Nei nn. 5-6 del
1991 de "Il Leccio" ebbi modo di scrivere sullo stesso argomento,
chiedendomi: "La Sindrome Astenica Cronica (Chronic Fatigue Syndrome
o CFS), con più termini eponimici denominata (malattia di Islanda,
Royal Free Disease, neuroastenia epidemica, ecc.) solo in quest'ultimi
tempi venuta alla ribalta della Medicina Clinica, è una entità
nosologica autonoma o l'epifenomeno dell'azione lesiva di varie noxae,
soprattutto virali, su uno o più organi agenti e quindi ad
una non chiara eziopatogenesi imputabile?".
Per l'ampia eco nel campo sanitario e nell'opinione pubblica suscitata,
per le sempre più frequenti segnalazioni di casi clinici, per
una integrazione e suo aggiornamento riprendo, dopo due anni, il discorso.
A tutt'oggi la sua collocazione nosologica ed interpretazione eziopatogenetica
non sono chiare e pareri discordanti, polemici ed atteggiamenti scettici
si intrecciano, difficoltandone la soluzione. Io non mi sento di condividere,
sic et simpliciter, la tesi assolutistica e non apodittica di Tirelli
che nel suo recente libro asserisce che "la Sindrome da Stanchezza
Cronica o CFS è una vera e' propria malattia" (Tirelli
U. - Sindrome da Stanchezza Cronica - A.S. Macor Editori ~ marzo 1992),
quando incerta e controversa è la sua eziologia e diversi i
co-fattori che possono favorirla o influenzarla. Sul piano storico
è a dirsi che forme patologiche, similari ed in parte od in
tutto alla CFS affini o sovrapponibili, furono descritte come "reumatismo
muscolare" da T. Sydenham (1681), dalla rivista Archives of Internal
Medicine, attinente una manifestazione epidemica di sospetta eziologia
poliomielitica verificatasi a Los Angeles (1936); seguirono gli episodi,
sempre epidemici, della città di Akureyri (Islanda) nel 1948
e quello di Adelaide nel 1951, etichettato come "neuroastenia
epidemica"; quello di Londra (1955) con l'osservazione di 292
casi e che interessò prevalentemente il personale sanitario
e di assistenza del Royal Free Hospital e, infine, quello di 200 casi
di una città del Nevada (1984).
Ha così, negli anni 1985-6, iniziazione la storia recente della
CFS.
A fronte della vasta eco, più che da Convegni medico-scientifici
e da riviste specializzate, dai mezzi di comunicazione di massa provocata
ed enfatizzata, una annotazione predittiva m'è d'obbligo: attenzione
e prudenza richiedono che sotto la spinta dell'entusiasmo non siano
etichettati come malati di CFS casi di l'isteria collettiva",
di simulazione e mitomani.
Emblematico è quanto nel suo libro scrive Tirelli: "Al
31 gennaio 1992 presso il C.R.O. di Aviano sono stati diagnosticati
205 casi di CFS. Nello stesso periodo di tempo si sono presentate
355 persone che sospettavano di essere affette da CFS ma che in realtà
non lo erano. La maggior parte di queste persone erano affette da
depressione e da altre malattie" (ibidem).
Ed Aiuti ha puntualizzato che "su 35 casi, analizzati a Roma,
ventotto si sono rivelati un bluff oppure sono stati determinati da
disturbi nervosi. Gli altri sette hanno risposto ai criteri di individuazione
della sindrome la cui componente neuropsichica è importantissima
(Corriere della Sera, 29 marzo 1992).
E' davvero la CFS una malattia ad uno specifico agente eziologico,
ancora inidentificato, imputabile, o non una sindrome clinica plurieziologica
e multifattoriale?
Una risposta, malgrado estenuanti ricerche microbiologiche, analisi
clinico-statistiche ed epidemiologiche, non è stata ancora
data.
Maggiormente invocata è una eziologia virale, anche se Schiraldi,
riportandosi a personali ricerche ed osservazioni cliniche sulla "varietà
neuropsicoastenica" della brucellosi cronica, ritiene che "tale
sindrome, pur essendo notevolmente più frequente nelle infezioni
virali, è presente anche nelle malattie batteriche..."
(Rec. Progr. in Med., n. 5, 1991).
Secondo una personale ultracinquantennale esperienza di internista
ed infettivologo, la stessa sintomatologia neuromuscolare, simil-influenzale
ed ansioso-depressiva, peculiare della CFS, può con pari credito
essere attribuibile a sindromi meta-infettive plurieziologiche (anche
se preminentemente vitali) e multifattoriali, in soggetti, cioè,
geneticamente e/o immunologicamente predisposti, fisico-mentalmente
stressati.
Attribuendole, secondo le più recenti acquisizioni, una eziologia
virale, la responsabilità maggiore la si fa ricadere sugli
Herpervirus, elettivamente su quello di Epstein-Barr (agente eziologico
della mononucleosi infettiva), su di un altro denominato HHV6 e su
un retrovirus, della famiglia dell'HIV, l'HTLV-2.
Il coinvolgimento del sistema immunitario nella genesi della CFS sarebbe
ancorato, secondo Aiuti, ad una "immunodisregolazione",
che l'aumento nel sangue dei pazienti dell'interferone dei B-linfociti
avvalora.
Se la CFS è correlata alla presenza di elevati titoli antivirali
degli Herpes-virus e di una immunodeficienza acquisita, Moroni postula
la tesi che il virus indurrebbero un primo stato di immunodeficienza
che a sua volta permette la persistenza della moltiplicazione virale,
innescando una sorta di circolo vizioso che automantiene la sindrome
(Moroni M., Corriere Salute, n. 4 febbraio 1991).

Ribadito che più colpiti sono gli adolescenti e gli adulti
ed il sesso femminile, i criteri clinici per la identificazione di
una CFS sono quelli riportati nella Tab. 1 e nella Tab. 2, secondo
Holmes e coll. la prima ed i CDC la seconda.

Ai fini di un approfondito studio clinico-statistico e diagnostico
sono sorti in Italia, oltre a quello di Aviano, altri cinque Centri,
rispettivamente a Milano Roma Verona Chieti Bari, i cui dati e rilievi,
tramite il centro coordinatore di Aviano, confluiscono ai Centers
for Disease Control (CDC) di Atlanta.
Per i colleghi pugliesi ricordo che il centro di Bari è diretto
dal prof. A. Angarano della Clinica Universitaria di Malattie Infettive.
Poco è a dirsi ai fini diagnostici.
Non essendosi accertata una specifica eziologia, saranno le anamnesi,
la sintomatologia soggettiva ed obbiettiva, alcuni dati laboratoristici
(ricerca anticorpi virali, sierodiagnosi, linfocitogramma ecc.), la
presenza di fattori predisponenti o favorenti (famigliari, affettivi,
professionali, ambientali, ecc.), il carattere epidemico e, soprattutto,
la esclusione di affezioni sintomatologicamente alla CFS affini, ad
indirizzare al sospetto diagnostico.
Per la oscurità eziologica, ai fini terapeutici, il medico
si limiterà a prescrivere:
1) un trattamento sintomatico: riposo, qualche blando antipiretico,
polivitaminici (elettivamente B-12), sali minerali (K e Mg), preparati
neurotrofici, ecc..
2) Ampligen, un immunomodulatore ed antivirale (non in commercio in
Italia).
3) Kutapressin per via parenterale; è un estratto epatico anch'esso
non reperibile da noi.
Le varie terapie, nella cura della CFS finora impiegate, inducono
ad un'utile riflessione.
Nessun apprezzabile risultato è stato conseguito con l'Acyclovir
per vena; esso è sovrapponibile a quello constatato nei soggetti
trattati con placebo. Altrettanto è a dirsi per la somministrazione
di immunoglobuline e dei cortisonici.Un effetto antidolorifico, nelle
forme artromio-nevralgiche si è avuto con gli antinfiammatori
non steroidei. Efficaci in alcuni casi sono apparsi gli psicofarmaci
(benzodiazepine, antidepressivi triciclici), la cui prescrizione è
però opportuno demandarla al neuropsichiatra.
Per quanto attiene l'aspetto socioeconomico è impossibile una
valutazione dell'onere finanziario ad uno Stato afferente per un episodio
epidemico di CFS, dovendo tenere presenti il giudizio prognostico
temporale della parziale o totale incapacità lavorativa delle
persone colpite e la loro professione, le spese inerenti gli accertamenti,
i medicinali ed i ricoveri e, infine, l'eventuale riconoscimento di
un contagio contratto in servizio o per causa di servizio.
Terminai il mio precedente articolo col seguente auspicio: "Ulteriori
studi, indagini ed osservazioni cliniche potranno in un prossimo futuro
consentirci di meglio conoscere la CFS, oggi avvolta da una cortina
fumogena nel senso eziopatogenetico, clinico-diagnostico e terapeutico".
Concludo questo con lo stesso auspicio, ma con un pizzico di ottimismo
in più.