consonanze tra la psiche e le armonie e i ritmi
verbali, da una parte e la scelta naturalistica, che limita la fruizione
alle pure sensazioni legate allemotività, rappresentano
un dualismo che si perpetua nel tempo.
Nei due settori esistono esempi sublimi e paradossali cadute. Il
problema è in che modo si riesca a far coesistere, nella
stessa opera, la teoria e la prassi, laspetto formale con
quello critico, labilità della mano con lintelligenza
delleffetto, scaturita da una concezione mentale dellopera
associata al sapere e al fare uniti nel talento.
Se il mythos sta per un puro raccontare, non obbligatorio
nel senso che non implica necessariamente alcuna argomentazione
o motivazione, e il logos assume forme più rappresentative,
come può essere rappresentativa la parola del poeta?
fernando de filippi
Dei poeti greci poteva
dirmi quel che voleva e prenderli se del caso a suoi progenitori
ma non mi parlasse di Budda o Brahmaputra in quanto [
] le
mie ultime spedizioni mi avevano visto in Nepal dove avevo fatto
il pieno di monaci e arancioni, ritiri spirituali dove il meno che
ti potesse capitare era di incontrarci una certa Giulia Niccolai.
Lo misi k.o. il Miglietta. Lui né in Nepal cera stato
né aveva sentito parlare di questa signora. Fui dunque io
a fargli la storia di una coppia ben assortita, ritiratasi a vivere
da bonzi in un mulino ad acqua, a scrivere chi poesie frisbee
sullesempio appunto di quelle che andavano scrivendo e recitando
i bonzi e chi invece (certo Adriano Spatola) a dirigere una
rivista dal titolo molto sonoro (TAM TAM) preludio dellavventura
sua e di altri nel campo della poesia appunto sonora. Lo sconvolsi
appunto il Miglietta quando gli mostrai, traendoli dal mio armamentario,
un paio di cassette confezionate sotto la sigla Baobab. Tirai fuori
un piccolo registratore da una tasca della mia sahariana. Avviai
lascolto. Finalmente anche noi piombammo nel sonno. Ci risvegliammo
alle prime luci dellalba. Fu il Miglietta a togliere per primo
gli indugi. Mi chiarì che avrebbe preso il primo treno per
tornare a Novoli, al suo laboratorio, a fare poesia (nel senso di
poiein), ai tanti artisti che lassillavano perché volevano
esporre in quel prezioso spazio chiamato da lui LPN: impossibile
da decifrare lacrostico, che infatti mi rimase per sempre
oscuro. Laspettavano grandi eventi. Era di ritorno da Palermo
dove aveva incontrato tale Francesco Carbone e visionato il lavoro
di certa Vira Fabra dal titolo quantomeno inquietante: Ultimi tattili
ai margini della memoria. Ne era rimasto colpito. Aveva sentito
parlare pure di Singlossia quale superamento definitivo della poesia
tout court e della stessa poesia visiva teorizzata e praticata da
certi Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Ad avvelenarne il ruscello
secondo una certa Rossana Apicella ci avrebbe pensato la nuova teoria,
la sua teoria. Alla fine vinse, come sempre, la stanchezza, ma non
prima che il Miglietta mi lanciasse la sfida.
«Che venga a Novoli» ci davamo ancora del lei.
«Scoprirà cosa sono gli Ultimi tattili ai margini della
memoria attraverso ciò che ne dirà Francesco Carbone.
Se proprio le sfuggirà qualcosa, potrà leggere il
suo intervento
». Promisi, ma non mantenni la promessa
anche perché perdetti il biglietto da visita di quel visionario.
Mi rimase ad ogni modo impressa la sua figura ieratica, da uomo
minuto, che vede solo ciò che pensa e crede probabilmente
nellamicizia e nel gesto estetico.
ignazio apolloni
Era lanno 1983,
e io stavo organizzando alla Rocca di Stellata, bastione estense
sulla darsena del Po al confine tra il ferrarese, il mantovano e
il rodigino, una mostra il cui titolo era già un manifesto,
Segnosuonoformaoggetto; vi partecipavano molti poeti della cosiddetta
ondata visiva, e naturalmente tra loro, Enzo Miglietta. Secondo
il saggio introduttivo al catalogo, dove tra laltro in anni
non sospetti già teorizzavo e coniavo il termine Polipoesia
(il Manifesto omonimo uscirà solo nel 1987, Valencia, Tramesa
dArt), sviluppavo un riferimento critico che lo riguardava
direttamente, ma [...] è meglio specificare il tipo di opera
che mi aveva spedito, opera che ancora conservo nel mio archivio
[...].
Il titolo Io incontro una lamina dAlluminio, 70x100,
incisioni, letraset; va anche detto che nellinvito avevo richiesto
un tipo di lavoro che rispecchiasse la polipoeticità del
titolo, tutti più o meno si erano adeguati a questa mia impostazione
formale. Lui mi aveva inviato questa grande lamina, stupenda devo
dire, anche adesso che lho messa di fronte a me mentre scrivo
fa un grande effetto visivo; tutta intarsiata di lettere, di segni,
pazientemente incise in rigoroso ordine verticale, se non fosse
per lassenza di disegni, sembrerebbe una tavola egizia pullulante
di geroglifici. In questa manualità si riscontra la sua cifra
estetica, geometria e pulizia sono il suo credo, rigore e accumulo
quantitativo fanno sì che locchio affondi (naufraghi?)
nel mare magnum dei suoi segni grafici.
enzo minarelli
Ebbi un primo contatto
con Enzo Miglietta quasi trentanni fa. Precisamente nel 1979,
quando con Adriano Spatola lavoravamo per allestire la rassegna
di poesia visuale e fonetica che fu proposta nel settembre di quellanno
a Fiuggi. Si trattava di Oggi poesia domani, un evento
di grande impegno organizzativo che, con finanze magre, riuscì
a presentare al pubblico un panorama internazionale di poesia
visuale e fonetica con più di duecento partecipazioni
nella sezione visiva (dai concreti brasiliani agli spazialisti,
dai visivi italiani ai visuali americani, ecc.), con un corpus sonoro
montato su bobine a diffusione continua per diverse ore di registrazione,
con interventi dal vivo di numerosi performer, da Julien Blaine
a Bernard Heidsieck, da Paul Vangelisti a Ernest Buchwalder, da
Corrado Costa a Giulia Niccolai, da Mirella Bentivoglio (che in
quelloccasione propose alcune mimodeclamazioni) a Lamberto
Pignotti, dal duetto Sarenco/Verdi al gruppo Simposio
Differante, fino ad Arrigo Lora Totino, che in quattro serate
presentò Futura, lantologia di poesia sonora
pubblicata dalla Cramps di Gianni Sassi; e poi ancora F. Tiziano
(pseudonimo di Tiziano Spatola, fratello di Adriano), Milli Graffi,
Aldo Selleri (che proiettò unopera sonorizzata con
Umberto Santucci), mentre John Mc Bride (corresponsabile con Vangelisti
della rivista americana Invisible City) animava con Giovanni Anceschi
e Matteo DAmbrosio le serate dedicate ai periodici di poesia
e al dibattito sulle sperimentazioni in corso. Si trattava di una
delle manifestazioni più importanti di quegli anni, se non
altro perché poeti di tutto il mondo erano coinvolti allinsegna
della multimedialità e della sinestesia, sia sul piano creativo
che teorico: allora ancora cosa rara.
Enzo Miglietta fu tra gli espositori [...]. I suoi lavori mi sembrarono
molto strani per luso chegli faceva della scrittura.
Se non altro inconsueti. Niente segni forti, niente gesti eclatanti,
niente spettacolarità calligrafica, niente masse o matasse
verbali, nessuna particolare ricerca sulle forme dei caratteri,
niente variazioni nella scelta dei corpi, niente costruzioni di
taglio concreto, niente acrobazie di montaggio, niente
lacerazioni, nessuna tentazione materia o plastica, nessuna traccia
di reperti, di grumi, di nodi corposi e nello stesso tempo nessuna
freddezza lapidaria, ma anche nessuna tentazione informale, nessuna
scia di slanci performativi, nessuna macchia e nessuna cancellatura,
soltanto una scrittura minuta, pulita, tirata, distesa ai limiti
della leggibilità, che seguiva trame geometriche puntualmente
studiate e precisamente tracciate. Si trattava di una scrittura
piegata al disegno, ma non nel senso del calligramma,
generalmente flessuoso ma dichiaratamente schiavo delloggetto
descritto; qui gli allineamenti di parole rinunciavano alla propria
autonomia semantica per consegnarsi alle strutture geometriche,
vere protagoniste della superficie. Il testo perdeva il proprio
spessore non solo perché andava incontro allannullamento
del senso, ma anche perché si conformava alla monodimensionalità
della linea. Nel tempo, il lavoro di Miglietta avrebbe attraversato
stagioni diverse; si sarebbe complicato offrendo più spazio
alla texture verbale, alle trame cromatiche, includendo elementi
eterogenei, come le figurine della sua nuova strada
del 1994, e avrebbe optato per soluzioni pittografiche, concedendosi
(e forse compiacendosene) anche effetti grafici che riconducevano
ad una certa naïveté.
giovanni fontana
Inediti dal Laboratorio
di Poesia
La fontanina
Quella pettegoluccia montanina
attende tutto dì che la donnina
le vada a raccontar della vezzosa
Maria Rosa è sempre mormorosa;
e sbarazzina scorre a tratti e manda
notizie alla soletta sua Fernanda,
che, per vociar, risponde e fa felice
la nostra Berenice, che le dice:
- Odo di notte qui glinnamorati
e mamma pioggerella, ai dì calati,
mi manda venticello per scherzare,
e mormorare e ridere ed amare.
- Fanciulle e biricchin di questa strada,
connette in grembiulin testa sbrigliata,
sentite, oh! qui correte, allacqua fresca,
che bacia, che rinfresca e che vintresca.
- La Giulia ha perso il bello e Gino è pazzo
per la Rosetta e la Rosina è al lazzo;
la Brigida ha sé dietro la canea
e la Pompea veste come dea.
- Correte, amiche, allacqua, alladunanza,
Fontanina di voi ha distanza;
che la graziosa e pura sua Fernanda
a dir le manda che Rosina sbanda -.
O Fontanina, vispa e senza alloggio,
perché ci stoni? e il lesso al fuoco brucia.
Lascia che le fanciulle sian secrete.
Potessi in fondo a Lete arder di sete.
O miseranda peccatrice nera,
cambia una volta alfin la tua chimera,
ché più dun uomo, ahimè! ti maledice
il dì infelice in cui ti festi attrice.
s.d. ...10.46
Le donne e il fumo
Quattro donne e un diavoletto
messi su una berlina
di cartone e un po di trina
iniziarono un viaggetto.
Centomila uccelli al tiro
travestiti da destrieri
dovean far pel mondo un giro
ad attrar bei cavalieri.
Stava il fatto che il carretto
solo ruote aveva per terra
e i destrier senza garretto
non valevano alla guerra.
Ed allora di partire
quattro donne fur menate
dietro a un diavolo di frate
che nel fosso andò a finire.
Della favola il morale:
poveruom che stiri gli occhi,
sta per dire, fai del male,
ma risparmia i tuoi baiocchi.
16.12.55
Tu vai allo spigolare
Tu vai allo spigolare
bionda mogliera
e mi porti il solo nella tegliera
e delle gore il bisbiglio
alla nostra sera.
O quando stai di vendemmia
piccola mora
talzi che albeggia
il tino divora
la botte vaneggia
e il ciel si colora
sulla nostra reggia.
Ma se dinverno senza dafare
siedo un po triste
vicino al focolare
tu sferrucchi al pedalino
di lana della nostra pecora
che terrà caldo il bambino
e con gli occhi dametiste
dirai: tamo
anche se la vita è un po triste.
E quando il tempo del tabacco
ne caccerà dal sacco
tu alla scranna nera
io alla terra fredda
ci rivedremo a sera
stanchi felici.
E a maggio che i ciliegi
saran tutti in fiore
tu verrai tra le aiuole
piena di dispregi
come bimba in amore
che i fiori dileggi.
O cara mogliera
io vo che alla mia sera
tu non debba cacciare
il tuo uomo che non ha dafare,
io vo su te contare
che saprai mio figlio campare
e in te tutta la vita
mia sarà finita
e non mi vedrai mai
allontanare
neanche nella dipartita.
25.11.56
Alla raccolta delle olive
Alle olive
van le campagnole,
con scherzi e con parole
fanno lamore,
e i giovanotti in panna
vedon le mutande
sotto gli alberi
alle contadine
liete e chine
a cogliere le olive.
Van le campagnole
alle olive
di buon mattino.
Sotto i verdi olivi
i gai corpetti
i baldi giovanotti
si fan di fronte
ed alle contadine
a cogliere chine
guardano i petti.
Van le campagnole
di buon mattino
a cogliere le olive.
Cantano in coro
e fan le stornellare
poi si distendono
allegre e variopinte
attorno ai vecchi tronchi
e mangiano insieme
giù per gli occhi bevendo
gli amor che van volando
dai veli ai cappellacci.
Le campagnole
con gli occhi e le parole
fanno lamore.
E quando la giornata
buia è calata
tra le dense chiome
delloliveto
sullo stanco volto
ride lamore
ma per la curva schiena
dolorante
dormono lore.
Le campagnole sole
no, non salzano;
il campagnuol ci vuole
che se le stringa al petto
che le riscaldi
e le riporti dritte
dritte come allalba
verso lamore.
Van le campagnole
sole
a cogliere le olive
piene damore.
Anchesse abbrunite,
umili e rubeste
savvolgono il vestito
ed al tramonto tornano
a ripensare quiete
a un buon marito.
Van le campagnole
alle olive
di buon mattino
a cogliere e a cantare
van le campagnole
di buon mattino.
s.d.
1.58
Saffaccia la Rosetta al balconcino
Saffaccia la Rosetta al balconcino
E fa pronta che innaffia il ciclamino
Ma su e giù in fondo al corso manda
I suoi lucenti sguardi pieni damore.
Se vede Giovannin che fa i dispetti,
si pianta e par che ben sporta laspetti;
poi chegli è giunto al suo balcon richiude
e spia che faccia fa Giovan, quel rude.
Poi laltra volta che Giovan ripassa,
già disilluso, e guarda il fior di fronte
al ciclamino solo della Rosa,
appar Rosetta e gli si mette in posa.
Oh! Giovan non sa che Santo andare
dietro alla sagrestia a invocare.
Si dispera e si pente, arde, sarrabbia,
mai no, mai non lavranno in gabbia.
O lo convincerà Rosetta allamo?
Ora Giovanni cambia strada e piano.
Rosetta langue. Ma ha visto un altro tipo,
già sentusiasma e Giovannin è finito.
15.12.58
I calzoncini per il mio bambino
I calzoncini per il mio bambino,
lho pagati di più,
perché per i bambini,
le stoffe devono essere più care.
Capirai
E il paltoncino per la Nina.
Felpato, rosso, col cappuccio.
Le sta. Comè carina.
La vedrai.
Vedessi che roba brutta ha preso lAssunta,
per quei piccini. Invece quella dellAda
è bella, costa poco, ma è bella.
Ma per i bambini,
bisogna spendere di più.
Capirai
Vedi? Ne faccio un paio di sovratasche per la Ida
E mi resta una cinta per Gigiona.
Oh! Comè piccolo quel salvadanaio.
Un altro anno lo cambio, lo cambio
Possibilmente,
senza che se ne accorga mio marito.
s.d.
12.58
Oggi abbiamo cucito
Oggi abbiamo cucito quindici paia di pantaloni.
E sono mille e novecento lire.
Millenovecento lire per dieci giorni,
per dieci volte, sono diciannovemila lire;
dieci per casa e nove per noi;
tu ti fai un lenzuolo;
io una coperta;
e tu due camicie che ti servono.
Arriva la sera,
quella dei dieci giorni,
e la mamma tira fuori i conti:
quello della farmacia,
quello del pane e della salsa,
quello del calzolaio,
quello della legna,
tutti arretrati, arretrati,
terribilmente arretrati,
non finiscono mai, non finiscono mai,
mai si finisce, mai di vivere,
di consumare, di spendere.
Qui in questa casa è un inferno.
Io voglio sposarmi.
E io pure.
E anchio. Me ne voglio andare,
me ne voglio andare.
È un altro giorno,
dopo la sera del decimo.
Sode il canto di voci solerti
e il traffico della Singer;
di quando in quando scoppia il tuono,
i nervi; poi il lavoro caccia via
i brutti pensieri e si ride.
Fanno ancora i conti quelle teste matte
di bambine?
Sì, le quindicenni, anche affamate,
e disperate, non finiscono mai di far conti,
di sognare;
nonostante tutto.
Oh! felicità della vita
in quegli occhi luminosi
lucidati di quando in quando
da qualche lagrima.
s.d.
1.59
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