Il nome di Megàle
Ellàs (Magna Grecia) era forse già in uso presso gli storici
del IV secolo. Sembra che, in principio, la denominazione fosse limitata
alla zona centrale della costa jonica, con le città di Locri,
Crotone, Sibari e Siri, e che, in seguito, sia stata estesa a nord fino
a Taranto, e a sud fino a Reggio; ancora posteriormente questa denominazione
abbracciava le coste del Tirreno, per raggiungere Cuma. Pochissimi sono
gli autori che comprendono nella Magna Grecia anche la Sicilia greca:
in genere, quasi tutti separano le due aree e riducono la denominazione
alla sola zona continentale.
Più complesso è chiarire come sia sorta questa denominazione
e che cosa volesse realmente indicare nel confronto con la Grecia propriamente
detta: non certo una maggiore estensione della superficie, e tanto meno
un riconoscimento di una superiorità politica; forse furono l'opulenza
e la ricchezza rapidamente acquisite dalle poleis di Magna Grecia a
generare il concetto di Megàle Ellàs, o, forse ancora,
fu la fioritura delle correnti filosofiche nate in Magna Grecia con
una scuola Eleatica, soprattutto con Pitagora. Eppure, è dagli
stessi storici greci che ci è giunto il nome di italioti, che
indica i cittadini di origine greca della Magna Grecia.
la colonizzazione ellenica ebbe inizio nell'VIII secolo a.C., continuò
nel VII e nel VI, e riprese nel V con la fondazione di Turio. Oltre
alla fondazione di città ad opera di Greci provenienti direttamente
dalla madrepatria e dalle colonie greche dell'Asia Minore, le varie
comunità così create fondarono a loro volta altre città,
loro colonie, nella stessa Magna Grecia. Le ragioni che spinsero i Greci
alla colonizzazione furono molteplici e simili alle ragioni che spinsero
altri popoli alle migrazioni e alla conquista di regioni lontane dalle
terre d'origine: densità di popolazione in patria, necessità
di sbocchi commerciali alla produzione, rivolgimenti politici, ansia
di avventure e di scoperta. Fra l'altro, in Grecia quelle ragioni erano
giustificate dalla volontà misteriosa dell'oracolo, che non di
rado indicava anche il luogo da colonizzare.
Esiste una cronologia tradizionale che fissa le date approssimative
di fondazione delle singole città, ma la critica storica confuta
e spesso smentisce le fonti. Per la città di Cuma, ad esempio,
la tradizione - riferita da Eusebio nella sua Cronaca - fissa nel 1051
a. C. la data di fondazione e la descrive come la più antica
polis di Magna Grecia. Ebbene, questa data è respinta dagli storici
moderni, che la posticipano di almeno tre secoli. Oggi si tende a ritenere
che per l'ordine cronologico di fondazione delle città di Magna
Grecia si debbano mettere in primo luogo le città poste sulle
rive dello Jonio, poi alcune città della Sicilia orientale e
dello Stretto di Messina, infine quelle della Magna Grecia fondate direttamente
da coloni greci sulle rive del Tirreno. Allo stesso modo, le circostanze
reali in cui avvennero le fondazioni sono avvolte in un velo di miti
leggendari.
Innanzitutto, le fondazioni si distinsero in pubbliche e private. Le
prime sono quelle avvenute per decisione della città-madre, del
suo popolo e del suoi legislatori: sono il derivato di situazioni sociali,
politiche, economiche particolari che inducono i cittadini a cercare
una soluzione di sfogo nella creazione di una colonia. Le seconde sono,
invece, quelle derivate da iniziative di singoli cittadini, i quali,
per lo più per ragioni politiche, sono indotti ad abbandonare
la terra natia. In non pochi casi, un capo-spedizione (ecista) veniva
nominato per condurre l'impresa. Le figure degli ecisti emergono da
un alone di miti religiosi e fantastici, e spesso sopravvivono come
simbolo della città e oggetto di culto. Abbiamo così,
ad esempio, per Taranto, la figura di Falanto, mitica nel suo insieme,
ma forse con qualche corrispondenza storica; per Sibari ènominato
Is di Elide; per Crotone, il gobbo Miscello; inoltre, si tramandano
discendenti dal pantheon religioso o dai miti omerici, come Ercole,
Ulisse, Enea, Oresta, Diomede, Filottete, Epeo, ecc. Per gli omerici,
si tratta ovviamente degli eroi ridisegnati nei viaggi di ritorno (nostoi)
dalla guerra di Troia. I protagonisti delle fondazioni sono presenti
nelle arti figurative e, in particolare, nelle monetazioni.
E' bene tener presente che vicende storiche della Magna Grecia dell'VIII,
del VII e anche del VI secolo (in parte) rientrano in un'epoca quasi
protostorica, nella quale il succedersi degli avvenimenti, anche di
quelli storicamente accertati, è conosciuto attraverso fonti
spesso contrastanti; anche nelle interpretazioni moderne di quelle fonti,
gli studiosi hanno espresso spesso opinioni diverse. Ciò comporta
esposizioni imprecise e sommarie. Così, potremo dire che la fondazione
di Cuma, Reggio, Crotone, Sibari, Metaponto e Taranto sono da collocarsi
nel corso delI'VIII secolo, mentre quelle di Caulonia, Locri e Siri
rientrano nel VII, e quelle di Ipponio, Lao, Medma, Paestum (Posidonia),
Pixus (Busento), Dicearchia (Puteoli), Terina, Velia, Metauro e Neapolis
nel VI; ma già per il V secolo le notizie pervenute ci permettono
di fissare con maggior precisione le fondazioni di Eraclea, Turio e
Sibari sul Traente, collocandole dopo la metà di quel secolo.
Occorre aggiungere che, almeno per alcune poleis di Magna Grecia, la
prima fondazione fu precaria, sicché in seguito le città
furono riedificate. Ciò vale per Metaponto, Napoli e altri centri
costieri. Così come è necessario precisare che molte città
sorsero su preesistenti abitati indigeni: nel qual caso, più
che di fondazione è necessario parlare di colonizzazione.
Le correnti migratorie si distinguono a seconda delle aree di Grecia
e d'Asia Minore da cui provenivano. In molti casi, però, i gruppi
di colonizzatori erano di provenienza mista; in altri, in tempi successivi
si sovrapponevano genti di origini differenti. A Neapolis, ad esempio,
alla primitiva colonizzazione calcidese-cumana si sovrappose quella
dei Rhodii, e infine quella degli Ateniesi. Schematicamente, si possono
così riassumere le principali correnti migratorie:
- i Dorici, o Spartani: Taranto, Eraclea;
- gli Achei, della provincia di Acaia: Sibari, Crotone, Metaponto;
- i Calcidesi, insieme con gli Eretri provenienti dall'isola di Eubea:
Reggio, Cuma, Neapolis;
- i Locresi: Locri Epizefiri;
- i Focesi provenienti da Alalia (in Corsica): Velia (Elea);
- i Samii: Dicearchia;
- I Colofoni: Siri;
- gli Ateniesi, ultimi arrivati, insieme a Panelleni: Turio e Neapolis
(colonizzazione);
- I Samii, i Rhodii, i Tessali e altre genti si innestarono in misura
minore alle colonizzazioni principali.
Non avvenne mai che le relazioni fra colonie e città-madri fossero
di sudditanza o avessero stretti legami politici. Le colonie greche
furono, fin dall'inizio, città-stato perfettamente indipendenti,
che con la madrepatria mantennero rapporti solo per parentela etnica,
per sentimenti religiosi e anche per interessi commerciali. Ciò
differenzia il concetto di colonia del mondo greco da quello del mondo
contemporaneo. Solo per le sub-colonie delle metropoli di Magna Grecia
- ossia per Laos, Posidonia e Scidro rispetto a Sibari; Ipponio, Medma
e Metauro rispetto a Locri; Eraclea rispetto a Taranto; Temesa e Terina
rispetto a Crotone, ecc. - si può parlare di protettorato in
senso moderno; ma anche questa condizione fu assai limitata nel tempo
e negli effetti, tant'è che presto queste città rivendicarono
una particolare autonomia, e in alcuni casi ebbero rivalità con
le città-madri.
I confini di Magna
Grecia sono ordinariamente fissati da Cuma a Taranto, sulle coste di
Tirreno e Jonio. Ma non è da ritenersi strettamente circoscritto
entro questi limiti geografici il fenomeno della colonizzazione greca
in terra italica. Infatti, si ha notizia di altre postazioni greche
più a nord di Cuma e nell'Apulia, e anche a settentrione di questa,
lungo la costa adriatica. Tutte queste aree colonizzate non ebbero vita
lunga, né una storia ben definita. Ben presto, furono sommerse
dalle popolazioni indigene, dagli Etruschi e dai Sanniti a nord di Cuma,
dagli Japigi-Messapi e dai Dauni in Apulia, dai Bruzii e Lucani in Calabria.
Prima della colonizzazione, i territori meridionali della penisola erano
abitati da popolazioni di vari ceppi etnici, non tutte di provenienza
ben stabilita. A nord, nella Campania, erano gli Ausoni, od Opici, o
Aurunci (che per taluni sono popolazioni diverse); più a sud,
gli Enotri, poi gli ltali, i Siculi, i Coni e i Messapi-Japigi. Spesso
si trattava di popolazioni di alta civiltà: avevano un'organizzazione
commerciale notevole, erano riunite in città, alcune delle quali
costituirono il nucleo d'origine per le poleis greche. Queste genti
avevano già subìto influenze dei Fenici e forse dei Cretesi
attraverso relazioni commerciali marittime. Gli stessi Greci, prima
della colonizzazione, avevano intrattenuto con esse buoni rapporti commerciali.
Non sappiamo come gli indigeni li accolsero al loro arrivo. Probabilmente,
prevalsero le armi della dialettica, dell'astuzia e delle lusinghe;
non è escluso che, in talune circostanze, i Greci migratori abbiano
fatto ricorso alla dialettica delle armi, costringendo i nativi a ritirarsi
all'interno.
Certo è che,
in un secondo tempo, i Messapi-Japigi d'Apulia opposero una resistenza
accanita ed efficace, sicché Taranto non poté allargare
che molto modestamente il suo dominio nell'entroterra. Unica, vera colonia
tarantina fu Callipolis. Per il resto, Tarantini e Siracusani, sotto
Dionisio, riuscirono a stabilire qua e là solo alcune fattorie
a base commerciale, più che colonie vere e proprie. Sembra che
anche a Locri i Greci abbiano incontrato difficoltà, ma le notizie
al riguardo sono incerte e confuse. In ogni modo, questi contrasti non
ebbero conseguenze generali nei tempi storici, e in complesso si può
dire che l'espansione colonizzatrice dei Greci si svolse dappertutto
in modo pacifico e che solo nel V secolo ebbe inizio la reazione italica,
dapprima con i Sanniti, poi con i Lucani e con i Bruzii.
Il fiorire del commercio tra Grecia e popolazioni settentrionali della
penisola (Etruschi, Latini, Sanniti, Liburni, ecc.) si svolgeva tramite
le colonie, soprattutto per mezzo delle metropoli della costa jonica.
Le navi cariche di merci erano costrette a transitare per lo Stretto
di Messina, ove la navigazione era difficoltosa, insidiata dai pirati
Tirreni e soggetta alla volontà di Reggio e Zancle (Messina).
Per questo, le metropoli di Magna Grecia ritennero conveniente attraversare
l'Appennino e fondare, sulle rive tirreniche, le loro colonie, in parte
utilizzando antiche città indigene. Sorsero così Ipponio,
Lao, Pesto, Metauro, Medma, Scidro, Terina, e via dicendo. Le vie carovaniere
lungo le quali si svolsero queste correnti commerciali utilizzarono
le valli e i pianori più agevoli, evitando le impervie zone montane,
e si valsero delle strozzature (istmi) che caratterizzano la configurazione
geografica della penisola calabra. Nacquero le "vie istmiche",
come quella percorsa dal commercio sibaritico che, a nord della Sila,
univa la fertile piana di Sibari con il Golfo di Sant'Eufemia, con le
sub-colonie di Lao e di Scidro, e che attraversava il Passo di Campotenese,
per Lao, percorreva la valle dell'Esaro, e scendeva, per Belvedere Marittimo,
verso Scidro; o come quella, più breve, che univa Locri con la
sub-colonia di Metauro, nel Golfo dì Gioia, e poi con Medma e
Ipponio.
I limiti geografici della Magna Grecia propriamente detta, dunque, sono
compresi tra Cuma e Taranto. All'interno, una determinazione esatta
dei gradi di espansione è estremamente difficile, perché
variabile nei tempi e nei luoghi, e contrastata dagli autoctoni. In
sintesi, sì può dire che l'effettivo territorio della
Magna Grecia era limitato alle coste, alle piane e alle valli aperte.
Questo stato di cose non esclude che in altre parti della penisola siano
approdati i Greci, e che vi abbiano stabilito colonie e stazioni commerciali.
Soprattutto l'Apulia fu terreno di penetrazione greca, e fin dai tempi
più remoti: le leggende sulla fondazione delle principali poleis
della Daunia, della Peucezia e della Japigia hanno chiari riferimenti
con la mitologia greca, e certamente attivi scambi commerciali e di
cultura si ebbero fin dall'età cretese-micenea. In ogni caso,
una tesi sostiene che, per l'intera regione e per le singole città,
non sì trattò di colonizzazione vera e propria, ma di
un "regime misto" che addirittura non fece considerare l'Apulia
come facente parte della Magna Grecia. Anche le colonizzazioni dei Dionisii,
padre e figlio, furono soprattutto creazioni a scopo commerciale e strategico,
e non giunsero mai ad avere un'importanza politica autonoma.
La regione di Cuma è isolata dal resto della Magna Grecia, in
quanto i Greci, a nord di Posidonia (Paestum) e fino al Golfo di Napoli,
non fissarono colonie importanti, e se anche qualche traccia o ricordo
tradizionale di stabilimenti greci si trovano, ad esempio, nella Penisola
Sorrentina, (Tempio di Athena a Punta Campanella), tuttavia nessuna
località ebbe importanza politica e storica nell'ambito della
Magna Grecia. I limiti della regione cumana non sono ben delineati dai
corsi dei fiumi, come per lo più avviene per i territori di altre
città. l'area si può considerare compresa fra il Lago
di Patria e il Vesuvio. Vi sono comprese le città di Cuma, Dicearchia
(Pozzuoli) e Neapolis (Palepoli o Partenope), i laghi Averno e Miseno,
i Campi Flegrei. Nella stessa regione sono anche da comprendere le isole
adiacenti, specialmente Pitaecusa (Ischia), che fu la prima sede dei
Calcidesi, fondatori di Cuma.
Segue, verso sud, una regione nella quale prevaleva il dominio etrusco.
Essa comprende la base del Vesuvio, con Ercolano, Pompei e Stabia, la
Penisola Sorrentina con le città di Equae (Vico Equense) e Surrentum,
il cui Capo Ateneo (Punta Campanella) è l'estremo limite del
cratere, com'era chiamato il Golfo di Napoli; dal Capo Ateneo ha inizio
il Sinus Posidoniate (Golfo di Salerno), con le città di Salernum,
Eburi e Marcina (Vietri), fino al fiume Silaro. Sotto il dominio etrusco
era anche tutto l'interno della Campania, con le città di Volturnum
(Capua), Noia e Abella.
Col fiume Silaro (Sele), ha inizio il territorio greco di Posidonia
(Paestum), col tempio di Hera Argiva (Heraion) presso la foce del fiume,
e, qualche chilometro più a sud, la città stessa che ci
ha lasciato grandiose vestigio, fra le più belle di Magna Grecia.
Come confine meridionale del territorio posidoniate si considera il
fiume Solofrone, oltre il quale ha inizio il Cilento, regione montuosa
compresa fra i Golfi di Salerno e di Policastro. La Punta Licosa e l'isoletta
omonima separano il sinus Posidoniense da quello Veliense, e ricordano
la sirena Leucosia. In fondo al Veliense, presso la foce del fiume Alete
(oggi Alente), era la città di Velia o Elea, di cui ancora oggi
restano rovine interessanti e suggestive. Il territorio di Velia rappresenta
quasi un'isola indipendente, mentre l'intero litorale del Sele, fino
al fiume Lao, e oltre, fino al Savuto, era sotto l'influenza di Sibari.
Capo Palinuro separa il Veliense dal sinus di Lao, oggi Golfo di Policastro;
Palinuro e la vicina Molpe erano località di origine greca, probabilmente
sibaritica. La prima ricorda il nocchiero di Ulisse che, secondo la
tradizione, trovò qui morte e sepoltura in un tumulo; Molpe,
invece, ricorda l'omonima sirena, un'altra delle tante suicide per la
delusione sofferta per l'indifferenza di Ulisse.
Proseguendo verso sud, alla foce del fiume Busento, nei pressi dell'odierna
Policastro, era la città di Pixus, che i Romani ribattezzarono
col nome di Buxentum. In fondo al Golfo di Policastro oggi è
Sapri, ove alcuni ritengono fosse la fortezza di Scidro, colonia sibaritica;
altri, però, indicano come più probabile che tale località
sia da porsi molto più a sud. la cittadina di Blanda era invece
tra la fiumara di Castrocucco e la Fiumarella, sulla strada per Tortora.
Alla foce del Lao, era la città omonima, colonia di Sibari; proseguendo
per le rovine medievali di Cirella Vecchia, era la cittadella di Cerillae,
forse anch'essa colonia di Sibari, considerato confine settentrionale
del Bruzio. Più a sud, fino al fiume Savuto (antico Sabato),
non si trovano località di origine greca, ad eccezione di Amantea,
che forse corrisponde all'antica Clampezia. Col Savuto ha inizio il
territorio d'influenza crotoniate, con le città di Temesa e Terina.
Tra il Savuto e la Piana di Sant'Eufemia, l'antico sinus Lametius, contornato
dalla grande piana alluvionale attraversata da un'intricata rete di
torrenti e fiumastri, tra i quali il fiume Amato o Lamato (antico Lametus).
Con questo, e col fiume Angitola, a sud, ha inizio la zona d'influenza
locrese, con le città di Ipponio (Vibo Valentia), Medma (Rosarno)
e Metauro o Matauro (Gioia Tauro). La Statale 18 tocca le tre località
discostandosi dal mare, ma tutto il promontorio Taurianum, con Capo
Vaticano, compreso fra i Golfi di Sant'Eufemia e di Gioia, è
regione di ricordi mitici e di ritrovamenti archeologici. Lungo la costa,
presso Tropea, doveva essere il Porto di Ercole ricordato da Plinio.
All'interno, l'importante necropoli sicula di Torre Gallo, scoperta
dall'Orsi nel 1922.
Presso Metauro sfocia il fiume Petrace (antico Metauro), che segnava
il confine tra i territori locrese e reggino. Tra Gioia e Palmi doveva
essere il Porto di Oreste, pure ricordato da Plinio; più a sud,
all'imboccatura dello stretto di Messina, è la rupe di Scilla,
che Anassilao di Reggio fece fortificare quale postazione strategica
per la difesa contro le incursioni dei pirati Etruschi. Sulla punta
della penisola, sul luogo della città moderna, sorgeva Reggio,
col territorio stretto sotto l'Aspromonte e limitato sui due mari dal
territorio nemico di Locri. Come confine jonico tra Reggio e Locri è
citato dagli antichi autori il fiume Halex, che verrebbe identificato
con l'odierna fiumara di Melito o con quella di Amendolea. Nell'interno,
sull'area in cui sorge Condofuri, vi sarebbe stata la città di
Peripolio, colonia locrese. Più a nord di Locri, il torrente
Torbido è per lo più ritenuto corrispondente al fiume
Sagra, ove si sarebbe svolta la celebre battaglia tra Locri e Crotone,
nel VI secolo. Il Capo Spartivento è il promontorio Herculeum:
in questo territorio è Locri, le cui rovine iniziano sulla Statale
Jonica, a tre-quattro chilometri dall'odierna Locri Marina, e proseguono
all'interno. Il Sagra costituiva il confine tra i territori di Locri
e di Caulonia.
Rientriamo così nell'area d'influenza crotoniate. La città
di Caulonia era situata intorno alla collina di Capo Stilo (faro), l'antico
promontorio Cocynto. I resti delle mura della città sono visibili
all'interno, la base del tempio di Apollo è sulla spiaggia. Più
a nord, il vallone Galliporo corrisponde forse al classico Elleporo,
ove ci fu la battaglia vinta da Dionisio I contro la lega italiota.
Da Capo Stilo la costa prende una direzione nord, contornando il Golfo
di Squillace, sinus Scyllaceus, dalla omonima città greca che
si ritiene sia nell'area; tra questo golfo e quello tirrenico è
compresa quella parte più stretta della penisola calabra che
all'epoca era percorsa dalla via istmica più corta. Attraverso
questa regione, secondo Strabone, Dionisio avrebbe eretto un vallo di
difesa contro le incursioni lucane. Nel sinus Scyllaceus, oltre l'Elleporo,
sfociano i fiumi Cecino, Crotalo, Semiro, Aroca e Targina, oggi chiamati
rispettivamente Ancimale, torace, Simeri, Crocchio e Tacina; quest'ultimo
costituiva forse il confine tra il territorio di Caulonia e quello propriamente
crotoniate. Più in là, il gruppo dei promontori japigi
(Capo Le Castella, Capo Rizzuto, Capo Limiti) chiude l'arco di Squillace.
Segue il promontorio Lacinio (Capo Colonna), con i superstiti resti
del tempio di Hera.
Crotone, potente metropoli greca, è sul luogo dell'attuale città,
alla foce del fiume Esaro. Il suo territorio, prima del 510 a.C., forse
era limitato a nord dal fiume Neto, poi" la regione seguente' con
le città di Petelia, Crimisa e Macalla, era probabilmente sotto
il dominio di Sibari; ma, con la distruzione di questa città,
il territorio sotto il controllo di Crotone si estese fino a comprendere
l'intera Sibaritide. le tre città sopradette erano unite da un'unica
leggenda, che le diceva fondate ad opera di Filottete, e l'intero territorio,
dal Neto a Punta Alice (Promontorio Crimiso) era ricordato come il teatro
delle ultime gesta di questo arciere, capo dei Tessali. Petelia sarebbe
stata al posto dell'odierna Strongoli, per quanto altri la vogliano
più a sud, a Petilia Policastro; Crimisa al posto di Cirò;
nessuna notizia di Macalla. Coi promontorio Crimiso si apre il vasto
Golfo di Taranto, ultimo sinus di Magna Grecia. Coi fiume Ilia (odierno
Fiumenicà) aveva inizio il territorio di Sibari, l'altra grande
metropoli greca, e il fiume Traente (oggi Trionto) è ricordato
nella storia per la battaglia tra Crotone e Sibari e per la città
di Sibari sul Traente, fondata circa nel 440 a. C. dai discendenti dei
Sibariti superstiti. A Castiglione di Paludi, tra Rossano e Cropalati,
sono emerse rovine di Sibari sul Traente (ma l'identificazione è
controversa).
La Jonica 106, dalla stazione di Rossano prosegue per Corigliano, mantenendosi
sul dorso collinoso; ma un altro ramo della stessa strada èparallelo,
più a valle: e le due strade confluiscono nell'attuale paese
di Sibari. La prima passa attraverso i luoghi in cui sorgevano Sibari
e Turio (questa città erede della prima), attraversando i fiumi
Crati e Coscile (antico Sibaris); la seconda, più vicina al litorale,
attraversa il Crati già riunito al Coscile, nelle vicinanze dei
resti della romana Copia. l'ampia valle dei Crati è sede di Sibari,
la più nobile polis dell'area, e la più ricca, grazie
a un'ogricoltura rigogliosa e a traffici intensissimi.
A nord del Crati, la Jonica corre parallelamente alla ferrovia, lungo
il litorale, fino alla piana formata dalla foce del fiume Siris (oggi
Sinni); sulla sinistra di questo corso d'acqua, sorgeva la città
di Siri, ricca per'la fertilità del suolo (la Siritide), compreso
fra il Siris e l'Akiron o Aci-rius (oggi Agri). Nel territorio sorse,
nel V secolo, Eraclea, colonia ta-rantina, situata nella zona dell'odierna
Policoro. Dopo la suo distruzio-ne, pare che Siri sia risorta come Porto
di Eraclea. Una strada che parte da Policoro e sale verso l'interno
porta all'antica chiesa di Santa Maria, ex cattedrale di Anglona, cittadina
medioevale oggi scomparsa, che sorgeva su una collina. Un tempo, proprio
da questa collina dominava la città greco di Pandosia, di origine
italica, da non confondere con l'omonima città bruzia, che si
trovava invece nell'Alta Valle del Crati.
Attraversato l'Agri, la Jonica supera il fiume Covone (che i Greci chia-marono
Acalandro), poi il Basento (antico Casuento), ed entra nella re-gione
Metapontina. Metaponto era più verso la spiaggia, e i resti su-perstiti
(Tempio di Apollo Liceo, teatro, necropoli, un breve tratto di mura)
sono sulla destra della strada. Il Tempio delle Tavole Palatine era
fuori del recinto della città, e le sue rovine emergono suggestive
accanto alla strada, nelle vicinanze del ponte sul fiume Bradano.
E col Bradano si entra nella regione Tarantina. L'antica città
greca occupava lo stesso luogo dell'attuale; era, cioè, nella
penisoletta compresa fra il Mar Piccolo e il Grande, con l'acropoli
dislocata sulla sommità del colle che dominava all'estremità
della penisola stessa. Oggi, il quartiere vecchio di una città
in continua espansione ha preso il posto dell'acropoli. Naturalmente,
il canale navigabile che oggi separa la città vecchia dalla nuova,
ai tempi di Taranto greca non esisteva (fu aperto, infatti, nel 1490),
e la comunicazione fra i due mari era possibile solo attraverso il canale
naturale che divide la punta della penisola dalla terraferma. Il Mar
Piccolo costituiva il vero porto di Toras, prezioso ricovero per le
flotte mercantili e militari. E qui culminava la Magna Grecia, poiché
ad un'ulteriore espansione in Apulia, come abbiamo detto, gli Japigi-Messapi
opposero sempre una strenua resistenza.
Dalla seconda metà dell'VIII secolo a tutto il VII si susseguono
le colonizzazioni e le sub-colonizzazioni. Ma di tutto questo periodo
non possiamo conoscere che quanto ci viene tramandato dalla letteratura
classica, in buona parte un misto di fantasia poetica e di leggende
mitologiche, da cui l'opera critica degli studiosi, con l'ausilio del
ritrovamenti archeologici, può ricavare un quadro approssimato
sulle fondazioni delle città, sulle condizioni di civiltà
e sulle vicende delle genti di Magna Grecia.
E' solo col VI secolo che si cominciano a distinguere avvenimenti ben
differenziati. La storia di questo secolo è caratterizzata, infatti,
dalle guerre che le poleis, antagoniste per rivalità commerciali
o politiche, combatterono fra di loro. La prima fu quella condotta da
tre città achee, Sibari, Metaponto e Crotone, contro la jonica
Siri, un conflitto che si concluse con la distruzione di Siri e la spartizione
della Siritide fra Metaponto e Sibari. Forse verso la metà del
secolo ci fu la guerra fra Crotone e Locri. Delle due, Crotone era indubbiamente
la più forte, più ricca e meglio armata; ma Locri, grazie
al valore dei suoi soldati e dei suoi capi, ebbe la meglio e ne uscì
notevolmente rinvigorita. La sconfitta segnò, per Crotone, una
stasi di accrescimento, e da questa esperienza scaturì una reazione
psicologica, stimolata anche dalla predicazione pitagorica. la città
si riprese, tanto da affrontare la guerra contro Sibari. Questo conflitto
ebbe origine da divergenze politiche, oltre che da ambizioni di possesso
territoriale: infatti, mentre a Crotone vigeva un regime aristocratico,
permeato dalle severe concezioni filosofiche di Pitagora, a Sibari la
straordinaria ricchezza e un rilassamento dei costumi avevano portato
a un regime demagogico e, infine, alla tirannide. Rapida e violenta,
la guerra si concluse con la vittoria dei Crotoniati e la distruzione,
almeno parziale, di Sibari. le conseguenze dell'immane scontro furono
rilevanti per Crotone che, giunta al pieno possesso della ricchissima
Sibaritide, acquistò prestigio e potenza. Dopo questo periodo
di guerre interne, alla fine del VI secolo, si cominciò ad aver
notizia dei rapporti di Magna Grecia con le nazioni confinanti. Forse,
crescendo il potere delle poleis, esse mettevano in pericolo gli interessi
di popoli vicini. Il confinante di maggior rilievo, naturalmente, era
il popolo etrusco, che, dall'inizio del secolo, era padrone di Capua
e premeva contro il territorio cumano per estendere il possesso sull'intera
area campana. Cuma, allo scadere del secolo, si oppose validamente e
anzi, con Aristodemo il Malaco, passò all'offensiva. Ma la caduta
definitiva del potere etrusco in Campania si ebbe solo nel V secolo,
in seguito all'intervento siracusano.
Anche all'estremità opposta, cioè a Taranto, i Greci dovettero
combattere contro gli autoctoni, gli Japigi-Messapi. Questo scontro
pare abbia avuto inizio verso la fine del VI secolo, mentre la fase
culminante si ebbe nella battaglia del 471, quando le forze alleate
di Taranto e di Reggio subirono una grave sconfitto. Solo in seguito
Taranto ebbe una rivincita, ma la sua penetrazione in Puglia fu difficoltosa
e limitata.
La storia del V secolo è più ricca di vicende e conosciuta
con maggior precisione. Alla caduta della potenza etrusca in Campania
fece seguito l'invasione dei Sanniti, i quali, conquistata Capua nella
secondo metà del secolo, si infiltrarono nel territorio di Magna
Grecia, assorbendo nella loro civiltà parecchi centri. Come conseguenza
dell'avanzata sannitica in Campania, si ebbe la comparsa delle genti
lucane. Questa stirpe è da considerarsi più che altro
derivata da tribù sannitiche staccatesi dal ceppo originario:
non è chiara l'origine del loro nome, e meno che mai quella del
distacco dal gruppo etnico. Verso la fine del V secolo tutta la costa
tirrenica, fino al fiume Lao, cadde in potere del Lucani. Quanto alle
vicende delle singole poleis in quest'epoca, tra esse emersero soprattutto
Reggio e Crotone. La prima ebbe un momento di forte sviluppo all'inizio
del secolo, quando osò contrastare la potenza di Siracusa, alleandosi
con i Cartaginesi; e per la prima volta Cartagine venne a contatto con
la Magna Grecia. Ma il tentativo ambizioso di Reggio fallì, la
sua politica egemonica dovette ripiegare. Anche Crotone registrò
potenza e floridezza, ma, sulla metà del secolo, a causa della
rivolta antipitagorica, attraversò una crisi interna che avviò
la decadenza. Tanto a Reggio che a Crotone i governi ebbero carattere
democratico; lo stesso regime di Archita, a Taranto, fu permeato di
spirito democratico, e la città ne trasse ricchezza e prestigio.
Sempre nella seconda metà del V secolo si ebbero nuove fondazioni:
Turio, Sibari sul Traente, Eraclea, conseguenza dell'incerta situazione
in cui quella zona jonica si trovava fin dalla scomparsa di Siri e di
Sibari. Le nuove città svolgeranno un ruolo non indifferente
nella storia di Magna Grecia.
All'inizio del IV secolo un nuovo pericolo esterno, forse il più
grave, minacciava la Magna Grecia: le mire espansionistiche di Dionisio
il Vecchio, tiranno di Siracusa. Prima e diretta rivale, Reggio, che
venne distrutta e che, pur risorta, non ebbe mai più un ruolo
di primo piano nella scena politica. Le altre poleis, intuito il pericolo,
crearono la Lega Italiota, unico episodio di "solidarietà
nazionale" in Magna Grecia. La lega fu battuta, ma ottenne ugualmente
un risultato: Dionisio, in segno di rispetto, tenne nei confronti delle
città vinte un atteggiamento ben diverso da quello, durissimo,
avuto nei confronti di Reggio. Ciò gli accattivò le simpatie
delle poleis, che si sottomisero alla potenza siracusana; ma in questo
modo si spense anche l'unica possibilità di un'unificazione nazionale,
cui evidentemente lo spirito greco delle città-stato non era
portato.
Verso la metà del secolo, in Calabria e in Lucania si affermò
la minac-ciosa potenza del Bruzii, popolo sorto dalla fusione fra tribù
lucane di-scendenti dalle genti originarie di Calabria, staccatosi dal
ceppo origi-nario, resosi indipendente e unito in una confederazione
attiva e batta-gliera. Sede, forse, la Sila, ove conduceva una vita
rude, dedita dappri-ma alle razzie e al brigantaggio, e, in seguito,
a vere e proprie spedi-zioni militari. L'avanzata delle forze bruzio-lucane
subì arresti e arretramenti temporanei per l'arrivo di duci stranieri,
chiamati in Italia da Taranto: Archidamo, re di Sparta, e Alessandro
il Malosso, re dell'Epi-ro, intrapresero con successo un'azione a vasto
raggio. Ma furono vit-torie di breve durata: entrambi trovarono la morte
in guerra, e tutto tornò come prima. Alla fine del secolo la
potenza finanziaria di Taranto richiamò Cleonimo, principe spartano,
che fermò l'avanzata di Bruzii e Lucani. Ma ormai il IV secolo
rivelava il declino dei l'indipendenza e del-la potenza delle poleis
di Magna Grecia, provocato anche dal prevalere delle popolazioni di
discendenza sannitica e indigena, che esercitavano pressioni inesorabili,
e dall'ingerenza siracusana che applicava il principio del divide et
impera. Disaccordi e gelosie fra le città fecero il resto. A
questo punto, si affacciò la potenza di Roma, che prevalse sui
Sanniti. Dall'inizio del III secolo, le poleis cessarono di essere protagoniste
delle vicende storiche nell'area meridionale della penisola. Superstiti
attori, i Siracusani, con Agatocle. Fino a che, nel 281, ebbe inizio
la grande lotta fra l'ultima potenza greca, quella di Taranto, e Roma,
con l'arrivo di Pirro, re dell'Epiro.
Dopo la caduta di Taranto (272) e fino all'arrivo di Annibale (seconda
guerra punica), le poleis vissero all'ombra di Roma, con una certa autonomia
amministrativa. Con la prima guerra punica, che si svolse in Sicilia,
Magna Grecia fu base logistica di Roma, cui i Greci delle poleis insegnarono
l'arte di navigare, consentendo all'Urbe le vittorie di Milazzo, di
Ecnomo e delle Egadi. Curioso che fosse un altro greco, Santippe di
Sporta, ad insegnare invece ai Cartaginesi l'arte della guerra terrestre,
portandoli alla vittoria contro Attilio Regolo. Dopo la sconfitta di
Canne (216), quasi tutte le poleis caddero sotto il dominio cartaginese.
Metaponto fu addirittura il quartier generale di Annibale. Alcune città
erano state sottomesse con la forza, come Petelia. Altre avevano accolto
spontaneamente il condottiero cartaginese, e al momento della riconquista
subirono la vendetta romana.
Nel 202 la grande battaglia dì Zama segnò il tramonto
di Annibale e la fine della seconda guerra punica, insieme con l'inizio
della romanizzazione dì Magno Grecia. Quasi tutte le città
ebbero la qualifica di confederate, con condizioni diverse. Decaddero
autonomia politica e commerci internazionali. Poi venne la colonizzazione
vera e propria, avviata da Scipione. Alcune colonie furono impiantate
con nuove fondazioni, altre furono stanziate nelle stesse città,
magari con nome cambiato. Dapprima si trattò di colonie militari,
poi si accentuò il carattere agricolo. infine, della gloria greca
rimase solo il ricordo, insieme con la cultura, che Roma rapidamente
assimilò.
I protagonisti
Senofane.
Uno dei tre grandi della scuola filosofica di Elea. Nato a Colofone,
in Asia Minore, nella primo metà del VI secolo, peregrinò
per il mondo greco, e da vecchio si fermò ad Elea. Poeta, esprimeva
i suoi pensieri filosofici, appunto, in forma poetica, recitando secondo
la tradizione degli aedi, come si dice facesse Omero; ma con il pensiero
era avverso ad Omero, specie in campo religioso, ove contraddiceva la
concezione antropomorfa della divinità con le sue conseguenze
immorali. Alla corrente ideologica, ne contrapponeva un'altra, più
elevata e assoluta, che se non affermava appieno il monoteismo, quanto
meno lo presupponeva. Fu antagonista delle dottrine di Pitagora, di
cui derideva il concetto di trasmigrazione dell'anima; opponeva al dualismo
pitagorico fra mondo e spirito un concetto di Unità (Uno è
il mondo - uno lo spirito - il mondo è lo spirito).
Parmenide. Sarebbe stato discepolo di Senofane. Incerta la dato
della suo nascita, certo fu più giovane del maestro. è
considerato il vero fondatore della scuola eleatica, e la critica moderna
lo pone al di sopra di Senofane. La suo opera è condensata in
un poema, intitolato posteriormente Della natura. Per dottrina, si distaccò
dal maestro, spesso contraddicendolo. Fondamentale la sua concezione
dell'essere e del non essere. Meno avverso al pitagorismo, fu anello
di collegamento fra Pitagora e Senofane. Riteneva fallace ogni sensazione,
e considerava la verità raggiungibile solo con la ragione. Fu
anche matematico e legislatore, oltre che astronomo.
Zenone. Amico e discepolo di Parmenide. Nato ad Elea, forse al
principio del V secolo, venne ucciso fra tormenti atroci per aver congiurato
contro Nearco, tiranno della città. Fu matematico e filosofo
di gran fama; difese il monismo, caratteristica fondamentale della filosofia
eleatica, contrapposto al dualismo pitagorico. Ciò portò
la Scuola alle concezioni più trascendentali, mentre quella pitagorica
restò ancorato alla vita pratica con le sue discipline e regole
di vita morale e virtuosa. Continuatore della Scuola di Elea fu Melisso
di Samo, fiorito intorno al 440 a. C.
Stesicoro. Si ritiene che sotto questo nome si debbano distinguere
almeno due artisti diversi. Il primo, più arcaica, nativo di
Matauro, morto a Catania, vissuto fra il VII e il VI secolo; il secondo,
figlio di Euclide, ecista di Imera, qui nato e morto, vissuto fra il
VI e il V secolo. La collisione fra i due era completo già negli
antichi autori. In generale, si cita come personaggio unico per esposizione
sommaria. La suo opera è ambientata in Sicilia e in Magna Grecia.
La suo scuola fu proseguita da Ibico e collegato con quella poetico-musicale
di Locri. Ebbe fama di grandissimo poeta e innovatore dell'arte. Argomenti
delle sue opere, vicende, eroi, episodi dell'età mitica: la caduta
di Troia, le avventure di Eracle, Elena, Oreste, Enea... Pur rifacendosi
agli antichi racconti, egli li rielaborò con grande fantasia,
insistendo in particolare sui fatti che avevano avuto come teatro la
Sicilia e la Magna Grecia. Si ritiene che l'insieme delle sue opere
costituisse una raccolta di ventisei libri. La sua arte fu una trasposizione
lirica della poesia epica.
Clearco. Scultore reggino citato da Pausania, che descrive la
sua statua bronzeo di Zeus che ornava il tempio di Athena a Sparta.
Sarebbe stata la prima scultura in bronzo della storia, con i pezzi
modellati separatamente, sbalzati a martello, uniti insieme con i chiodi.
Sarebbe stato attivo fra la metà del VI e l'inizio del V secolo.
Suo maestro, il corinzio Eucheiros, che si ero stabilito in Etruria.
Influì notevolmente sull'arte greco in Italia, con differenze
di stile riscontrabili soprattutto nelle terrecotte ritrovate a Medma
(Rosarno). Del resto, certi bronzi di Locri e le metope dell'Heraion
sul Sele mostrano la presenza di una scuola italiota con caratteristiche
proprie, e comunque diverse da quelle dell'arte greca propriamente detto.
Pitagora. Scultore, nato a Reggio o a Samo, allievo di Clearco,
e più del maestro ammirato nel mondo greco. Gli antichi citano
moltissime opere, tutte in bronzo, commissionate da città greche,
e perfino da Cirene. Attivo, forse, tra il 490 e il 440 a. C.. Nella
sua arte si riscontrerebbe un primo passo verso il verismo che si svincola
dalle concezioni formali della scultura più arcaica. Si dedicò
principalmente alla raffigurazione del corpo umano, soprattutto degli
atleti. Fu elogiato per la capacità di riprodurre i minimi particolari
anatomici.
Glauco. Storico, vissuto tra la fine del V e il principio del
IV secolo. Autore di un'opera celebre sugli antichi musici e poeti.
Se ne conservano pochi frammenti, nei quali si accenna a Stesicoro e
ad Empedocle.
Lico. Visse nel IV secolo, e fu anche in Egitto, presso la corte
di Tolomeo. Più che storico, è considerato storiografo,
cioè ricercatore ed espositore di curiosità, leggende,
usi, costumi. Scrisse un libro sulla Libio, uno o più libri sulla
Sicilia e sulla Magna Grecia, un'opera dedicata ad Alessandro il Molosso
e alla sua compagna in Italia.
Ippi. Storico reggino, spesso confuso con altri autori (Ipparchide
o Ipponatte). C'è chi lo considera il più antico storico
di Magna Grecia. Ci sono pervenuti scorsi frammenti che trattano della
fondazione di poleis in Magna Grecia e della storia della Sicilia.
Ibico. Poeta reggino della seconda metà del secolo VI.
Aristocratico, fu forse di stirpe messenica. Considerato continuatore
di Stesicoro. Partì presto, perché inadatto alla politica
e alla disciplina morale e religiosa che, in Magna Grecia, permeava
la cultura del tempo. Si trovò a suo agio nella sfarzoso e corrotta
corte di Policrate di Samo, dove erano benevolmente accolti letterati
e scienziati, tutti di indole non certo austera. Gli fu compagno Anacreonte.
Dei sette libri di poesia che costituivano la suo opera, sono rimasti
significativi frammenti. Viaggiò a lungo in Grecia e in Italia.
Una leggenda sulla sua morte lo vuole ucciso da briganti.
Senocrito. Fondatore e capo della scuola poetico-musicale di
Locri, noto per le molteplici citazioni che di lui fanno Plutarco, Pindaro,
Callimaco, Glauco e altri. Autore di peana, carmi eroici e iporchemi.
Visse nel VII secolo, forse anche a Sporta, quale continuatore del cretese
Taleta, primo compositore di iporchemi. Della scuola locrese si citano
anche altri autori. Erasippo, Mnasea e la poetessa Teano.
Nosside. Vissuta dalla seconda metà del IV alla prima
metà del III secolo. Rimangono, di lei, gli epigrammi raccolti
nell'Antologia Palatina, forse piccola parte della sua produzione poetica,
raccolti da Menelagro nella suo Corona. Esprimeva l'amore in canti appassionati.
Alcuni epigrammi sono di contenuto eroico, in onore dei suoi compatrioti
che combatterono i Bruzii.
Echecrate. Filosofo pitagorico locrese del IV secolo, discepolo
di Archita e amico di Aristosseno. Forse coinvolto in una congiura contro
Dionisio I e condannato a morte, si sarebbe salvato per l'intervento
di Platone. Cacciato da Locri e riparato a Fliunte, nel Peloponneso,
presiedette una scuola filosofica. E' l'interlocutore di Fedone nel
dialogo di Platone che narra della morte di Socrate.
Alcmeone. Versato in varie scienze, fu soprattutto medica e astronomo.
Nato a Crotone verso la metà del VI secolo, conobbe e frequentò
Pitagora, alla cui dottrina avrebbe dato spunti originali e precursori.
Il ricordo della sua opera di scienziato e delle sue speculazioni filosofiche
è giunto a noi attraverso vari autori, compreso Aristotele. Tutte
le sue ricerche erano basate sul principio sperimentale. Si considera
il padre dell'anatomia umano; scoprì la circolazione del sangue,
distinse le arterie dalle vene, indicò il cuore come propulsore
della circolazione, eseguì sperimentazioni sui sensi, intuì
la dipendenza delle sensazioni dal cervello, parlò dell'immortalità
dell'anima. Nelle concezioni astronomiche e cosmologiche si rifece agli
jonici e a Talete, dal quale, forse, trasse le considerazioni sulle
fasi lunari.
Democede. Medico-chirurgo crotoniate della secondo metà
del VI secolo. Ebbe vita avventurosa. Si stabilì ad Egina, poi
ad Atene, poi ancora a Samo. Prigioniero del Persiani, fu portato alla
corte di Dario, dove acquistò gran fama. Fuggito a Taranto, fece
ritorno a Crotone. Queste vicende sono narrate da Erodoto. Fu ardente
seguace di Pitagora. Fu soprattutto un teorico della scienza e un capo-scuola
che insegnò una particolare dottrina che sconfinava nella filosofia.
Pitagora. Nato a Samo nella prima metà del VI secolo,
giunse a Crotone tra il 532 e il 530. Subito dopo la caduta di Sibari,
si trasferì a Metaponto. Forse viaggiò in Egitto e in
Oriente. Fece della matematica e dei numeri un fondamento filosofico
e religioso, impregnato di simbolismi. Fu il primo ad elevare l'aritmetica
al valore di scienza matematica. La soluzione di molti problemi di geometria
razionale è assegnata alla sua scuola; e a lui è attribuito
lo studio dell'altezza dei suoni in relazione alla lunghezza della corda
vibrante (lira monocorde). Da questi studi, Aristosseno prese lo spunto
per le sue leggi sull'armonia. Difficile distinguere la sua dottrina
da quella dei suoi discepoli. Trasmise oralmente i suoi principi, che
volle segreti, fino a Filolao. Formò una classe di eletti che
ebbe presto influenza nel governo della città e applicò
il pitagorismo al governo della cosa pubblica.
Filolao. Crotoniate, fuggito a Tebe, fu maestro di Epaminonda.
A tarda età forse tornò in Italia, a Taranto, ove si sarebbe
recato anche Platone, per ascoltare le sue lezioni. Propagandò
la dottrina di Pitagora, svelandone per primo i segreti. Avrebbe scritto
numerose opere, di cui ci sono pervenuti solo frammenti. Il suo pitagorismo
sostenne la tesi della sfericità dell'universo e di tutti i suoi
elementi, ruotanti intorno a un centro di fuoco. L'evoluzione di questa
teoria, con gli studi e le scoperte di Ekphantos di Siracusa, di Eudoxo
di Cnido e di Aristarco di Sama, èconsiderata precorritrice della
teoria eliocentrica di Copernico.
Alessi. Poeta e commediografo di Turio, vissuto nel IV secolo
in gran parte ad Atene. Nelle sue opere, frequente, Il richiamo alla
Magna Grecia. Giunti a noi pochi frammenti a tema satirico dei costumi
e delle odee del tempo.
Zeusi. Pittore di Eraclea, della prima metà del IV secolo.
Svolse l'attività artistica a Crotone, forse anche in Sicilia,
scolaro di Demofilo d'Imera. Giovane, si trasferì ad Atene, poi
alla corte macedone di Archelao. Di lui parlarono Plinio, Luciano, Quintiliano
e Aristotele, concordando nel riconoscergli grande valore e perizia
nell'arte pittorica.
Timòteo. Celebre medico metapontino della seconda meta
del V secolo. Riteneva che tutte le malattie avessero causa fondamentale
nel cervello, e questa teoria lo collega alla scuola di Crotone, ricordando
la tesi di Alcmeone che indicava il cervello come sede delle sensazioni
e delle funzioni psichiche.
Archita. Nato a Taranto nel 430, morì verso la metà
del IV secolo. Filosofo, matematico, scienziato, statista, stratega,
legislatore, moralista, suscitò ammirazione in tutto il mondo
greco. Molto aveva assorbito del pitagorismo. Fondatore della meccanica
scientifica, ideatore della vite, della puleggia, del cervo o colomba
volante, fu teorico musicale, condusse studi sull'acustica, studia le
progressioni e fu primo a distinguere fra progressioni aritmetiche e
geometriche. Occupò per sette volte la carica di stratega, tenne
buone relazioni con Siracusa, ove agevolò i contatti con Platone,
che salvò dalle ire di Dionisio I. Aristotele fu entusiasta della
sua opera di legislatore, improntata all'equità e alla moderazione.
Aristosseno. Tarantino, iniziato all'arte musicale, musicologo
tenuto in gran conto anche dagli studiosi moderni. Ci sono pervenuti
molti frammenti di ricerche scientifiche sui suoni e sui ritmi. Fu anche
filosofo e moralista permeato di dottrina pitagorica. Fu sostanzialmente
l'ultimo del pitagorici. Dimorò ad Atene, discepolo apprezzato
da Aristotele.
Liside. Filosofo tarantino, insieme al compatriota Archippo scampò
al massacro dei pitagorici della metà del V secolo. Si stabilì
a Tebe, dove fondò una scuola filosofica, poi continuata da Filolao.
In vecchiaia, fu maestro ed educatore di Epaminonda, il gran tebano
che portò la sua città alla supremazia fra le nazioni
greche.
Leonida. I suoi epigrammi ci sono giunti attraverso l'Antologia
Palatina. Vissuto nel III secolo, poetò sulle imprese belliche
dei tarantini contro i lucani; vagò poi per l'Epiro e per la
Grecia, componendo epigrammi dedicatori e sepolcrali con versi estremamente
raffinati, con un perfetto stile intriso di malinconia e di nostalgia
per la patria lontana.
Rintone. Autore celebre di commedie che trasformavano le tragedie
classiche fino alla burla. Le sue "ilarotragedie" forse si
ispirarono allo stile fliacico popolare. Visse nel III secolo in Taranto,
fu quasi contemporaneo di Nosside, la poetessa locrese che lasciò
un epigramma in suo onore. Di lui, ci sono rimasti pochi frammenti.
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