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TRENTA LETTERE DEL CARTEGGIO "DORSO - FIORE" |
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Attilio
Marinari
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il materiale proveniente dal Fondo Dorso e quello raccolto dalla paziente
ricerca di alcuni studiosi, il Centro oggi possiede di G. Dorso e dei
suoi corrispondenti circa seicento lettere [cfr. B. Ucci, Il corteggio
di G. Dorso (1908-1945), in Per conoscere Guido Dorso - I suoi libri
e il suo carteggio, a cura di F. Bruno, F.S. Festa e B. Ucci, Guida
editori, Napoli 1984, pp. 165-249], che appena possibile saranno pubblicate
come nucleo centrale del Corteggio dorsiano. Tra esse sono comprese
le trenta lettere che qui si pubblicano, allo scopo sia di far conoscere
nel Mezzogiorno l'attività del Centro (e soprattutto di richiamare
su questa attività l'attenzione degli studiosi meridionalisti)
sia di contribuire in qualche modo alle celebrazioni, che quest'anno
si vanno realizzando (nel centenario della nascita), della personalità
e dell'opera di quell'illustre intellettuale meridionale che fu Tommaso
Fiore.
Queste lettere non costituiscono, certamente, l'intero carteggio che Dorso e Fiore si scambiarono, ma solo quanto si è riusciti sinora a raccogliere di esso; c'è da augurarsi, perciò, che la pubblicazione di questi importanti documenti stimoli chi può farlo a ricercare altre lettere e a metterle a disposizione del Centro, perchè la pubblicazione del Corteggio dorsiano possa risultarne, quando sarà possibile realizzarla, più ricca e più completa (se di completezza si può mai parlare in simili operazioni). Ed io, nel presentarle, non mi propongo (né potrei farlo, per la brevità del tempo e dello spazio editoriale a disposizione) di dare un'interpretazione esaustiva dei materiali che qui si presentano (altri potranno e dovranno farlo, quando ne saranno a conoscenza): intendo solamente sottolineare alcuni dati culturali che mi sembra possano offrire spazio alla riflessione critica. Le trenta lettere coprono l'arco di tempo di un ventennio (1926-1946) che va dal consolidarsi del fascismo in Italia alla secondo guerra mondiale e all'immediato dopoguerra, e rivelano nei due corrispondenti due grandi esponenti dell'antifascismo meridionale (o, meglio, del meridionalismo antifascista), che sono costretti a vivere via via sempre più in solitudine le tragedie di quegli ,anni (dittatura e guerra) e poi, appena la situazione lo consente loro, si impegnano con tutte le forze a costruire gli strumenti del riscatto meridionale.. Più precisamente, esse si possono accorpare in tre gruppi: 1) le prime quattro (tutte di Dorso a Fiore) sono del 1926 e si riferiscono alla pubblicazione della Rivoluzione Meridionale e agli umori con cui essa fu accolta nei diversi ambienti culturali e politici dell'Italia di allora; 2) altre tre (di Fiore a Dorso) sono degli anni 1941-42 (cioè del periodo della guerra); 3) le rimanenti (di Fiore a Dorso e di Dorso a Fiore) appartengono agli anni dell'immediato dopoguerra (1944-46). L'importanza del primo gruppo (pur così esiguo) colpisce subito, soprattutto per la polemica che Dorso vi sostiene con "quei signori di lassù" che non prendono posizione, con la rivista "Quarto Stato" di Carlo Rosselli ("un Aventino culturale, più grande e più nobile di quello politico.... ma non un gruppo omogeneo, con idee organiche, e soprattutto con una vera e propria impostazione meridionale") e col "pentolone milanese" in genere ("mi sento trascinato a fare l'apologia di Fra' Diavolo pur di non dar ragione ai filosofi che, anche quando sono in buona fede, ragionano, sempre in funzione di particolarismo nordico"). Ma colpisce anche l'amarezza provocata dall'incomprensione ("Per fare una polemica bisogno essere in due, ed io mi sento in un deserto. Mi avessero almeno accusato di separatismo!") e la ferma riaffermazione di un "neo-unitarismo" che vuoi contrapporsi alle "insufficienze dell'unitarismo storico". E mi sembrano degne di rilievo ancora due cose: 1) l'interesse che Dorso mostra per il pensiero della Destra storica "o, per meglio dire, di quegli uomini della Destra che ebbero velleità regionaliste" (Spaventa, Jacini, Minghetti, Sonnino, Franchetti e G. Fortunato, che "non appartenne alla destra.... ma mutuò molte idee dai migliori uomini di quel partito"); 2) la difficile posizione in cui egli in quel momento si colloca nello scontro tra fascismo e antifascismo ("Il fascismo, profittando degli errori avversari, ha monopolizzato la conquista regia, utilizzando tutte le forze storiche che la sostengono, ed impedisce ogni tentativo di strappargli il terreno conquistato ... ; gli oppositori, invece, non vogliono fare l'unica politica possibile: la lotta contro l'unitarismo storico, e si bamboleggiano tra i rimpianti costituzionali e gli isterismi rivoluzionari"). il secondo gruppo evidenzia come, per rompere l'isolamento in cui il fascismo e la guerra li aveva costretti, i due meridionalisti (pur nel pieno della guerra) si alimentassero di studio (cfr. quanto Fiore scrive a proposito dei libri di cui Dorso ha bisogno) e conferma come la loro amicizia intellettuale e politica si fosse ormai fatto più calda, vorrei dire piú umana ("con gli anni tu diventi più affettuoso, segno, caro mio, che ci facciamo vecchi", scriveva Fiore, e subito aggiungeva: "nella speranza che ancora si fabbrichino costò i vostri fusilli"; e alcuni mesi dopo annotava: "L'altro Guido [Macera] mi dice che sei prossimo a diventare padre. Auguri infiniti" oppure maschilisticamente: "aspetto che tu mi comunichi la nascita del messia"). Il terzo gruppo di lettere è il più numeroso e il più complesso, perchè abbraccia un periodo (1944-46) in cui l'impegno intellettuale e politico dei due si fa più intenso, in relazione alle tante importantissime vicende che caratterizzano la storia politica e sociale di quegli anni: il problema del governo e l'aspro contrasto che divise le forze dell'antifascismo fra collaborazionisti e no; il difficile rapporto fra Dorso e il Partito d'Azione ("è stato Rosselli a venire sul mio terreno e non viceversa"); la battaglia politica sulla stampa quotidiano e periodica (il "Nuovo Risorgimento" e "Acropoli", in particolare); la nascita de "L'Azione" e l'impegno che il suo direttore vi profonde; le elezioni dell'Assemblea Costituente e la sconfitto di Dorso. Dall'insieme delle lettere, inoltre, risulta evidente come Dorso e Fiore, uomini della "provincia" in tempi in cui i rapporti culturali e intellettuali non erano certo facili come oggi, riuscissero sempre a collegarsi (direttamente o indirettamente) con la cultura più viva di quegli anni: i nomi di Gobetti e di Rosselli, di Fortunato e di Croce, di Gramsci, di Missiroli e di tanti altri ricorrono con un sentimento quasi familiare dimostrando che la solitudine, in cui per anni i due furono dalla sorveglianza fascista costretti a vivere, fu solo un fatto fisico (conseguenza delle condizioni politiche) e mai una caratteristica della loro cultura. Il rapporto di Dorso con Fortunato si presenta, tra gli altri, di particolare interesse: sia quando Dorso riferisce della sua assiduità in casa Fortunato a Napoli, sia quando lascia intravedere come lo abbia fatto meditare l'idea di quel "pessimismo" attribuitogli (certo affettuosamente) dall'anziano amico, sia quando (e lo fa spesso) sente il bisogno di esprimere la sua ammirazione per un uomo che ai problemi meridionali ha dedicato una intera vita, sia quando, infine, comunica la sua intenzione di "scrivere un profilo su di lui". Un'altra caratteristica del modo in cui Dorso e Fiore si pongono come intellettuali è costituita dal loro sentirsi distintamente "diversi", portatori, cioè, di un'intuizione che è, in un certo senso, totalizzante e non ammette possibilità di compromessi: la polemica, per esempio, con "quei signori di lassù" mira, prima che ad altri, al Carlo Rosselli e al Pietro Nenni di "Quarto Stato". Ma quando i due sono costretti dall'evolversi rapidissimo delle cose a misurarsi con la realtà, la situazione sembra in qualche modo cambiare; e ne è un esempio il difficile e tormentato rapporto che essi vengono via via stabilendo con i comunisti italiani, passando da un atteggiamento di anticomunismo pregiudiziale ed elitario ad uno stato d'animo che è quanto meno d'incertezza e di dubbio. Fiore, per esempio, quando Dorso scrive nel 1944 una lettera a "Rinascita", esprime sui comunisti italiani e sulla loro rivista ideologica giudizi molto netti e molto duri (i comunisti sono "soldati di Stalin" e "Rinascita" è una rivista "veramente meschina", ecc.); ma, quando (appena un anno dopo) lo sfondamento "meridionalista" nel Sud non si presenta né facile né a portata di mano, sarà lo stesso Fiore a scrivere: "Un mio articolo Il pericolo è a destra - un attacco al trasformismo demoliberale - ha trovato molti consensi nelle masse. Si può fare una politica in Italia contro i comunisti? / Come vedi, caro il mio vecchio, siamo sempre daccapo, e il mito anticomunista opera sempre, il mito di Mussolini". Si ha l'impressione,, così, che di tanto in tanto si affacciasse in Fiore (e forse anche in Dorso) il dubbio che il Sud potesse rivelarsi, in quella particolare contingenza storica, non la polveriera capace di cambiare il corso della storia italiana (così come si era venuto configurando con la "conquista regia"), ma una nuova Vandea che qualcuno avrebbe cercato di utilizzare per neutralizzare il "vento del Nord". E non è un caso che, in una delle ultime lettere, T. Fiore, di fronte al dilagare del "qualunquismo" nel Sud e quasi anticipando l'esplodere del laurismo, acutamente osservasse: "La situazione presente ha del paradossale: da una parte la repubblica ormai sicura, dall'altra l'affermazione dei qualunquisti quaggiù, e poi, per aggiunta, questa mania meridionalistica di tutti. Se effettivamente gli altri fossero capaci di agire nel nostro senso, ci sarebbe da rallegrarsene! Ma anche i monarchici pare si decidano a fare dell'autonomismo separatistico, per accrescere la confusione". Non mancherà, certo, chi affronterà con una più larga documentazione il problema delle cause di una sconfitta, che fu la sconfitta non di alcuni sognatori, ma della nascente democrazia italiana. Il discorso, del resto, è già avviato, come dimostra quanto sinora è stato scritto sia su Dorso sia su Fiore.. Il Centro di Ricerca
"G. Dorso" di Avellino (via gen. Berardi, 11 - c.a.p. 83100),
sorto (con atto del 27 nov. 1978) da un accordo tra la famiglia Dorso,
la Fondazione Feltrinelli, il FORMEZ, la Regione Campania, l'Amministrazione
Provinciale e il Comune di Avellino, si propone: |
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