Il viaggio lungo il tratturo, era detto monticazione:
le mandrie, con i pastori al seguito, lo intraprendevano a maggio,
con
la chiusura della Dogana.
|
|
Erano le vie erbose che scendevano dallAppennino
centro-meridionale e collegavano lAbruzzo e il Molise con
le terre a clima temperato del Tavoliere della Puglia. Erano i tratturi,
gli antichi percorsi delle greggi in transumanza, soggetti a un
rigoroso regime fiscale, che era stato istituito dallaragonese
Alfonso I nel 1447 con la Regia Dogana della Mena delle pecore
di Puglia. Le vie erbose erano sentieri generalmente ampi.
I più importanti, quelli che si snodavano con una fascia
erbosa mediamente larga 60 passi napoletani, (più o meno
equivalenti a 111 metri), erano detti regi: vere e proprie
autostrade del Re, che periodicamente venivano sottoposte
a controlli dei limiti della superficie che frequentemente era usurpata
dai proprietari dei terreni confinanti.
I tratturi in genere, e quelli di primaria importanza in particolare,
presentavano tracciati che assecondavano le naturali conformazioni
dei luoghi, creando unorditura del paesaggio storico e coniugando
le connessioni ambientali e naturalistiche con una vera e propria
rete di relazioni sociali e culturali. Gli sbocchi, poi, erano multipli.
Sempre muovendo dallAbruzzo e dal Molise, i tratturi culminavano
in Campania e in Calabria, oltre che in Puglia e in alcune brevi
fasce della Basilicata. Per quel che riguarda la Capitanata, le
vie erbose regie erano tre: la Pescasseroli-Candela, la Celano-Foggia,
e, non meno importante, la Lucera-Castel di Sangro.

Questultimo, anche se presenta una configurazione abbastanza
ristretta, a causa delle continue usurpazioni, ha unevidente
continuità di tracciato, contraddistinto da una ricchissima
presenza di testimonianze storiche, artistiche e naturali, che ne
fanno un esempio emblematico della civiltà della transumanza.
Lungo tutto il percorso, che si snoda per ben 130 chilometri, dalle
campagne pianeggianti del territorio di Lucera fino al ponte sul
fiume Fittola, nei pressi di Castel di Sangro, è un susseguirsi
di splendidi paesaggi e di bellezze incontaminate, che includono
i segni inequivocabili di unedilizia rurale che la cultura
agro-pastorale ha impresso alletnogeografia: nobili masserie,
un giorno centri fiorenti di economia curtense; fontane dai profili
netti, scolpite nella pietra, con la cattura di fresche acque sorgive;
silenti borghi rurali con skylines emergenti con torri e castelli
a misura duomo, e con piccole chiese che conservano ancora
il clima di spontanea devozione popolare; e cippi viari, croci scolpite,
cappelle solitarie, taverne dirute, ponti e guadi sui torrenti,
anche questi frutto di unarchitettura spontanea a servizio
dei pastori e dei viandanti.
E dentro questo armonioso patrimonio corale, alcuni celebri esempi
di architettura monumentale: le solenni chiese angioine di Lucera,
le chiese romaniche della Capitanata e del Molise con cospicui fregi
scultorei e con sorprendenti affreschi, la maestosa Basilica di
Castel di Sangro, e poi le rocche medioevali, le torri di vedetta,
le masserie fortificate, le dimore gentilizie di campagna, e tutto
un contesto che riporta alla mente il passato feudale di queste
terre.
Il paesaggio rurale incornicia a sua volta un paesaggio naturale
meritorio di esplorazione e di scoperta. È il caso dei boschi
dei Monti Dauni, che videro Federico di Svevia praticare la caccia
col falcone; ma anche del lago di Occhito e della diga sul fiume
Celano, presso Borgo San Giusto, nel territorio lucerino, dove si
possono osservare numerose specie di uccelli migratori. Poco più
a nord, in terra molisana, le dolci alture boschive e il fresco
gorgoglio di numerosi torrenti ancora custodi di trote e di granchi
dacqua; fino al confine con lAbruzzo, con i Monti della
Meta e con le Mainarde a vista, che preludono ai contrafforti rocciosi
del Parco Nazionale dellAbruzzo, del Lazio e del Molise.
Il viaggio lungo il tratturo, dal Tavoliere fino ai pascoli abruzzesi-molisani,
era detto monticazione: le mandrie, con i pastori al
seguito, lo intraprendevano a maggio, con la chiusura della Dogana.
Si ripartiva da Lucera, dalla parte della celeberrima quercia monumentale
di Santa Justa, o dalle vicinanze della diga sul Celone, presso
il sito di una colonia di età paleocristiana. Tappa successiva,
Biccari, ove reperti delletà del Bronzo dimostrano
che il territorio era utilizzato già allora per la pastorizia:
e ancora oggi Monte Sidone, Monte Cornacchia e le rive del Lago
Pescara ospitano bellissimi pascoli.
La direttrice del tratturo prosegue per Alberona, oltre il guado
del torrente Salsola, col paesaggio caratterizzato da torri con
colombaia e da numerose fontane in pietra, e per Volturino, dove
presso il guado del torrente Radiosa cera limportante
Taverna del Cavallaro: qui il tratturo segue il tracciato di unantica
via romana. Si profila, poi, Motta Montecorvino, ai piedi del Monte
Sambuco, dove ci doveva essere la città di Pietra, poi scomparsa.
E poco dopo appare Volturara Appula, col Santuario romanico della
Madonna della Sanità. Oltre, è San Marco La Càtola,
dal nome del torrente che attraversa la vallata: area di una faggeta
a Monte Orlando, fontane (pila del Ladro e pila di SantOnofrio),
chiesa matrice che custodisce le reliquie di San Liberato, festeggiato
il 19 agosto con la giostra medievale della Jaletta.
Da qui si risale a Monte SantAngelo («Terribilis locus
iste», nella gran caverna del Santuario dellArcangelo
Michele; e Tomba di Rotari, in realtà destinata ad altro
uso o culto diverso da quello di ultimo approdo del
monarca longobardo), luogo di pellegrinaggio di re e imperatori
per una lunga età, e cielo di San Giovanni Rotondo, intriso
della memoria di Padre Pio.
Si abbandona la Capitanata dopo un lungo cammino, circa 46 chilometri,
e poco prima del Ponte dei 13 Archi, sul Fortore, si entra in Celenza
Valfortore: la leggenda attribuisce a Diomede la fondazione della
città, con il nome di Celenna, sul Colle della
Valva. Distrutta dai Romani dopo la vittoria su Pirro, fu ricostruita
col nome di Celentia ad Valvam. Oltre il Ponte è
Tufara, paese natale del santo eremita San Giovanni, fondatore nel
XII secolo della potente badia benedettina di Santa Maria del Gualdo,
presso Forano, nel Beneventano. Sulla vallata, solcata dal torrente
Teverone, vigila un possente castello longobardo. Ancora un torrente,
il Tappino, ancora un massiccio castello, ma con affreschi del 500:
il tratturo percorre il territorio di Gambatesa, con una croce lapidea
issata sulla Chiesa di San Nicola di Mira (il Santo cui sono dedicate
moltissime chiese e cappelle lungo lintero percorso della
via derba) e con le taverne del Conte (ruderi), del Tufo e
di Petruccio (masserie). Altra taverna, a Pietracatella, insieme
con i resti del Casale Grimalda, e, al centro abitato, la chiesa
di Santa Maria di Costantinopoli, dove il martedì dopo la
Pentecoste rivive una tradizione legata alla civiltà pastorale:
alla chiesa è legata la festa della Madonna della ricotta,
ottenuta dalle pecore pascolate presso il Campo della Madonna,
costituito da vari terreni donati alla chiesa stessa. Una taverna
è segnalata col nome Piedricatello. Poi il tratturo entra
nel territorio di Toro, passando per un ponte a schiena dasino:
nella chiesa di San Salvatore sono custodite le reliquie del patrono,
San Mercurio. Lungo il fondovalle è Campodipietra, paese
che, grazie alla sua posizione strategica, lImperatore Arrigo
II di Sassonia scelse nel 1022 come base per assediare i bizantini
insediati in Capitanata.
Una scorciatoia porta alla Taverna del Cortile, con a vista le mura
ciclopiche del Castello Manforte, di Campobasso. La taverna, ancora
visibile, incrocia il tratturo regio con il braccio Cortile-Centocelle,
anche questo in pieno territorio sannitico. Poco lontano da qui,
sul ciglio del Vallone Ingotte, sono le Ripe, dimore
con aree dedicate, grazie a una zonizzazione ante litteram,
ai contadini, ai fabbricanti del gesso, ai lanaioli e ai funai (nella
chiesa dedicata allAssunta è custodita una rara copia
della Sindone).

Ma tappa più significativa del tratturo è quella
della Chiesa della Madonna della Neve alle Quercigliole, di grande
suggestione paesaggistica. Il centro di Castropignano, con le mura
ciclopiche scoperte nelle vicinanze della Rocca, è identificato
con la città sannitica di Palombino. Proseguendo, si apre
lampia visuale della splendida Vallata del Biferno, dominata
dalla mole squadrata di una torre medioevale. Primo tenimento, quello
di Oratino, con la Macella a vista: i portali, le balaustre e i
balconi delle dimore gentilizie rivelano lalta perizia delle
maestranze locali, con un artigianato legato allopera di fabbri,
doratori, vetrai, pittori e scalpellini. Tre torri angolari circolari
e un corpo trapezoidale caratterizzano il castello di Torella del
Sannio, che sorge sulla collina del Ciglione, anche se linsediamento
sulla vicina altura di Collalto consentiva un più efficace
controllo strategico sui transiti lungo lantica pista fratturale.
La chiesa parrocchiale conserva le reliquie di San Clemente martire.
Il più piccolo paese della provincia di Campobasso dà
il nome alla Regione. È Molise, dal nome del nobile cavaliere
di origine normanna Rodolfo de Moulins, al quale Roberto il Guiscardo
nellXI secolo assegnò la Contea. Lorigine è
antica, come testimonia una lapide in lingua osca. Poco più
in là, la vecchia Civitavecchia del Sannio ha poi preso il
nome di Duronia, dal nome dellantico centro sannita, a guardia
del fiume Trigno, espugnato dai Romani. Una splendida croce viaria
del 400 indica la direzione del tratturo, da qui largo in
tutti i 111 metri, verso Civitanova del Sannio, fino alla vallata
del torrente Fiumarella. Guadato il Trigno, la via derba raggiunge
Chiauci, poi la Taverna Ducale introduce a Pescolanciano, di cui
vanno ricordate la Fonticella in pietra con abbeveratoio
per le greggi, la riserva naturale di Collemeluccio istituita dallUnesco,
le fortificazioni sannitiche e una torre sveva. Poi il tratturo
tocca la località La Pianella, che apre lo sguardo
sul fondovalle dominato da Carovilli, centro in cui vivissima è
la memoria dei pastori transumanti, anche per la particolare posizione,
che collegava questo tratturo con il Celano-Foggia. Lungo il braccio
e poco fuori dallabitato, una lapide murata sul prospetto
della chiesa di San Domenico riporta lordinanza del Reame
di Napoli con la quale si riconosceva alle comunità di Carovilli
e Castiglione il diritto di riscuotere il pedaggio per i pascoli
occupati oltre la fascia fratturale. La chiesa dellAssunta
accoglie le spoglie di Santo Stefano del Lupo, nativo del luogo,
la cui casa natale è individuata in un ambiente del borgo
antico. Poco lontano, Roccasicura è sul Monte Ferrante, che
forse deve il nome alla presenza di una fonderia di epoca sannitica:
visibili i resti di una fortificazione del VI-V secolo a.C. che
garantiva il controllo dellarea fratturale interessata dal
passaggio del Celano-Foggia e del Lucera-Castel di Sangro.
Oltre il ponte sul torrente Mandra si raggiunge Forlì del
Sannio, situato sul corso del tratturo Pescasseroli-Candela, in
un contesto ambientale di grande suggestione paesaggistica. Antica
Forulum, inglobata in epoca longobarda nella Contea di Isernia,
fu poi feudo dei potenti Carafa. Ultima tappa in territorio molisano,
Rionero Sannitico, (antico nome: Rivinigri); o meglio ancora, una
delle sue otto frazioni, Montalto, dove i tre tratturi restringono
i corsi, come per trovare un unico punto di fusione. Rigoglioso
lambiente naturale, per la presenza di ricche sorgenti; e
pregevole quello faunistico, per la presenza del lupo e dellorso
bruno marsicano. Dopo di che, conclude il fondale di Castel di Sangro,
che sotto il Ponte sulla Fittola, torrente che confluisce nel fiume
Sangro, cerniera per i collegamenti tra Molise e Abruzzo, vede congiungersi
il nostro tratturo col fratello maggiore, quello che
segue litinerario da Pescasseroli a Candela. Antichissima
città, che alcuni identificano con Aufidena, città
sannitica (mura ciclopiche nei pressi del castello, fortificazioni
di Civitalta e Curino) divenuta poi colonia romana.
Qui culminava il viaggio delle greggi svernate in Puglia, con la
sosta alla frazione di Roccacinquemiglia, ultima meta di anabasi
pastorali che hanno dato un nome, nel bene e nel male, alla cultura
e civiltà contadina del Mezzogiorno.
|