Conversammo
con lui il tempo sufficiente per
renderci conto
che Alianello le femmine le aveva conosciute sui libri, come Salgari
i mari del sud
e le giungle
dellOriente.
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Primo incontro
Era lautunno del 1951 quando arrivai alla Nunziatella per
frequentarvi il liceo classico. Provenivo da Sambuca, un paesino
dellinterno della Sicilia dal quale sostanzialmente non ero
mai uscito, e, non cè dubbio, dovevo avere unaria
goffa, imbranata, come si diceva nel nostro gergo militaresco.
Mi aggiravo un giorno nel cortile piccolo, un gruppetto di anziani
notò la mia aria spaesata. «Cappellone, sullattenti!
Chi sei? Come ti chiami? Da dove vieni?». Risposi diligentemente
alle domande, alle quali ne seguirono altre. Ad un certo punto della
singolare conversazione che, benché le domande fossero indiscrete,
non mimbarazzava quegli allievi non corrispondevano
al cliché degli anziani terribili venne
fuori che mio padre era un leader del Partito Socialista in Sicilia
sin da prima dellavvento del fascismo. Ernesto, che del gruppetto
sembrava il più pronto e interessato a far seguire una nuova
domanda ad ogni risposta, scoppiò in una gran risata, una
risata di divertita sorpresa, che comunque, ricordo bene a distanza
di oltre quarantanni, non percepii come di scherno.
«Cappello, allora sei socialista anche tu?». «Certo!».
«E allora canta lInno dei Lavoratori!». Ed io,
senza disagio, attaccai: «Su fratelli su compagne / su venite
in fitta schiera / sulla libera bandiera / splende il sol dellavvenir...».
Dovetti cantarlo più o meno tutto, e forse Ernesto mi chiese
di continuare con altri canti della tradizione socialista, mentre
mi osservava divertito, prorompendo a tratti in risate omeriche
e tuttavia non offensive.
Da quel giorno diventai suo copertone e, col passare del tempo,
malgrado la differenza detà (due anni di differenza
tra i quindici e i diciassette non sono pochissimi), il rapporto
anziano-copertone, senza che ce ne accorgessimo, si andava trasformando
in un rapporto damicizia, che ma allora certo non lavremmo
immaginato sarebbe durato per la vita, sino a quel 27 aprile
del 1994, quando avrei fatto con lui un ultimo viaggio trasportando
da Livorno a Roma lurna con le sue ceneri.
Ernesto aveva un fratello minore, Eugenio, mio compagno di corso,
oggi regista teatrale di rinomanza mondiale, con il quale nacque
uno di quei rapporti che la vita comune condotta alla Nunziatella
rendeva fraterni. Ernesto amava molto il fratellino (Eugenio, a
quindici anni, era piccolo di statura, il primo della fila nel plotone,
ed io subito dietro di lui nella seconda o terza fila). Anche la
mia intimità con Eugenio favoriva la comunicazione con Ernesto.
Mi affezionai a questi due fratelli non comuni per ingegno, per
carattere, per storia familiare, e il sodalizio si rivelerà
emotivamente e intellettualmente ricco.
Dopo la Nunziatella
Conseguita la maturità nel 53 (quando lo conobbi era
una cappella ripetente), Ernesto si recò a Losanna a frequentarvi
i corsi della scuola alberghiera sino al conseguimento del diploma.
Il suo temperamento vorrei dire la sua biologia non
gli consentiva di intraprendere una carriera normale;
aveva bisogno di emozioni, di sogni, di vivere esperienze diverse
da quelle consuete, e anche fu un dato permanente della sua
personalità di stupire il mondo, di épater
les bourgeois. Una carriera alberghiera, che lo avrebbe portato
a dirigere grandi alberghi nei cinque continenti, parve a lui la
più in armonia col suo temperamento (insisto: con la sua
biologia).
Andò quindi a Losanna. Io rimasi ancora un anno alla Nunziatella,
durante il quale ci perdemmo di vista: solo Eugenio, di tanto in
tanto, mi dava qualche notizia. Poi, nel 54, anchio
conseguii la maturità e andai a frequentare luniversità
a Firenze. A partire da quel momento, credo che poche volte Ernesto
sia venuto in Italia senza fermarsi a Firenze per trascorrere qualche
ora con me, prima di raggiungere Roma, dovera la casa della
mamma.
Gli anni passavano. Ernesto, dopo Losanna, comincerà a vagare
per il mondo, da un albergo allaltro, mentre le mie sedi di
lavoro, dopo la laurea, cambiavano: da Verona a Napoli, a Roma,
a Firenze, a Milano. E ancora una volta, quasi sempre, quando Ernesto
veniva in Italia, ci organizzavamo per incontrarci. Ad ogni incontro,
ore di discussione fitta, ad inseguire i nostri fantasmi, a comunicarci
le nostre esperienze. Era soprattutto lui a parlare, ad inondarmi
dei racconti più diversi, a mettermi a parte delle sue letture
e delle sue scoperte. Spesso lincontro era anche loccasione
per una gita, mai decisa a caso, ma sempre alla ricerca di luoghi
e situazioni evocative dei nostri miti, in parte comuni: ma quando
tali non erano, io ero capace dinteressarmi ai suoi quanto
lui ai miei.
Talora tornavamo delusi o incazzati da queste gite,
come quando ci recammo sulla vetta del Monte Castello per rendere
omaggio ai fratelli Bronzetti e trovammo in condizioni di totale
abbandono il monumento-sacrario a Pilade e ai trecento garibaldini
che con lui caddero nella battaglia del Volturno. Ma anche in questi
casi scoprire che ci incazzavamo per le stesse cose
era come rinnovare un pegno damicizia.
E mentre alla Nunziatella le nostre conversazioni erano state generalmente
stitiche, condizionate dai problemi e dagli interessi della vita
militare, fuori dalla caserma spaziavamo nei campi più vari:
le femmine, la politica, la storia dItalia e quella del nostro
Sud in particolare, lepopea garibaldina, i Borbone e il Regno
delle Due Sicilie, il brigantaggio, la poesia, la letteratura. Credo
che trovasse in me uno dei suoi interlocutori più stimolanti
e attenti, salvo che per i suoi interessi esoterici, che in lui
erano vivi e presenti, ma sui quali io non riuscivo a seguirlo perché
il mio atteggiamento mentale razionalista me li rendeva alieni.
Lui comprendeva la mia chiusura verso i temi dello ctonio, e su
di essi non sintratteneva, se non brevemente e casualmente.
Perciò, e me ne rammarico, non potrò parlare dellErnesto
esoterico e ctonico.
Furono centinaia i nostri incontri, in Italia e allestero.
Ogni occasione era buona per vederci, come quando laereo sul
quale viaggiavo fece scalo a Khartum, dove lui dirigeva lHotel
Méridien. Ernesto mi raggiunse nella hall dellaeroporto,
dove ci trattenemmo in conversazione per il tempo della sosta. E
poiché i nostri incontri non erano brevi, abbiamo passato
in compagnia centinaia di ore, durante le quali ho conosciuto un
uomo, un amico che talora ho percepito quasi come un fratello. Di
questuomo, di questamico e della sua personalità,
voglio tratteggiare alcuni aspetti, senza pretesa di esaustività,
ma con lambizione di arricchire la lettura dei ricordi dellallievo
Clarì.
Mannaggia e ffemmene!
Le femmine. Coserano le femmine per lui? Erano le femmine:
componente primordiale e indefinibile del mistero delluniverso.
Il sesso, lamore, costituivano solo un di cui
delleterno femminino. Le vamp, donne dal fascino sensuale
e violento, non lo attraevano: in esse non cera mistero. Cercava
i suoi archetipi nella mitologia: Cerere, dea delle messi, della
fertilità, della riproduzione, portatrice del mistero più
grande; Ecate, linfernale divinità greca, identificata
con laspetto infero di Artemide, evocante pensieri di morte
(la morte, ineludibile polo dialettico delleros); Venere no,
non linteressava: era lantenata delle vamp proposte
dal consumismo (il consumerismo, diceva lui) americaneggiante.
Lattrazione che egli sentiva per le femmine era anche un modo
di penetrare il segreto che ciascuna portava con sé e il
mistero ultimo, della vita stessa; e quanto più ammirava
il mistero tanto più se ne sentiva attratto. Lo dice, del
resto, in una bella poesia inedita, parte di una raccolta manoscritta
dedicata a me e a mia moglie. Loccasione poetica è
offerta dallinaugurazione del giardino di un emiro; Ernesto
immagina di essere il poeta di corte e così si esprime:
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E lì sprofondo
in un pozzo di gelsomini
senza fondo.
E ad ogni livello
un profumo diverso.
Al primo nettare di rose.
Degli altri livelli:
i livelli più bassi
i livelli più rossi
i livelli del caos
Lei sola conosce i segreti.
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Lei sola conosce i segreti. E poiché non esistono due femmine
uguali tra loro, egli avrebbe voluto conoscerle tutte, per mettere
assieme i pezzetti di verità che ciascuna avrebbe svelato,
consentendogli di pervenire ad un livello superiore di conoscenza,
di scoprire lultimo segreto.
Talora si rendeva conto che questa incessante rincorsa era unillusione
e che, dopo aver posseduto unennesima donna, restava ignorante
delle cose del mondo quanto prima. E allora diceva di volersi rifugiare
nel misticismo e nella castità, mentendo anche a se stesso,
e magari per un tratto quanto breve! faceva il monaco;
ma durava poco, e presto riprendeva la rincorsa, alla ricerca di
qualcosa quale misteriosa cosa? che non poteva esser
trovata.
Ma se questo era il quadro esistenziale che determinava la sua attrazione
fatale per le femmine, occorre scendere di livello e aggiungere
motivazioni più modeste, ma ugualmente vere.
Ernesto era uomo del Sud; nato e cresciuto (sino alla Nunziatella)
in Puglia, proprio nel tacco dello stivale italico proteso nel lago
mediterraneo, aveva assorbito linteresse pervasivo per
le femmine tipico delle culture sessualmente represse (nei paesi
arabi, dove le donne son velate, un lembo di piede scoperto o gli
occhi lasciati liberi dal velo son sufficienti per innescare desideri
incontenibili) e il mito connesso della virilità, del quale
si può dire fosse schiavo. Ernesto era anche un belluomo,
fisicamente ben costruito e attraente, e perciò facile oggetto
di attenzioni da parte dellaltro sesso. A queste attenzioni
non sapeva sottrarsi; rispondere ad esse al meglio gli pareva quasi
un dovere. E poiché spesso le femmine che incontrava non
corrispondevano allarchetipo che egli aveva in mente, simpegnava
a costruire da solo, per uso proprio e di quanti, volendogli bene,
erano disposti ad ascoltarlo, un alone di immagini poetiche, e comunque
fantasiose, tali da innalzare il livello delloccasionale oggetto
damore. A tal proposito voglio raccontare un episodio.
Nel maggio del 1990 andai a trovarlo in Marocco, ad Agadir, dove
lavorava. Minstallai in un delizioso albergo, scelto da Ernesto,
nelloasi di Taroudant e al mattino del primo giorno di permanenza,
mentre facevamo colazione, egli mi disse: «Vuoi cenare stasera
con me e la mia ragazza marocchina? È la levatrice dun
paese vicino. Andiamo alla Gazelle dor, uno dei
posti più belli del mondo. Come vuoi che venga vestita? Alleuropea
o allaraba?».
Ernesto era anche un grande inventore di storie, talché,
quando me ne raccontava una, io non sapevo mai se fosse vera o no.
In quel caso, in particolare, mi pareva inverosimile che avesse
una relazione con la ragazza duno sperduto villaggio del deserto
marocchino, dove la repressione sessuale è massima. «Credo
sia una delle tue solite balle», risposi, «ma se così
non è, ci sto. Falla venire vestita allaraba, nel modo
più tradizionale».
La sera arrivò nella hall dellalbergo una donna il
cui portamento lasciava intuire la giovane età; ma, vestita
di nero sino ai piedi e con un velo che lasciava scoperti solo gli
occhi, non riuscivo a definirne lavvenenza, né ad osservarne
il volto, che infatti non ho memorizzato. Consumammo un aperitivo
conversando (la ragazza si esprimeva in un accettabile francese)
e poi ci trasferimmo al ristorante.
Finita la cena, Ernesto disse: «Accompagnamo la ragazza a
casa, e così avrai anche modo di vedere il suo villaggio».
Vi arrivammo verso le dieci; il paesino unoasi del
profondo Marocco era in festa per qualche ricorrenza; nella
grande piazza di terra battuta, al centro delloasi, si preparavano
canti e danze popolari (i danzatori solo maschi); la popolazione
seduta ai bordi per terra o su sedili improvvisati
in attesa dello spettacolo. Entrammo nella piazza e vi passeggiammo,
sotto lo sguardo curioso e attonito dei paesani che osservavano
i due europei con una loro donna trasgressiva e deviante. Vedemmo
linizio dello spettacolo e poi accompagnammo la ragazza a
casa, distante un centinaio di metri dalla piazza: la lasciammo
sulluscio e rientrammo.
Lungo il percorso del ritorno in albergo Ernesto non riusciva a
nascondere la sua fiera felicità. Era evidente
che si trattava di una storia damore di non grande spessore,
ma attorno ad essa egli aveva costruito, ad uso suo e di chi, volendogli
bene, lo ascoltava, un castello di fantasie poetiche, oniriche ed
eroiche: il guerriero bianco, arrivato nel profondo
Marocco, aveva sedotto una giovane donna e laveva indotta
a violare i codici della comunità di appartenenza. La modesta
storia damore si trasformava così in epica
conquista; linteresse delleros si alimentava con la
trasgressione e con lincontenibile piacere di penetrare il
segreto e il mistero duna femmina araba.
Solo al lavoro ma non sempre riservava energie comparabili
a quelle dedicate alle femmine, senza la cui costante e talora
ossessiva presenza forse la sua vita avrebbe avuto diverso
svolgimento. Una volta cincontrammo a Roma. Avevamo entrambi
appena letto Leredità della priora, un bel romanzo
secondo me misconosciuto di Carlo Alianello. Gerardo
Satriano, il protagonista, un ufficiale borbonico ex allievo della
Nunziatella, aveva combattuto sino alla fine contro i garibaldini.
Caduta Gaeta, Gerardo è un disoccupato senza prospettive.
Un giorno, mentre se ne sta seduto davanti al Caffè dEuropa
a Toledo con solo poche monete spicciole in tasca, viene avvicinato
da Max, un agente segreto dei servizi borbonici. Max, dopo i preamboli
del caso, lo conduce da una donna bellissima e misteriosa, anche
lei agente segreto, che convince Gerardo, con raffinate arti femminili,
ad impegnarsi nella guerriglia dei briganti contro il nuovo Stato
nazionale unitario.
Nel giro di qualche anno lesercito italiano riesce a reprimere
la ribellione dei contadini-briganti e Gerardo, per la seconda volta,
si trova disoccupato. Una goletta lo imbarca di soppiatto
a Salerno e lo porta a Civitavecchia (ancora nello Stato della Chiesa).
Mentre era seduto al tavolino dun piccolo caffè proprio
sul porto, di nuovo senza soldi e senza prospettive, viene avvicinato
da Caruso, un compagno della Nunziatella, che recluta volontari
per la guerra civile in corso negli Stati Uniti. Gerardo non respinge
la proposta di Caruso, che però avverte qualche riluttanza,
qualche resistenza. Si alzano, e Gerardo: «... paga tu. Io
non tengo nu... A proposito, stanotte dove dormo?». Labile
Caruso gli offre la soluzione che avrebbe dissolto i dubbi, le ultime
resistenze di Gerardo. «Sarai ospite nostro, degli americani.
Tutto pagato... Eppoi ci sta unamericanina... americana del
sud, una creola... che occhi, che fianchi, che gambe, che petto!...
tiene la pelle janca, e luocchie nire pare la luna
co doie stelle in fronte!». Giusto, giusto, pensava
Gerardo. È sempre la stessa trappola. Lantico compagno
darme tincontra e toffre un avvenire brillante
e danaroso, quando sanno che sei un pezzente. E poi la bella donna
fa il resto e vince le ultime resistenze, se ce ne sono... Intanto
andavano avanti, mentre la tramontana incalzava. Gerardo brontolò
qualcosa, già consapevole che avrebbe ceduto. Caruso non
capì. «Che dici?». «Niente». «Come
niente?». «Ho detto», disse Gerardo, «mannaggia
e ffemmene!».
Ernesto e io avevamo trovato magistrale la conclusione del romanzo,
del quale parlammo a lungo per concludere che lautore doveva
essere uno straordinario conoscitore di femmine e dei percorsi mentali
e psicologici della seduzione. Sarebbe interessante parlare con
Alianello, ci dicemmo. Sapevamo che abitava a Roma; consultammo
lelenco telefonico e vi trovammo il suo numero. Lo chiamammo.
Ci ricevette subito nella sua casa nei pressi, mi pare, della Via
Salaria. Trovammo un uomo non più giovane, immerso in uno
studio pieno di scartoffie e cimeli borbonici.
Conversammo con lui egli si prestava ad ascoltare e rispondere
il tempo sufficiente per renderci conto che Alianello le
femmine le aveva conosciute sui libri, come Salgari i mari del sud
e le giungle dellOriente. Quando uscimmo Ernesto era deluso:
aveva sperato che il Maestro potesse svelargli qualche mistero,
a lui sconosciuto, delluniverso femminino, che sarebbe riuscito
a portarlo per mano in meandri inesplorati, poiché questo
glinteressava. Mannaggia e ffemmene!
Alla luce di quanto ho cercato di dire va letto uno dei racconti
più belli dellallievo Clarì: Gli arcobaleni
della Floridiana. La professoressa de Rossi-Balsamo è
la metafora di tutti i suoi miti: la Femmina ad Alto Livello,
la Femmina di Gran Classe, la Gran Femmina,
la Femmina Fina (fina, come aveva già
detto Federico stupor mundi, la femmina trasgressiva e un po
perversa che sa intuire le aspettative del giovane allievo ancora
inesperto, ma profondamente curioso «de li vizi umani»,
e lo asseconda compiacendosene: lo invita in un pomeriggio festivo
al museo della Floridiana, lo conduce nella sala degli specchi,
si denuda e si masturba collocandosi in una posizione che non consente
a Clarì di osservarla direttamente, ma solo riflessa dagli
specchi, e che alla fine, quando stanno per lasciarsi davanti agli
scalini della funicolare centrale, lo saluta porgendogli la mano
con la quale si era masturbata: «Allievo Clarì, ma
alla Nunziatella non vhanno insegnato a baciare la mano alle
Signore?».
Ernesto e il fascismo
Diceva di essere fascista. Anzi precisava con compiaciuto
e provocatorio puntiglio nazista. Ma vediamolo più
da vicino questo fascismo e questo nazismo.
Rampollo di famiglia patrizia gallipolina, un antenato paterno era
stato garibaldino e aveva avuto un ruolo nella politica locale,
interessandosi in particolare alla pubblica istruzione e fondando
un museo che esiste tuttora. Il padre di Ernesto, Emanuele, volontario
e ardito nella Grande Guerra, era stato naturaliter fascista e aveva
avuto un ruolo, sia pur periferico, nella lotta politica della sua
regione nel primo dopoguerra, tanto da esser citato nella monumentale
Storia della rivoluzione fascista del Chiurco. Diventato ufficiale
della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, Emanuele concluderà
la carriera come console generale della Milizia in Libia. Morirà
nel 47 per postumi di malattia contratta in guerra. Per parte
di madre Ernesto proveniva da una famiglia di militari da più
generazioni, più monarchici e conservatori che fascisti,
comunque certamente collocabili a destra. Dopo la morte del padre,
la nuova Repubblica non riconobbe immediatamente alla vedova il
diritto alla pensione: Emanuele, pur avendo servito la Patria, lo
aveva fatto nella Milizia del Regime. La famiglia, ovviamente, non
poté non considerare uningiustizia il ritardato riconoscimento
dun diritto. Questi erano gli umori e la storia familiare
che Ernesto respirò dalla nascita. La sua collocazione a
destra era quindi naturale quanto lo era stata ladesione
del padre al fascismo.
Detto questo, Ernesto fu una delle menti più libere che io
abbia conosciuto. Io, peraltro, ero comunista, e nel Partito Comunista
italiano per alcuni anni ho militato. Ma mai questa diversa collocazione
politica disturbò il nostro rapporto; al contrario, essa
costituiva motivo di ulteriore interesse reciproco, e ciascuno raccontava
allaltro le sue cazzaten trovando un interlocutore
curioso e voglioso di comprendere. Certo, volendo a tutti i costi
spaccare in due le culture e gli atteggiamenti mentali e collocare
necessariamente gli uomini a destra o a sinistra, certo, in questo
caso, Ernesto stava a destra, poiché in questa direzione
lo sospingevano i suoi interessi per lesoterismo e lo ctonio,
il suo rifiuto viscerale di una lettura materialista della realtà,
il suo individualismo sfrenato che lo rendeva sensibile ai miti
del superomismo. Ma il suo archetipo di superuomo non era insensibile
alla sofferenza degli umili, come dimostra una bella poesia intitolata
Questione meridionale, tratta dalla sua prima raccolta
Sistole & Diastole. Eccone il testo:
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Sulla strada di Metaponto
li polizziotti manno sparato addosso.
Acciso e sanguinato
per 5 metri ho camminato a sforzo.
In una mano tenevo cicoria
e nellaltra una bandiera rosso.
Poi ho caduto morto sotto un fosso.
|
Ma cè di più. Il superuomo poteva anche essere
di sinistra. Da qui lammirazione, lamore vorrei dire,
per Che Guevara, al quale dedicò una delle sue poesie più
belle, che mi mandò manoscritta e che purtroppo non riesco
a ritrovare; ma ne ricordo un verso, che lascia intuire il resto:
Il millennio è tuo.
E poi ricordo che cincontrammo poco dopo luccisione
di Allende. È forse lunica volta che lo vidi commosso
sino alle lacrime. La fine di quelluomo che aveva difeso La
Moneda con lelmo in testa e unarma in mano, morendo
sul campo dellonore, lo aveva profondamente turbato. Mi disse:
«Il Sud America è pieno di quaquaraquà; ma quando
vi nasce un Uomo, ha un paio di coglioni che qui ce li sognamo».
E quasi pianse.
Una mente straordinariamente libera e aperta, ho detto. Nasceva
anche da qui il suo interesse per gli eretici. Ad un certo punto
scoprì Giulio Cesare Vanini, un eretico di Taurisano, in
provincia di Lecce (suo corregionale, quindi). Non so come lo scoprì:
ma mi scrisse non ricordo da quale parte del mondo
per saperne di più. Io, che ne ignoravo lesistenza,
colsi loccasione per documentarmi. Il povero Vanini, che si
era rifugiato a Tolosa dove viveva insegnando nel
tentativo di sottrarsi allInquisizione, viene tradito forse
da un allievo. Convocato davanti al tribunale per ateismo e bestemmia,
cercò di respingere gli addebiti. Ma quando si vide perduto,
accettò con coraggio la propria sorte. Sul patibolo gli tagliarono
la lingua prima di strangolarlo e bruciarlo.
Ci innamorammo del personaggio, tanto che io mi recai a Taurisano
a visitarne la casa natale. Glielo scrissi. Dopo qualche tempo mi
mandò da Tolosa una cartolina illustrata; sul retro questa
poesia:
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Cataro più che perfetto
sobrio, casto, errante
per lAquitania, Occitania, Roussillo
Poi a Place des Salines
la baciai
e abiurai il tutto
Mais pourquoi ici
quelle me dit.
Car sur cette place
on a brulé un ami
un vieux copain de mon pays.
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Vanini leretico, dunque, un amico, un vecchio compagno del
suo paese. (Notare come il ricordo del martire gli fa abiurare il
tutto e lo induce a rituffarsi nelleros: valore superiore?
Verità maggiore? Riaffermazione di libero vitalismo contro
ogni fanatismo?).
Un giorno, in Sicilia, preparandoci a ripercorrere litinerario
dei Mille, rileggemmo le Noterelle dellAbba. In mare, il 6
maggio 1860, sul Lombardo, Abba scrive: «Vedremo
Palermo? Vedremo la piazza dove fu fatto lAuto da fé
di fra Romualdo e di suor Gertrude? Il Padre Canata ce lo lesse
nel Colletta in iscuola; e leggendo pareva che schiaffeggiasse la
plebe e i grandi, che banchettarono cogli occhi sul rogo».
«Ernestì, ma chi cazzo erano sti Romualdo e Gertrude?».
E via a ritrovare il Colletta, a rileggere quella magnifica Storia
del Reame di Napoli sino a trovarvi narrata la vicenda tragica dei
due. «Ambo folli», dice il Colletta «però
che il frate... diceva ricever angeli messaggieri da Dio, parlar
con essi, esser egli profeta, essere infallibile: e la Geltrude,
tener commercio di spirito e corporale con Dio, essere pura e santa,
avere inteso dalla Vergine Maria non far peccato godendo in oscenità
col confessore; ed altri assai sconvolgimenti di ragione... Chiusi
nelle prigioni, la donna per venticinque anni, il frate per diciotto...
tollerarono i martori più acerbi, la tortura, il flagello,
il digiuno, la sete; e alla fine giunse il sospirato momento del
supplicio».
Segue la descrizione particolareggiata dellatroce supplizio,
preceduto da abbondanti libagioni per «la plebe e i grandi»,
mentre si preparava il rogo. «... prima la donna salì
al palco; e due frati manigoldi la legarono al tronco, e diedero
fuoco alle chiome, imbiotate innanzi di unguenti resinosi acciò
le fiamme durassero vive intorno al capo; indi bruciarono le vesti,
anchesse intrise nel catrame, e partirono... Così fra
Romualdo morì nellaltro rogo, dopo aver visto il martirio
della compagna». Non ci bastò la lettura del Colletta,
e cercammo di saperne di più, in particolare su Gertrude,
che mescolava eros ed eresia; e chi scopriva nuove informazioni
e ne trovammo le comunicava allaltro. E per
anni Ambo folli diventò quasi una nostra divisa.
Per quanto sin qui detto, ci teneva molto, quando si definiva fascista,
a distinguere la sua collocazione culturale e politica dalle generiche
posizioni di conservazione e/o di moderatismo di destra. Più
ancora teneva a dissociarsi dalle dittature militari, in particolare
di tipo sudamericano, che aborriva, perché solo preoccupate
di difendere gretti interessi di classe o addirittura di casta.
Sovviene ancora una volta una sua poesia (Todo por la patria,
da Sistole & Diastole) ad illustrare meglio delle mie
parole i suoi sentimenti:
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Polizia
con le scarpe pulite
con le unghie alluttate
con i baffi fascisti
con gli occhiali da sole
e uno sputo nel cuore
Messico
Caraibi
America del Sud
America del Centro.
Se una persona mi gusta
se voglio bene a un amico
me lo mettono dentro.
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Ernesto e la Nunziatella
La Nunziatella ha in comune con le Istituzioni antiche e consolidate
una caratteristica curiosa e interessante al contempo: quasi tutti
coloro che le compongono vi trovano ciò che vogliono, vi
attingono ciò che a loro serve. Si pensi a una grandissima
Istituzione, forse la massima al mondo: la Chiesa cattolica. In
essa si riconoscono il Poverello di Assisi e San Luigi di Francia;
tradizionalisti, conservatori, vandeani e teologhi della liberazione,
e così via. LIstituzione è una sorta di grande
ombrello sotto il quale si rifugiano gli adepti: e lombrello
tende a dilatarsi per quanto serve a chi ci sta sotto.
Così è anche per la Nunziatella. Ricordo in proposito
quanto colpisse me giovane allievo il fatto che venissero
parimenti onorati lex allievo Carlo Pisacane e gli ex allievi
che combattevano sullaltro lato della barricata per il re
borbone contro lunità dItalia. O ancora, in questo
dopoguerra, in epoca di guerra fredda, di discriminazioni e di tenaci
odi ideologici, come venisse riconosciuto e rivendicato il passato
di ex allievo di Mario Palermo, leader comunista di rilievo nazionale.
LIstituzione è larga, comprensiva ed Ernesto in essa
si riconosceva. In essa e attraverso essa faceva rivivere i miti
della sua gioventù: e persino i ricordi meno belli di quei
quattro anni trascorsi nel Rosso Maniero, col passare degli anni,
attraverso un procedimento mitopoietico innescato dalla nostalgia,
perdevano la connotazione negativa.
Tante volte abbiamo esaminato assieme cosa rappresentasse la Nunziatella
per noi. Io, più freddo e distaccato, mettevo in luce anche
gli aspetti non positivi dellesperienza. Lui ascoltava, forse
capiva, ma si chiudeva a riccio ed era evidente il suo intendimento
di rimuovere o almeno di voler ignorare i miei argomenti.
Non si lasciava sfuggire loccasione per un incontro conviviale
con gli ex allievi, o per partecipare quando poteva
al rito del 18 novembre a Napoli. Benché anchio non
rifuggissi da tali incontri e qualche volta sia stato presente il
18 novembre sulla collina di Pizzofalcone, ero tuttavia meno assiduo
di lui. Talora è successo che tornassimo da un incontro
al quale magari lui mi aveva trascinato un po delusi:
gli ex allievi convenuti avevano avuto percorsi di vita molto diversi
dai nostri, per cui la conversazione dopo londata iniziale
dei ti ricordi..., fluiva con qualche fatica
e linteresse delle retrouvailles scemava. Io glielo facevo
notare; lui lammetteva; ma alla prima occasione mi riproponeva
gli stessi incontri.
Forse, se mi sforzassi, potrei riuscire ad analizzare cosa rappresentava
la Nunziatella per lui, al di là delle considerazioni immediate
e superficiali, quali il ricordo della gioventù, il calore
della solidarietà, gli anni della formazione e della scoperta
della vita e del sesso, la tolleranza di unistituzione che
accettava da parte degli allievi scostamenti anche grandi dalla
medietà, e sullo sfondo la città di Napoli che, pur
ammaccata dalle miserie antiche e del recente dopoguerra, restava
straordinariamente affascinante.
Forse, dicevo, potrei riuscire ad andare più a fondo; ma
poiché questo libro [allude a Il Chepì dellallievo
Clarì, A.N.N., Napoli 1996, edizione di mille esemplari promossa
dagli ex allievi della Scuola Militare Nunziatella di Napoli, il
cui editing è stato curato da Maria Jatosti, N.d.R.] verrà
letto prevalentemente da ex allievi, penso di poter omettere considerazioni
più approfondite. I commilitoni che leggeranno conoscono
e quando non con la testa lavvertono con la pancia
la natura del nostro legame con la Nunziatella. Natura che
emerge dal testo che a me pare struggente di questa
poesiola, scritta sul retro di una cartolina illustrata, che mi
inviò da Khartum per gli auguri di Pasqua 76:
|
Ricordo Napoli,
Principio Primavera.
La divisa leggera, il tenente
Pacchialone
Le celle ancora fredde, la licenza
perduta e la pastiera.
Ricordo Napoli, principio Primavera!.
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Ernesto e lamicizia
Non mi risulta che avesse moltissimi amici, anche perché
con modalità assolutamente personali era fortemente
selettivo. Ma quando innalzava qualcuno al rango damico, mostrava
per costui attenzioni comparabili a quelle dun amante.
È arduo fare un elenco delle suddette attenzioni, poiché
esse si manifestavano attraverso piccoli gesti e comportamenti della
vita quotidiana di difficile ricostruzione e forse anche di scarso
interesse per chi legge. Ma un paio di cose voglio dirle.
Innanzitutto la corrispondenza. Tra un incontro e laltro,
Ernesto non spariva, continuava a essere presente e a dare notizie
con lettere, non fittissime, ma regolari. Era un piacere ricevere
una sua lettera: mai banale, ognuna conteneva uno scoppiettio di
osservazioni acute sulla vita che conduceva, le esperienze che faceva,
il mondo che lo circondava. Inoltre, normalmente arricchiva il testo
con una poesia estemporanea, qualche calembour, una cartolina illustrata
originale, e così via.
Io gli rispondevo regolarmente. Ma le mie lettere non erano come
le sue: erano comunicazioni notarili di quanto accadeva nella mia
vita. Più volte mi ha scritto incazzato: «Se
non la smetti di fare il notaio e di inviarmi lettere che somigliano
a comunicazioni burocratiche, io smetto di scriverti». Gli
replicavo che facevo quel che potevo, e che non ero capace di concepire
lettere come le sue. Immagino che leggendo la mia giustificazione
lui avrà sorriso e perdonato. Di fatto non metteva
in atto la minaccia, poiché per lui scrivere
rappresentava un bisogno personale, oltre che unattenzione
dovuta allamico.
Purtroppo ho conservato pochissime delle sue lettere, poiché
ho sempre avuto labitudine di cestinare normalmente la corrispondenza
dopo averla evasa. Me ne rammarico molto, poiché oggi linsieme
delle sue lettere cronologicamente ordinate e magari cucite
tra di loro con i necessari raccordi di informazioni potrebbe
costituire un interessante epistolario, degno di essere pubblicato
almeno quanto questi ricordi dellallievo Clarì.
Dicevo sopra della difficoltà forse dello scarso interesse
di raccontare gli episodi attraverso i quali manifestava
la sua attenzione per gli amici. Ma uno lo voglio raccontare, perché
si tratta dun episodio tanto piccolo e modesto in sé
quanto significativo.
Un giorno della fine dell82, parlando di cinema, ricordammo
un vecchio film: Le quai des brumes. Gli dissi che mi
era piaciuto il manifesto di presentazione del film, tanto che lavevo
acquistato. Purtroppo aggiunsi in uno dei miei traslochi
è andato smarrito. Fu appena un accenno, anche per loggettiva
scarsa importanza della cosa; e la conversazione continuò
divagando su altri temi. Ernesto andò a passare le vacanze
di Natale a Parigi: al ritorno mi portò in regalo il manifesto
di Le quai des brumes. Poiché si trattava dun
vecchio film, uscito dai circuiti commerciali da parecchi anni,
lascio immaginare quanto avrà dovuto faticare per trovare
un reperto che dopo tutto non minteressava più
di tanto, anche se nel corso duna conversazione gli avevo
espresso en passant il disappunto per averlo smarrito.
Certo, un paio di volte nella vita abbiamo anche litigato, perché
quando sincazzava poteva inutilmente e impropriamente
eccedere. Ma i tempi di sbollimento della sua incazzatura
erano così repentini da suscitare persino sconcerto e da
disarmare completamente la persona con la quale lalterco era
nato (altra cosa, ovviamente, quando decideva che qualcuno non meritava
la sua stima o il suo affetto: in questo caso semplicemente lo cancellava).
Ernesto e la poesia
Era un poeta autentico, con una vena naturale inesauribile. Un poeta,
per intenderci, alla Paul Fort o alla Jacques Prévert. E
forse, se avesse scritto in francese e in Francia Paese più
sensibile ad una poesia facile, da chansonnier sarebbe stato
altrettanto noto di Fort o Prévert.
La sua prima raccolta è del 73, e lho già
ricordata: Sistole & Diastole. Aveva messo assieme negli anni
tante poesie da giustificare un libro: ma gli costava molto cercarsi
un editore. Intanto per orgoglio: non riusciva ad accettare di sottoporsi
al giudizio, pur necessario, di un editore o dei suoi consulenti,
che magari gli avrebbero richiesto tagli o modifiche. Ma forse cera
anche della pigrizia, poiché lho sperimentato
è proprio faticoso e noioso trovarsi un editore.
Pubblicò così a sue spese per le Edizioni Siddharta
(da lui inventate, e la scelta del nome non è
casuale) il frutto della sua fantasia poetica, da regalare agli
amici, ai suoi estimatori, ai conoscenti di riguardo. Venne fuori
un libretto in carta riso, rilegato in modo elegante e originale,
contenente circa centoventi poesie. La pagina successiva alla prima
(quella col titolo Sistole & Diastole) così recitava:
Edizione straordinaria per gli amici di Francesco Marra.
Non so perché abbia usato lo pseudonimo di Francesco Marra;
purtroppo non ebbi mai la curiosità di chiederglielo, neanche
quando uscirà la seconda raccolta con lo stesso pseudonimo.
Ma è evidente lintento di scegliere come nome
darte un cognome inconfondibilmente napoletano.
Quando ebbi il libro e lo lessi, gli scrissi che mi era piaciuto
molto e mi aveva emozionato; gli chiesi inoltre perché non
aveva cercato un editore italiano in grado di assicurare un minimo
di distribuzione nelle librerie. Ai due motivi cui ho fatto cenno
lorgoglio e la pigrizia ne aggiunse un terzo:
se le poesie valgono qualcosa, prima o dopo qualcuno, magari tra
un secolo, finirà con lo scoprirle, in caso contrario, se
valgono poco, è giusto che restino solo nelle mani degli
amici come ricordo di Ernesto.
Decisi, dopo questa risposta, di tentare io stesso di dar notorietà
a Sistole & Diastole. In quegli anni allincirca
la metà degli anni 70 cera in Italia un
premio letterario del quale era gran patron il filosofo Armando
Plebe, in quel momento maitre à penser ed esponente
culturale di spicco del Movimento Sociale Italiano. Si trattava
forse dellunico premio gestito dalla Destra in Italia. Il
libro di Ernesto mi parve degno di essere sottoposto alla giuria.
Facevo affidamento innanzitutto, comè ovvio, sulla
qualità complessiva dellopera. Ma contavo anche sulleffetto
che avrebbe potuto fare una poesia (Lontano a Oriente,
dedicata a Piero Buscaroli) nella quale Ernesto rivendicava di essere
fascista. Eccone il testo:
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Perché non torni in Italia?
Perché no.
Perché no?
Perché sono un fascista.
Ma cosè un fascista?
Un fascista
è figlio del Sole
fatto di sangue e di sogno.
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I giurati nostalgici andranno in sollucchero
mi dissi quando la leggeranno. Misi a parte della mia idea
la madre di Ernesto, e decidemmo dimpegnarci per far premiare
il libro, tanto più che ella avrebbe forse potuto mettere
in campo sue relazioni personali, in particolare attraverso lAssociazione
famiglie caduti in guerra. A distanza di un ventennio, non ricordo
esattamente cosa sia successo: mi pare che il premio non venisse
assegnato perché Plebe non nuovo a repentini cambi
di fronte ancora una volta aveva cambiato i suoi riferimenti
politici e ideologici. Fatto sta che il tentativo non andò
in porto.
Una dozzina danni dopo, uscirà una nuova raccolta
A Sud di Palermo che sispira alle sue esperienze di
vita in Sicilia (lavorò nellisola, anche con importanti
incarichi di direzione alberghiera, per alcuni anni). Di nuovo usò
lo pseudonimo di Francesco Marra, di nuovo a sue spese, di nuovo
per un editore inventato: Edizione Karma System (e anche
qui la scelta del nome non è casuale).
A mio parere ma è solo unopinione personale,
e io non sono un esperto questa seconda raccolta vale meno
della prima. Intanto il testo delle poesie è in media più
breve, e poi, globalmente, mi sembrano meno ispirate e sofferte.
Mi pare di avvertirvi il mestiere di chi ha imparato a manipolare
le parole per costruire con esse dei versi, magari con lausilio
di un rimario. E tuttavia si tratta di un buon lavoro, colto e raffinato.
Infine, dallesperienza in Tibet la penultima della
sua vita professionale trasse un bel poema. Lo intitolò
La Cugina del Lupo e lo presentò come Poemi del VI Dalai
Lama tradotti da Francesco Marra. Questa volta decise di non affrontare
le spese tipografiche per pubblicare a stampa, e quindi di non inventarsi
un editore. Utilizzò un buon personal computer e rilegò
le pagine del testo in modo particolarmente elegante: le copertine
costituite da tavolette, graziosamente ornate, e il tutto tenuto
assieme, anziché dalla tradizionale rilegatura, da un foulard
orientale di seta cruda. Lintento di regalare il poema agli
amici come regalo di Natale 92 è esplicitamente confessato
a pagina 1.
Queste sono le tre opere poetiche in qualche modo edite. Personalmente
possiedo poi una raccolta manoscritta Quel Giardino in Sicilia
dedicata a mia moglie e a me, della quale ho già fatto
cenno: un dono che ci fece in seguito ad una lunga permanenza, ospite
a casa nostra, in Sicilia. E una seconda breve raccolta a
me dedicata che mi regalò per le feste di fine anno
82/83. Di queste due raccolte manoscritte forse ho copia
solo io, e mi piacerebbe avere lopportunità di farle
pubblicare, perché ritengo ne valga la pena.
Non posso escludere che altri suoi amici sparsi ai quattro
angoli della terra abbiano ricevuto simili omaggi: è
anzi verosimile, e sarebbe auspicabile poterli mettere assieme e
conoscerli tutti.
Esistono infine decine di poesie sparse che lui mi inviava (devo
supporre non solo a me, ma anche ad altri amici) scrivendole su
supporti improvvisati: il retro di una cartolina illustrata, un
foglio da lettera dalbergo, talora addirittura un pezzo di
carta da imballaggio nel quale era stato avvolto un oggetto. Per
quanto riguarda quelle in mio possesso quelle che non ho
smarrito sono ben custodite, per il piacere di conservarle
e perché sarei lieto di renderle note.
In prosa ha scritto poco; nel corso dei decenni mi ha fatto leggere
qualche breve racconto; ma niente dimportante. Salvo questultima
opera, che esce postuma per i tipi della nostra Fondazione.
Ma Il Chepì dellallievo Clarì, anche se scritto
in prosa, a me pare unopera poetica, poiché i ricordi
dellex allievo son filtrati dalla fantasia e dallimmaginazione
sino a perdere i connotati del ricordo autobiografico e ancora di
più quelli dun saggio sugli anni della Nunziatella.
Ma chi era Ernesto?
Nella prima poesia del già citato Sistole & Diastole
a mo dintroduzione alla raccolta lui così
si descrive:
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Francesco Marra
sempre senza una lira
sempre innamorato
colla capo piena di vento
sempre stonato.
Quando morirà seppellitelo
con Il libro dei sogni
e la coppola in capo.
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Non cè dubbio che si sia lucidamente autodefinito:
aveva sempre la capo piena di vento, ed era sempre senza
soldi. Vero, verissimo.
E tuttavia io invece lo ricorderei cosi:
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...
né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me lardore
ch i ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per lalto mare aperto
...
infin che l mar fu sovra noi richiuso.
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Vale, Ernesto.
(Da Il Chepì dellallievo Clarì, edizione di
mille esemplari promossa dagli ex allievi della Scuola Militare
Nunziatella di Napoli, 1996).
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