Un complesso
di ventidue Paesi
collegati nella
futura Università mediterranea che
a Lecce, già con una Libera Università, avrebbe trovato
il terreno ideale
per svilupparsi.
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1) Il primo incontro
Con la intitolazione della sala conferenze della Biblioteca Provinciale
di Lecce Nicola Bernardini a Teodoro Pellegrino, il
6 ottobre 1995, lAmministrazione Provinciale e Lecce stessa
hanno, in un certo senso, nel decennale della morte, saldato un
debito di riconoscenza allideatore delle Celebrazioni
Salentine, istituite nel 1952, che furono la premessa della
fondazione della Libera Università Salentina, con listituzione
della Facoltà di Magistero, nel novembre 1955.
Scomparso il 10 aprile 1985, Teodoro Pellegrino, nato a Brindisi
nel 1908, fu direttore della Biblioteca Provinciale, fondata nel
1863, dal 1935 al 1973.
Sino alla nascita della Biblioteca Universi-taria, nel 1956, la
Bernardini di fatto fu il centro culturale e bibliografico
più importante della provincia, legato alla correntezza delle
edizioni librarie, pur con le immancabili deficienze, molto più
delle altre Biblioteche pubbliche locali: la vescovile, ovvero la
Innocenziana, intitolata appunto a Innocenzo XII papa,
vescovo di Lecce fino al 1673, nata presumibilmente nel 1709 con
linaugurazione del Seminario*, e la Roberto Caracciolo
allestita dai Frati Minori di S. Antonio a Fulgenzio nel 1960, ufficialmente
funzionante nellottobre 1965.
Io intendo ricordare T. Pellegrino, non tanto come direttore della
Biblioteca Provinciale; meglio di me lo ha profilato Donato Valli
che fu dipendente della Biblioteca per qualche anno, prima di passare
allUniversità, come ordinario di Storia della Letteratura
moderna e contemporanea e Rettore dal 1983 al 1992. Valli lo ha
conosciuto profondamente nella sua puntigliosa operatività,
nei suoi furori momentanei, nella sua irruenza passionale, che diventava
furia quando non riusciva a realizzare pienamente un progetto che
aveva disegnato.
Io lo ricordo nella sua attività progettuale, al di fuori
della sua funzione direttoriale, anche se in quella veste io venni
a contatto con lui, quando quotidianamente frequentavo la bella
e silenziosa sala di consultazione, impegnato nella tesi di laurea
su La Rassegna Pugliese, la prima rivista culturale
pugliese, uscita a Trani dal 1884 al 1913 ininterrottamente, fondata
dal primo editore pugliese, Valdemaro Vecchi (1840-1906), che anticipò
la grande editoria di Giovanni Laterza.
Non posso non ricordare, con affettuoso rimpianto, Mario Sansone
che mi assegnò quel lavoro di ricerca sulla letteratura pugliese
e meridionale che da allora, poi sostanziata dalla lezione di Carlo
Dionisotti che ha posto in evidenza i due dati che determinano la
letteratura: la geografia e la storia, ha orientato i miei studi.
Mario Sansone, anchegli assertore del diritto delle letterature
emarginate dalla geografia alla attenzione critica, mi convinse
alla analisi della Rassegna Pugliese, anche perché
su di essa aveva esordito, diciannovenne, con lo pseudonimo di Gustave
Colline, il suo maestro ideale, Benedetto Croce.
Un tardivo risarcimento del furto culturale del fascismo negli anni
di liceo, io avevo trovato nella Storia dItalia di B. Croce,
da me letta durante le vacanze 1943, lanno in cui il fascismo
cadde; allora elessi Croce a mio maestro spirituale, tanto mi affascinò
con la sua prosa e mi sedusse con le idee, disseminate nella sua
opera. Egli mi portò a preferire razionalmente, in quegli
anni di scelte, il liberalismo al marxismo che si preparava a conquistare
gran parte della intellettualità italiana.
Per molti mesi tra il 1946 e il 1947, fino alla laurea che conseguii
il 10 luglio 1947, io entravo nella grande sala di lettura quasi
ogni giorno, trovando Vittorio Scrimieri, il distributore col quale
diventammo amici; pronto mi dava il grosso volume, dei ventinove
che raccoglievano le annate de La Rassegna Pugliese,
su cui lavoravo.
Cera un religioso silenzio nellenorme sala di lettura,
che faceva distinguere lo scalpiccio discreto di chi cercava i volumi
e lo sfoglio delle pagine di libro o di rivista di qualche frequentatore.
Io occupavo abitualmente un posto del tavolo sulla destra dellingresso,
il terzo dei quattro che erano disposti frontalmente. Allaltro
lato dello stesso tavolo, era quasi sempre presente un giovane biondo,
immerso nella lettura di libri, che poi seppi essere di poesia;
poi lo conobbi, era Pino Orio Casarano, figlio del poeta dialettale
Lorenzo. Il giovane si suicidò e su di lui lessi, anni dopo,
le bellissime liriche che Vittorio Pagano gli dedicò, nella
sezione Epilogo a Orio, nella seconda raccolta de I privilegi del
povero.
Questo ricordo triste di quella frequentazione della Bernardini
mi è venuto a mente perché, nel giorno in cui mi avvicinai
a Pino per chiedergli quale libro stesse leggendo (era Ed è
subito sera di Quasimodo), Vittorio Scrimieri mi si avvicinò
per dirmi: «Il direttore ti vuole conoscere». Rimasi
meravigliato della richiesta e mi chiesi se avessi commesso qualche
irregolarità nel mio comportamento.
Pellegrino era una presenza inquietante nei frequentatori; senza
vederlo, incombeva quasi terroristicamente su chi entrava in biblioteca;
ognuno viveva le ore di presenza in quella specie di tempio librario...
al silenziatore!
Seguii Scrimieri nel retrosala doverano sistemati altri scaffali
di libri e i cumuli dei quotidiani, dei periodici; non li guardai
con attenzione e con interesse, come non badai al mitico cav. Bonavoglia
bibliotecario capo, sempre chiedendomi che cosa mai volesse da me
il direttore, o cosa mai avessi potuto combinare, per chiedere di
me, a lui sconosciuto.
Fui introdotto nel suo studiolo. Non era un ambiente dirigenziale;
il tavolo non era immenso, anzi di dimensioni ridotte, con un disordine
babelico, con cataste di libri, scartafacci in visione, un giornale
aperto sui due fogli; lui, che stava battendo a macchina da scrivere
di sghimbescio rispetto al tavolo; si girò verso di me e
mi aggredì (termine esatto per il tono perentorio, come se
fosse quello di un investigatore poliziesco, senza tono interrogativo)
dicendo: «Stai facendo una tesi su La Rassegna Pugliese».
Io ero in piedi e vidi due occhi puntati, sotto due folte sopracciglia
e sopra un paio di baffi altrettanto folti che davano unaura
un po sinistra alle guance ben rasate, con una patina quasi
marmorea. Mi parve davvero un topo di biblioteca: carte e libri
da ogni parte, perfino sulla testa, sulle spalle. Seppi solo rispondergli:
«sì», irritato perché mi aveva dato del
tu senza che fossi figlio di un suo conoscente, o forse
perché ero, pensavo io risentito, uno studente qualsiasi,
un orfano senza progenie. Poi quando si alzò, mi strinse
la mano e mi fece sedere; lo guardai con minore antipatia, perché
vidi nei suoi occhi uno sguardo quasi cordiale.
Così conobbi, personalmente, Teodoro Pellegrino. Il nostro
rapporto si venne facendo di conoscenza culturale prima, come autore
di studi sulla cultura locale, a cominciare dallo studio Nel primo
centenario della morte di Michele Arditi (La Modernissima, Lecce,
1939, pp. 20), a quelli che seguirono; poi, per il suo impegno di
orientare la cultura salentina a uscire dallautoappagamento,
a prendere coscienza della sua tradizione non inferiore a quella
barese che aveva avuto, nel 1925, la sanzione dellUniversità
intitolata a Benito Mussolini, per attestato di gratitudine, e di
adulazione, perché anche il Salento avesse la sua Università.
2) Le Celebrazioni Salentine e il Premio salento:
progetto e realizzazione
Teodoro Pellegrino, mutati i tempi, vide una strada più
lunga per la messa in mostra della cultura salentina, al fine di
raggiungere il traguardo dellUniversità a Lecce e per
operare in modo da compiere il cosiddetto salto di qualità.
Per uscire dalla provincia, trovò la sponda metropolitana
nel modo più provinciale, cioè con la
istituzione di un premio letterario.
Preparò dunque un programma di manifestazioni che sottopose
allattenzione del presidente della Provincia, lavv.
Luigi Martino Caroli, e dellallora assessore alla P.I., avv.
Vittorio Aymone. Esso mirava allistituzione dellUniversità;
una proposta non sorta allimprovviso, ma vecchia, lo dimostra
Ornella Confessore nella sua storia LUniversità di
Lecce dalle cattedre del 700 allo Studium 2000 (Congedo, Galatina,
1990 e 1997), sia in età preunitaria che postunitaria.
Bisognava scuotere prima linerzia provinciale, quindi lostilità
pregiudiziale verso il Mezzogiorno in generale e il Salento in particolare,
attraverso una manifestazione culturale non episodica, ma martellante,
organica e coinvolgente.
Le Celebrazioni Salentine, nel corso di un mese dedicate
ad esse, avrebbero richiamato illustri studiosi e specialisti italiani
a percorrere, dalla preistoria alla contemporaneità, la cultura
salentina e, a conclusione, il Premio Salento da tenersi
annualmente, in quattro sezioni: narrativa, poesia, giornalismo
e saggistica.
T. Pellegrino fece tesoro dellesperienza e degli errori commessi
da Corrado Indraccolo. Questi, poggiando sulla sua introduzione
negli ambienti culturali romani per aver avuto la fortuna di dirigere
Domenica, un settimanale di una certa diffusione e notorietà
a Roma, inventò nel 1948 un Premio Salento.
Nel ministro di Grazia e Giustizia, Giuseppe Grassi, ebbe il politico
che potesse dare credito nazionale ad una iniziativa letteraria
alla quale, in verità, il giurista Grassi era estraneo; e
poggiando sul patrocinio del Circolo Cittadino di Lecce.
Lerrore fu proprio questo: il Circolo, che non aveva eccelsa
considerazione nei leccesi, non aveva disponibilità finanziarie
per sostenere un premio letterario.
Per notizia, quel Premio venne assegnato il 2 agosto
1948, allHotel Palazzo di Santa Cesarea, ex aequo, per duecentomila
lire, a Cesare Pavese per il romanzo Il compagno, e a Gino De Sanctis
per Viaggio di ritorno; non fu più riproposto.
Doveva essere lAmministrazione Provinciale a farsene carico
in bilancio; linsistenza di Pellegrino trovò accoglienza
particolarmente nel presidente avv. Caroli. Questi, si convinse
della fattibilità del programma ed elaborò il modo
di aggirare la ostilità romana in sede ministeriale per la
creazione di nuove Università e la dichiarata avversione
degli ambienti politico-universitari baresi. Decise di attuare il
disegno di T. Pellegrino e lo nominò, opportunamente, direttore
generale delle Celebrazioni.
Il primo ciclo si aprì il 1° ottobre 1952; linaugurazione
fu tenuta dallon. prof. Giuseppe Codacci Pisanelli il quale
dichiarò tra laltro «Tra gli scopi
delle Celebrazioni Salentine vi è, dunque, anche un sogno,
quello dellUniversità salentina». La chiusura
fu tenuta dalla scrittrice Maria Bellonci che il 31 ottobre 1952
annunciò il bando del Premio Salento 1953.
Il secondo ciclo delle Celebrazioni si aprì il
4 ottobre 1953 e si concluse il 31 ottobre con un discorso del senatore
Michele De Pietro e con il conferimento del Premio Salento
di un milione per la narrativa, vinto da Carlo Bernari con Vesuvio
e pane, e un premio straordinario di duecentomila lire assegnato
a Livia De Stefani per La vigna di uva nera. Il premio artistico
Lecce di 500 mila lire fu assegnato a Maurizio Calvesi
e Mario Manieri Elia, per il volume Il Barocco in Terra dOtranto,
mentre non venne assegnato il premio giornalistico, né quello
foto-giornalistico.
Unappendice alle Celebrazioni fu la chiusura della
mostra storico-bibliografica, il 23 novembre 1954, alla presenza
del sottosegretario Quarello, che era stata aperta il 24 ottobre.
Le Celebrazioni Salentine non continuarono lanno
seguente; si lavorava con grande impegno, sia della giunta provinciale
che di Teodoro Pellegrino, per trovare il modo di superare la opposizione
ad istituire una nuova Università da parte dello Stato.
Non mancavano gli avvocati nella giunta, lo erano sia Caroli, presidente,
che Aymone, assessore alla P.I.; essi, rifacendosi allart.
33 della Costituzione che sanciva, al terzo comma, che Enti
e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione,
senza oneri per lo Stato, studiarono con lo staff dellAmministrazione
il modo in cui si potesse creare una Università libera, senza
oneri per lo Stato.
Nellestate 1955, fu costituito tra Provincia, alcuni Comuni
della provincia ed Enti economici salentini, in primo luogo la Camera
di Commercio, un Consorzio Provinciale Universitario Salentino (riconosciuto
con decreto prefettizio del 9.9.1955), che avrebbe provveduto, con
il versamento di dieci lire per ogni abitante, al finanziamento
dellUniversità Libera, per il suo funzionamento amministrativo
e didattico.
Uffici ed aule furono allogati nelledificio della ex Gioventù
Italiana del Littorio in piazzetta Arco di Trionfo, che lAmministrazione
Provinciale trasferì in proprietà allUniversità
nascente.
La deliberazione, assunta allunanimità dal Consiglio
provinciale, stabilì anche di dare inizio allanno accademico
1955-56, per la sola Facoltà di Magistero, con i quattro
corsi della struttura statale: Materie Letterarie, Pedagogia, Lingue
e Letterature Moderne, Vigilanza Scolastica.
Si deliberò inoltre il primo Comitato Tecnico che aveva funzione
di sostituire il Consiglio di Facoltà, nelle persone dei
proff. Giovanni Calò, Giuseppe Codacci Pisanelli e Pier Fausto
Palumbo.
Questo Comitato fissò per il 12 novembre 1955 lo svolgimento,
così come avveniva negli altri Magisteri statali italiani,
della prova di ammissione, per 200 iscritti; si fissarono gli insegnamenti
e si nominarono i professori, tutti in possesso del titolo di libera
docenza.
Per informazioni, ricavo i dati dalla Relazione al Consiglio Direttivo
e allAssemblea del Consorzio Universitario Salentino (CUS)
sul primo anno della Facoltà di Magistero, stesa dal prof.
P. F. Palumbo, da cui risulta che sui 200 posti di iscrizione, 172
furono gli ammessi ai corsi delle 198 domande, mentre 5 chiesero
la iscrizione per trasferimento avendo superato la prova in altre
sedi.
Il 25 novembre 1955 venne inaugurato lAnno Accademico, con
un discorso del prof. Giovanni Calò, ordinario di Pedagogia
allUniversità di Firenze; le lezioni ebbero regolare
inizio, dopo il termine massimo di iscrizione fissato al 31 dicembre,
nel gennaio 1956.
Ancora per informazione, il Consiglio dei docenti, costituito dai
proff. Aldo Vallone (Lett. Italiana), Vincenzo Ussani (Lett. Latina),
Salvatore Fr. Romano (St. Filosofia e Lett. Tedesca), Gino Corallo
(Pedagogia), Ernesto Massi (Geografia), Oronzo Parlangeli (Filol.
Romanza e Lett. Inglese), Giuseppe Codacci Pisanelli (Ist. Dir.
Pubbl. e Legisl. Scolastica), Antonio Sauro (Lett. Francese), Vittorio
Bodini (Lett. Spagnola), P.F. Palumbo (Storia e Storia della Musica),
nominò il 19 febbraio 1956 preside della Facoltà il
prof. Pier Fausto Palumbo, ternato nel concorso di Storia Medievale
allUniversità di Palermo.
Queste notizie che paiono estranee al ricordo che qui si traccia
di Teodoro Pellegrino sono strettamente connesse con lopera
di assoluta dedizione che egli svolse per la creazione dellUniversità.
Non faccio che un superficiale accenno alla spietata campagna giornalistica
contro la Libera Università; né insisto sulle intimidazioni
nei confronti degli studenti ai quali si sciorinava la minaccia
di invalidità degli studi. Solo il 22 ottobre 1959, per decreto
del Presidente della Repubblica, n. 1408, venne riconosciuta la
Libera Università e la validità degli studi nelle
sue Facoltà.
La statizzazione venne nel momento in cui la Facoltà di Scienze
aveva dato inizio, nellA.A. 1966-67, alla sua esistenza e
aprì una nuova era, più matura e combattuta, dellateneo
leccese.
3) I resoconti delle Celebrazioni negli Atti
in tre volumi
LUniversità leccese deve essere un esempio della efficacia
dellattivismo istituzionale dellAmministrazione Provinciale
guidata da Luigi Martino Caroli e composta dagli assessori: Vittorio
Aymone (liberale), Carlo Cazzella, Francesco Ferrari, Benedetto
Leuzzi, Girolamo Vergine (democristiani), Mario Frascaro (indipendente)
e i due supplenti: Antonio Erriquez e Gino Serafini (anchessi
dc), per i risultati che seppe conseguire.
Ma ai salentini tutti va riconosciuto di aver raccolto da questi
politici lo stimolo, senza che ne avessero coscienza allora, e forse
anche oggi, per una decisione politica estranea alla secolare passività
feudale del potere che fu espressione di autonomia, come se nella
nostra tradizione ci fosse stata la rustica virtù
cantata dal Carducci, non per difendersi da unni o slavi invasori,
ma per decidere, essi, in luogo dello Stato ostile. Decisero, attraverso
i consigli comunali, la costituzione di un libero consorzio di Comuni
che sostenesse, con dieci lire pro-capite per ogni salentino, la
fondazione e lesistenza di una Libera Università. Fu
un atto di ribellione, forse, alla sordità statale ed alle
gelosie baresi, ma fu una dimostrazione di eccezionale autonomia
e, attraverso Teodoro Pellegrino che sollecitava la deliberazione
politica, la volontà di fare emergere una cultura poco frequentata
dagli stessi salentini.
Molti salentini, sin dallantichità, da Ennio rudino
a Pacuvio brindisino, a Leonida tarantino, e poi a Scipione Ammirato
etc. etc, dettero inizio allemigrazione intellettuale seguita,
nei secoli più recenti, da quella dei lavoratori, oltremare
a fine Ottocento e, nel secondo dopoguerra, in Europa e nel Nord
Italia.
Nel tempo più recente, i più noti come Michele Saponaro,
Raffaele Spongano, Guglielmo Nocera, Vincenzo Ciardo, Aldo Calò,
Oreste Macrì, Aldo Vallone, Mario Marti, Vittorio Bodini
ebbero bisogno di una più vasta platea di confronto e di
riconoscimenti.
Fu questo il senso delle Celebrazioni Salentine che
T. Pellegrino disegnò nel suo antro di direttore della Biblioteca
Provinciale. Giocò dazzardo, con visione anticipatrice
rispetto ai tempi ed alla mentalità locale, e vinse.
Nel 1954, da lui curati, uscirono i volumi intitolati Le Celebrazioni
Salentine, I ciclo (ottobre 1952), Edizione dell Albero
(pp. 232); due volumi per il II ciclo (ottobre 1953), stessa edizione
(pp. 222 e pp. 220).
E necessario che dia ragione al programmatore Pellegrino
dei contenuti scelti, tralasciando di trattenermi sui temi trattati
e sottolineando che nellanno stesso in cui presso leditore
Guanda usciva a cura di P. P. Pasolini e M. DellArco la prima
antologia della Poesia dialettale del Novecento, nelle Celebrazioni
del I ciclo (1952) vennero portati a livello dei poeti in lingua
i canti dialettali. Unappassionata conferenza di Vittorio
Pagano, lui stesso poeta in lingua, non si limitò a riferimenti
di poeti dialettali-colti, ma si soffermò sulla poesia popolare
spontanea in dialetto.
Sabino Iusco illustrò la personalità del pittore settecentesco
leccese, Oronzo Tiso; Giovanni Calò profilò il filosofo
galatinese, emigrato a Bologna dove divenne amico di Carducci, Pietro
Siciliani; Giuseppe Saitta parlò dellumanista Antonio
Galateo; Ernesto Pontieri ricordò lo storico leccese, dellUniversità
di Napoli, Michelangelo Schipa; Carmelo Colamonico rievocò,
con amicale emozione, lo scienziato di Lizzanello Cosimo De Giorgi;
il sen. Michele De Pietro sorprendentemente parlò, lui avvocato,
del critico-traduttore Luigi Paladini; del Risorgimento in Terra
dOtranto, parlò infine lo storico P.
F. Palumbo.
Il primo volume si chiude con un breve resoconto sullintervento
della scrittrice Maria Bellonci su Incanti del personaggio e con
la lettura del bando del primo Premio Salento dellanno
prossimo, il 1953.
Dei due volumi del II ciclo delle Celebra-zioni (4 ott.-23
nov. 1953), il primo raccolse la prolusione, Crisi e funzione della
cultura meridionale, del prof. Mario Sansone. Egli forse peccò
di campanilismo dando un primato alla cultura meridionale e napoletana,
nonostante gli elementi di crisi dovuti particolarmente al ritardo
economico che esclude il Mezzogiorno dallo sviluppo europeo che
toccò Milano ma arrivò, a stento, a Roma; tuttavia
indicò la funzione di rinnovamento culturale che Lecce voleva
avere, rivendicando con le Celebrazioni il terzo centro
universitario del Mezzogiorno peninsulare, dopo Napoli e Bari.
Il riconoscimento veniva da un professore dellUniversità
di Bari, non geloso di perdere lesclusiva nella Regione. Ancora
oggi, quel discorso è valido per lattualità
dellanalisi culturale, fatta quasi cinquanta anni fa.
Il volume raccolse anche la rievocazione fatta dal ministro della
Riforma Burocratica, Salvatore Scoca, delleconomista Antonio
de Viti de Marco, mentre dei grandi latini locali parlarono: il
prof. Antonio Traglia del rudino Quinto Ennio, e il prof. Enrico
Ugo Paoli del brindisino Marco Pacuvio, figlio di una sorella di
Q. Ennio; la rievocazione dei Martiri dOtranto spettò
alla magnifica eloquenza dellavv. Francesco Carnelutti; padre
Serafino Bastanzio o.f.m. celebrò il francescano leccese
Roberto Caracciolo, il San Paolo del 500; il M°
Pastore tenne un discorso sui musicisti salentini meno noti rispetto
ai celebrati Leo, Cafaro e Paisiello.
Cè inoltre litinerario della mostra storico-bibliografica
del Pensiero Salentino nei saloni e corridoi di palazzo Carafa,
ordinata dallo stesso Teodoro Pellegrino e la sintesi, ad opera
del curatore, del dibattito La donna giudice, affrontato
dal Centro di Studi Giuridici.
Il secondo volume del II ciclo è incentrato su materia libraria
e sulla comunicazione, con unapertura sullindustria
tipografica del Salento dovuta al soprintendente bibliografico di
Puglia e Lucania, prof. Beniamino DAmato; la sintesi del Convegno
giornalistico e letterario, con interventi del presidente Caroli
e di Goffredo Bellonci, Roberto Contini, Giacomo Debenedetti, Mario
Sansone, Bonaventura Tecchi, Angelo Sodo, Michele Prisco. Un Convegno,
questo, con trattazione di argomenti ancora oggi di particolare
interesse, specie quelli di Debenedetti e Prisco.
Cè poi la serie delle discussioni e delle premiazioni
delle varie sezioni del Premio Salento: letterario, giornalistico,
barocco; infine, la chiusura delle manifestazioni fatta dal sen.
Michele De Pietro.
Queste Celebrazioni, negli atti curati dallideatore
delle stesse, storicizzano un evento di grande valore nella evoluzione
culturale del Salento anche perché esse furono programmate
in manifestazioni diffuse nellarco di tempo di circa un mese
e in sedi diverse (Lecce, Brindisi, Otranto). Esse gettarono il
seme di una nuova aggregazione unitaria e portarono il Consorzio
Provinciale Universitario (1959) con le province di Brindisi e Taranto,
al Consorzio Interprovinciale Universitario (1959). Questo provvide,
sino alla statizzazione (1967), a sostenere finanziariamente lUniversità
ed ancora oggi, esistente, istituisce borse di studio e sostegni
vari agli studenti.
4) LAccademia di Belle Arti e gli studi su Lecce
Uno dei pochi sopravvissuti tra coloro che contarono in quelle
lontane vicende, lavv. Vittorio Aymone, allora assessore alla
P.I., perciò direttamente interessato alle Celebrazioni,
al Premio Salento e allUniversità, testimone
diretto di quanto avvenne, è stato da me interrogato. Rammenta
e dà merito, per lasfissiante pressione cui sottoponeva
i politici che dovevano deliberare, a Teodoro Pellegrino. Mi ha
detto testualmente: «Tutto il Consiglio Provinciale ha sempre
deliberato allunanimità a favore di ogni iniziativa
tesa a raggiungere il traguardo dellUniversità. Con
spasmodica tenacia venivano proposte a noi politici da Teodoro Pellegrino
che era un alto funzionario dellAmministrazione, ma non aveva
alcuna funzione politica. Egli agiva sul piano delle personali amicizie
che aveva con la maggior parte di noi assessori e consiglieri. Onestamente
devo dire che senza la generosa petulanza di Teodoro Pellegrino,
forse staremmo ancora ad attendere lUniversità».
Fu forse questa la ragione per la quale il figlio Piero, ordinario
di Diritto Canonico in questa Università, ebbe a dolersi
di non avere visto riconosciuti, più che i meriti, gli sforzi
compiuti dal padre, nella prima edizione della storia dellUniversità
stesa da Ornella Confessore nel 1990. Non va addebitata alcuna trascuratezza
alla storica; dipendeva dal modo di fare politica in quegli anni
a ridosso del fascismo caduto e della riguadagnata democrazia. In
quei tempi i problemi da affrontare erano tanti e i nuovi politici
erano inesperti di formalità burocratiche, curavano poco
la forma, senza le involuzioni ritardatrici della propaganda che
con gli anni appresero; affrontavano i problemi, cercando la loro
concreta soluzione.
Ornella Confessore non aveva trovato documenti scritti e proposte
protocollate che indicassero le Celebrazioni, il Premio
Salento, la istituzione stessa dellUniversità.
Allora, forse, bastava la proposta orale sulla quale si discuteva,
senza battage pubblicitario invalso in tempi successivi, per giungere
fattivamente allatto deliberativo, schematico nei dati giuridici
della decisione.
Credo che, allora, bastò a Teodoro la soddisfazione dellobiettivo
raggiunto e rinnovò quella intima e privata del passato,
quando constatò che i 174 iscritti a Magistero nel 1955-56
e i 25 della Facoltà di Lettere e Filosofia nel 1956 erano
diventati nellanno accademico 1966-67, lanno della statizzazione,
rispettivamente 1.836 e 1.585 per complessivi 3.421 iscritti. Nellanno
del passaggio allo Stato (1967) venne istituita la Facoltà
di Scienze naturali, fisiche e matematiche.
Quando lUniversità divenne realtà, T. Pellegrino
non desistette dal vederne lo sviluppo, anche in direzione internazionale.
E documentabile questo suo impegno, con un articolo, pubblicato
il 4 dicembre 1962, su La Gazzetta del Mezzogiorno intitolato:
Per una Università degli studi umanistici mediterranei in
Lecce, nel quale sollecitava liniziativa di costituire, chiamando
a parteciparvi gli Stati mediterranei, elencandoli in numero di
diciassette e aggiungendovi anche quelli non mediterranei, ma collegati
per tradizione culturale, come Crimea, Georgia, Ucraina, Romania
e Bulgaria. Un complesso di ventidue Paesi collegati nella futura
Università mediterranea che a Lecce, già con una Libera
Università, avrebbe trovato il terreno ideale per svilupparsi.
Fra laltro, il sognatore Pellegrino vedeva Lecce
destinata a questo compito, a differenza di Brindisi e di Taranto,
che avevano altre possibilità di sviluppo, perché
«il suo profilo geografico e geologico restistente (scriveva
proprio così, N.d.R.) ad ogni forma di industria meccanica».
Ma aveva cercato anche altri obiettivi da raggiungere, tra cui la
istituzione di una Accademia di Belle Arti, divenuta realtà
nel 1960. Laveva sollecitata con articoli che egli pubblicava
su diverse testate, dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno
cui collaborava non per fare cronaca, ma per scuotere lambiente
culturale provinciale, anche con note polemiche nei confronti di
disattenzioni e quietismi pubblici o per proporre iniziative nuove
come lUniversità mediterranea; e per dare notizia di
realizzazioni conseguite.
Egli laico dichiarato, politicamente schierato sino ad essere segretario
politico del Partito Repubblicano e direttore del periodico La frusta
repubblicana, non provava imbarazzo nel collaborare a pubblicazioni
cattoliche come Lora del Salento, Il popolo
del Salento, Rosso di sera; non sentiva contraddizione
perché mazziniano convinto della parola dordine Dio,
famiglia, popolo; né per qualunquismo, ma per essere
presente nella quotidianità cittadina, al fine di realizzare
quanto si poteva fare in un periodo di forte incidenza politica,
come furono gli anni Cinquanta/Sessanta, qui nel Salento.
Come operatore culturale, trasse forza dallessere direttore
di una istituzione come la Biblioteca Provinciale, per svolgere
unattività che andasse oltre gli schedari e gli scaffali,
per diffondere allesterno della Biblioteca i libri e la cultura.
Realizzò a Lecce, nel 1954, il primo Cineforum
che promosse, nel circuito culturale, la discussione sul filone
filmico neo-realista ed ideologico, seguito alla produzione detta
dei telefoni bianchi e del film propagandistico.
Nel 1956 organizzò una Mostra darte sacra,
nei saloni dellIstituto Argento, dintesa col Vescovo
di Lecce, mons. Minerva, impegnato nel XV Congresso Eucaristico
Nazionale.
Presentò duecentoventi quadri di una novantina di artisti,
che coprivano dieci secoli darte, da Teofilatto a Vincenzo
Ciardo e ad altri pittori viventi, ottenendo opere da Gallerie come
gli Uffizi di Firenze, quella dArte moderna di Roma; dal museo
napoletano di S. Martino, dal museo civico di Bologna, da Bari,
da Galatina e dalle chiese salentine. Curò un catalogo, con
foto del regista Adriano Barbano, edito da Pajano di Galatina. Loccasione
fu data dal Congresso Eucaristico, ma il fine era di promuovere
una Pinacoteca e un Museo dArte Sacra che potesse anche riunire
e preservare dal degrado le pitture delle cripte basiliane defiggendole.
Fondò nel 1957 una rivista mensile, Informa-zioni,
di raccolta e ricerca archivistica e bibliografica con redazione,
per distinguere la sua funzione, non già nella biblioteca,
ma in casa propria, in Via Augusto Imperatore.
Si batté per il risanamento del teatro Paisiello,
per il restauro della Torre di Belloluogo, del ninfeo delle Fate,
del Conservatorio S. Anna.
Fu quello un periodo fecondo delle vita culturale leccese: lUniversità
muoveva i primi passi, ed esisteva una competizione leale e produttiva
tra i due centri pubblici di cultura, operanti in città:
la Biblioteca Provinciale e il Museo Castromediano.
Attesta Donato Valli: «Cera tra la Biblioteca Provinciale
ed il Museo, ancora allogato nelle sale del pianterreno dellodierna
Prefettura, una sorta di malcelata competizione a chi meglio interpretava
il ruolo sociale e culturale dellIstituto e di ciò,
evidentemente, si avvantaggiarono le due strutture dopo la guerra
e il quasi letargo che, nellesaltazione di una malintesa provincialità,
aveva caratterizzato la vita delle due Istituzioni fino agli anni
Trenta» (Voce del Sud, 6/2/93).
Nel 1960 sottolineò, come si è detto, con soddisfazione
la istituzione dellAccademia di Belle Arti e provvide a celebrare
acconciamente, nel 1963, il centenario della Biblioteca Provinciale
intitolata a Nicola Bernardini, che ne fu il primo direttore.
Nel 1965, in analogia con quanto aveva fatto col Cineforum, T. Pellegrino
istituì il Libroforum, riuscendo a procurare,
conformemente ad altri centri culturali ed associazioni politiche,
lintervento di autori, di critici, di commediografi, per rendere
meno separata la nostra città, geograficamente esclusa dai
transiti casuali, per essere sempre meta terminale e prestabilita.
Coi consueti transiti politici, dovuti allimpegno ideologico
e propagandistico dei partiti, si intersecarono anche quelli di
argomento letterario, filosofico e storico del Circolo di Cultura
di Comi e Bodini e delle riviste di allora: LAlbero,
Libera Voce, Il Critone, Il Campo.
Pellegrino, col Libroforum, fece scendere autori che
mai qui sarebbero venuti, come Giancarlo Vigorelli, Marcello Camillucci,
Fortunato Pasqualino, Carlo Alianello, Giuseppe Berto.
Nello stesso anno 1965, organizzò il Bibliobus provinciale
che tentò di rendere il libro un prodotto da introdurre alla
frequentazione anche in centri privi di biblioteche.
Questa attività intensa non lo distolse dalla ricerca rivolta
essenzialmente a tematiche storiche locali. Produsse, dopo il primo
lavoro del 1939 su Michele Arditi, la cura di un inedito diario
di Giovanni Bodini (1875-1947), zio del più noto Vittorio,
poeta di levatura nazionale, intitolato Lecce daltri tempi,
parzialmente pubblicato nel 1958; poi, Alessandro Laporta, suo successore
nella direzione della Biblioteca, ha totalmente pubblicato, nel
1989, per le Edizioni del Grifo.
Nel 1961, in occasione del Centenario dellUnita dItalia,
curò Il Salento nellepopea risorgimentale, volume in
4°, pp. 165, Editrice Salentina, Galatina.
Nel 1970 in edizione collettanea, per lEditrice Salentina,
LAbbazia di S. Maria a Cerrate, pp. 137, poi, come solo autore,
ripubblicato nel 1977, in 50 pagine, dalle edizioni Adda di Bari.
Con lo stesso editore Adda, nel 1972, apparve Piazza Duomo, per
210 pagine, con un corredo di 1.800 illustrazioni; ancora con Adda,
nel 1972 e poi nel 1975, in 275 pagine e 240 illustrazioni, Lantica
città di Lecce - Guida al centro storico, unopera fondamentale
per chi desideri conoscere il centro storico della capitale del
Barocco, nella toponomastica storica, nella origine del monumento
indicato con unanagrafe architettonica che guida
non solo turisticamente il lettore, forestiero o locale, senza sfoggio
di cultura ma con affabile precisione.
La guida di Pellegrino non ha la puntigliosa precisione
della Guida storica e artistica della città di Lecce di don
Guglielmo Paladini (Lecce, Ed. Salentina, 1957) né del testo
di Luigi G. De Simone (1835-1902) Lecce e i suoi monumenti, del
1874, libri superati nel tempo, e più di studio che di uso
pratico; la sua potrebbe essere riedita in quanto più razionale
di tante altre guide, pur pregevoli, in recenti edizioni. Questo
in sintesi mi è parso il Teodoro Pellegrino manager-culturale,
uomo di grandi accensioni per concreti obiettivi da raggiungere,
di caldi entusiasmi per la città che aveva imparato ad amare
dopo aver rilevato le interiori e scoperte qualità culturali
ed estetiche, studiate nei libri e illustrate nei libri delle sue
analisi; che sapeva sostenere nel dibattito corrente sui giornali
circolanti le proprie convinzioni e, non risparmiando la polemica
con quelle ad esse opposte, sempre rifuggendo da pregiudizi e prevenzioni,
aveva guadagnato nella generale considerazione la stima di intellettuale
di provata onestà mentale, che gli valse la medaglia doro
del ministero della P.I.
Sono convinto, però, che il riconoscimento più aperto
e di vasta risonanza nazionale gli sia venuto da Guido Piovene nel
suo Viaggio in Italia (1957). Parlando splendidamente di Lecce,
scrisse della Biblioteca da lui diretta: «La Biblioteca provinciale,
riordinata nel dopoguerra, è tra le migliori del Sud, e da
essa dipende una biblioteca mobile che penetra nel Salento e che
concede libri in prestito. Le varie attività convergono nelle
Celebrazioni salentine annuali: cicli di conferenze, su temi letterari,
musicali, giuridici, storici, psicologici; concerti e rappresentazioni
teatrali. E una vera Università libera, quella rappresentata
dai corsi autunnali, quasi a stabilire il diritto a unUniversità
legale. Il premio letterario del Salento ha già risonanza
tra i nostri premi letterari». (p. 612).
Egli morì il 10 aprile 1985; ma il primo giugno, sul periodico
Rosso di sera, uscì postumo lultimo articolo
che dimostra la sua partecipe presenza nella collettività
cittadina. Parlava delle elezioni amministrative con le quali i
leccesi avrebbero scelto i nuovi amministratori e il nuovo Sindaco.
Nonostante fosse gravemente ammalato, Pellegrino pensava alla sua
città, con le divagazioni storiche solite: dal 1539 Carlo
I rese Lecce capoluogo della Puglia e ricorda i vari palazzi che
occuparono i Sindaci, da quelli Zecca, Guerrieri, fino al 1896 quando
sede fissa fu Palazzo Carafa.
Lultimo articolo postumo, un mese dopo la morte, dopo la parte
storica, quella dattualità era impastata del suo consueto
umorismo che nella conclusione è scoperto: «...a maggio
dovranno eleggere un nuovo Sindaco. A maggio cè la
fioritura delle rose, ma stiano attenti i leccesi; al fianco delle
rose ci sono anche le spine».
Dopo la morte, Teodoro Pellegrino ha voluto che rimanesse, col suo
ricordo, il beffardo sorriso della sua natura autentica.
* Teresa Rapanà, La Biblioteca Innocenziana
del Seminario Arcivesco-vile, in Bollettino Dio-cesano,
A. XL, n. 3, apr.-magg. 1983.
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