Anno 1828. A Napoli,
nelle Grotte delle Fontanelle, si riunisce lo stato maggiore della
"Bella società riformata". Al cospetto del capo della
camorra è un giovane malvivente che chiede di essere ammesso
nella confraternita. Provocato dagli anziani camorristi (secondo un
preciso rituale), il postulante risponde, dimostrando di essere all'altezza
della situazione. Prima di essere ufficialmente accolto nell'organizzazione,
però, dovrà battersi in duello con un anziano camorrista,
fino a ferirlo a sangue. Poi, si festeggia in una trattoria fuori
mano. Intorno al tavolo, i capi della camorra, le loro donne, il picciuotto,
e un personaggio di grande rispetto. Lo chiamano "eccellenza".E'una
persona di ben altro livello sociale, un gran protettore, uno di quei
personaggi che addirittura abitano a Palazzo Reale, come Michelangelo
Viglia, valletto di Francesco I, che insieme con sua moglie, Caterina
De Simone, cameriera personale della regina, ha creato una vera e
propria succursale della "bella società", specializzata
nella vendita dei favori. E di tutto questo il sovrano sembra non
avvedersi. Nel febbraio 1826, monsignor Olivieri, educatore dei principini,
scorge l'"eccellenza" a colloquio col re, e denuncia i suoi
rapporti con la camorra. Parole al vento. Le connivenze col potere
politico sono troppo strette per poterle troncare con successo.
Carcere di Santa Maria Apparente. Giugno 1849. Salvatore De Crescenzo,
detto Tore e Criscienzo, è un feroce e potente camorrista che,
anche tra le sbarre, tira i fili dell'organizzazione. Nel suo stanzone,
dov'è servito da numerosi camorristi, è fatto entrare
anche un detenuto politico, Luigi Settembrini. Tore, umile d'origine,
senza istruzione, ma dotato di pronta intelligenza, intuisce imminenti
mutazioni politiche e prevede che i liberali, ora deportati, saranno
i governanti di domani. Il camorrista decide di guadagnarsi la simpatia
e la fiducia di Settembrini, ma lo scrittore respinge qualsiasi forma
di rapporto, anche se i liberali più tardi non esiteranno ad
accostarsi anche alla camorra per far cadere i Borboni.
Due mesi dopo l'incontro tra Settembrini e De Crescenzo, Gennaro Sambiase,
duca di Sandonato, nobile figura di rivoluzionario, si incontra con
alcuni esponenti della "bella società riformata"
in un sordido locale presso piazza Carlo III.
Ma l'intesa sfuma.
Undici anni più tardi, però, il 27 giugno 1860, mentre
Garibaldi si avvicina a Napoli e Francesco Il è riparato a
Gaeta, il ministro di polizia Liborio Romano ricorre scopertamente
e decisamente alla camorra per fronteggiare il vuoto dei poteri e
per evitare violenze, disordini, saccheggi. Liborio Romano, infatti,
mobilita la "bella società" e dà incarico
al suo capo, De Crescenzo, di costituire addirittura un nuovo corpo
di polizia, la "guardia cittadina", col compito di imporre
l'ordine alla mala napoletana. La "guardia" non veste alcuna
uniforme, ha solo inalberato una coccarda tricolore sul cappello.
Il piano di Liborio Romano è attuato. La camorra diventa padrona
di Napoli e assicura il passaggio dai Borboni ai "piemontesi".
L'unificazione d'Italia è quasi completata, manca solo Roma.
A Napoli si è presto capito da chi è formata la "guardia
cittadina", e Silvio Spaventa, nuovo Ministro dell'Interno, ritira
le coccarde e manda a casa i camorristi. De Crescenzo e la sua organizzazione
abbandonano l'attività di "polizia", ma non quella
di camorristi. Allora sembra che lo Stato abbia deciso di dichiarare
guerra alla criminalità organizzata. Per ottenere risultati
decisivi, il questore di Napoli, Aveta, assolda uomini d'ogni risma,
e tra questi un temutissimo guappo, Nicola Ajossa, al quale attribuisce
il ruolo di delegato. De Crescenzo continua la sua opera di taglieggiatore:
al Ponte della Maddalena, contadini e artigiani sono costretti a pagare
le tangenti. Un mattino del luglio 1862 Ajossa si reca al ponte e
sfida il capo della camorra. All'alba del giorno seguente, il duello:
Ajossa ha ragione dell'avversario, e lo conduce in carcere. Ma anche
il tramonto del delegato è vicino: sarà gettato in carcere,
dove finirà i suoi giorni.
1890: comincia l'esodo verso le Americhe. La "bella società"
ora sfrutta e taglieggia gli emigranti. Capo della camorra è
Francesco Cappuccio, detto Ciccio. La camorra continua a riunirsi
nelle grotte e lì tiene il suo implacabile tribunale.
Agosto 1893: ad Aigues Mortes, in Francia, sette operai italiani sono
uccisi negli scontri con alcuni compagni francesi. l'atteggiamento
delle autorità e della stampa transalpine irrita e poi indigna
l'Italia. Tra i due Paesi i rapporti sono già tesi e Giolitti,
Presidente del Consiglio, chiede alle questure e alle prefetture di
organizzare manifestazioni antifrancesi. A Napoli, però, la
protesta passa il segno. La violenza si scatena. Esercito e Carabinieri
sono impotenti. Un parlamentare napoletano suggerisce l'idea: affidare
alla camorra il ritorno all'ordine. la storia si ripete. La "gran
mamma", ancora una volta al servizio del potere, obbedisce.
22 ottobre 1900. Tribunale di Napoli. L'onorevole Casale ha querelato
il giornale napoletano La propaganda per diffamazione: per mesi il
foglio socialista lo ha accusato di essere uno dei protettori della
camorra. Nel corso del dibattimento, la figura equivoca di Casale
emerge sempre più, tanto che all'ultima udienza il Pubblico
Ministero, invece di scagliarsi contro gli imputati, lancia i suoi
strali verso il parlamentare, facendo sue le tesi del giornale. I
giornalisti vengono assolti. Casale è costretto a dimettersi.
Intanto a Roma l'eco del processo e le continue accuse che in Parlamento
lanciano i deputati napoletani onesti sulle collusioni tra camorra
e un certo potere politico, portano alla costituzione di una commissione
d'inchiesta, presieduta dal senatore Saredo. L'inquirente accerterà
gravi connessioni con la malavita e numerosi episodi di malcostume.
La relazione ha un capitolo interamente dedicato alla stampa cittadina:
Eduardo Scarfoglio, direttore del Mattino, e sua moglie, Matilde Serao,
sono i bersagli preferiti. I risultati dell'inchiesta provocano un
drammatico dibattito della Camera tra il 9 e il 16 dicembre 1901.
Tema di fondo: la "questione meridionale" e l'incidenza
della criminalità organizzata. Lo apre il deputato Napoleone
Colajanni. Quel dibattito, ancora oggi, è aperto.
Gennaio 1944. Napoli vive i giorni della liberazione. Miseria e fame,
speranze e disperazione sono le componenti della vita quotidiana.
Alla testa del "Governo Militare Alleato" che amministra
la Campania e la Puglia é l'italo-americano Charles Poletti;
al suo fianco, come uomo di fiducia, un napoletano dal passato turbinaso,
Vito Genovese. Ricercato dalla polizia americana per omicidio, Genovese
era rientrato in Italia nel 1939 e si era stabilito a Napoli. I suoi
rapporti col fascismo erano stati molto stretti (nel 1935, ad esempio,
aveva inviato dall'America 250 mila dollari per la costruzione della
Casa del Fascio di Noia). Secondo alcune testimonianze, Genovese sarebbe
stato addirittura l'organizzatore dell'omicidio dell'antifascista
Carlo Tresca, che su un giornale americano scriveva articoli infuocati
contro Mussolini. Secondo altri, Genovese sarebbe stato compensato
con la somma di 500.000 dollari. Una cosa è certa: una volta
riparato in Italia, il fascismo lo protesse contro il rischio di un'estradizione
negli Stati Uniti. E quando gli alleati entrarono in Napoli, adeguandosi
ai tempi, Genovese si mise a loro disposizione.
Poletti, fra l'altro, incaricò Genovese di condurre un'inchiesta
amministrativa nei confronti di un sindaco sospettato di contrabbando.
Proprio in quei giorni, un agente della Criminal Investigation Division
giunse a Napoli per indagare su certe connivenze tra malavita locale
e militari americani. Il 17 maggio 1945, con uno stratagemma, e vincendo
le resistenze dei protettori dei gangster, l'agente portò Genovese
a New York in stato d'arresto. Ma l'unico teste d'accusa morì
in carcere, avvelenato. Cominciò così l'ascesa di Genovese
negli alti gradi della mala americana. l'antica camorra si trasformò,
i suoi collegamenti con la mafia e col potere politico-economico divennero
internazionali, le attività "d'investimento" furono
orientate verso la droga. Da allora, la cronaca e la storia di una
tragedia dei nostri giorni.
"FRIENO"
DELLA SOCIETA' DELL'"UMIRTA'"
Articolo 1
La società dell'umirtà o bella società rifurmata
ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo
scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente
che materialmente.
Articolo 2
La società si divide in maggiore e minore: alla prima appartengono
i compagni cammurristi ed alla seconda i compagni picciuotti ed i
giovinotti onorati.
Articolo 3
La società ha la sede principale in Napoli; ma può avere
delle categorie anche in altri paesi.
Articolo 4
Tanto i compagni di Napoli, che di fuori Napoli, tanto quelli che
stanno alle isole o sotto chiave o all'aria libera debbono riconoscere
un sol capo, che è il superiore di tutti e si chiama capintesta,
che sarà scelto fra i cammurristi più ardimentosi.
Articolo 5
La riunione di più compagni commurristi costituisce la paranza
ed ha per superiore un caposocietà.
Articolo 6
La riunione di più compagni picciuotti o di giovinotti onorati
si chiama chiorma e dipende anche dal caposocietà dei compagni
cammurristi.
Articolo 7
Ciascun quartiere deve avere un caposocietà o capintrito, che
sarà, per votazione, scelto fra i commurristi del quartiere
e resta in carica un anno.
Articolo 8
Se fra le paranze vi fosse qualcuno di penna, allora, dietro parere
del capintesta e dopo un sacro giuramento, sarà nominato contajuolo.
Articolo 9
Se tra chiorme vi fosse qualcuno di penna, allora dal picciuotto anziano
del quartiere sarà presentato al capintrito dal quale dipende
e, dietro sacro giuramento, sarà nominato contajuolo dei compagni
picciuotti; ma se non si trovasse, allora il contajuolo delle paranze
farà da segretario anche nelle chiorme.
Articolo 10
I componenti delle paranze e delle chiorme, oltre Dio, i Santi e i
loro Capi, non conoscono altre autorità.
Articolo 11
Chiunque sbelisce cose della società sarà severamente
punito dalla mamme.
Articolo 12
Tanto i compagni vecchi che quelli che si trovano alle isole o sotto
chiave debbono essere soccorsi.
Articolo 13
Le madri, le mogli e le figlie e le 'nnamurate dei cammurristi, dei
picciuotti e dei giovinotti onorati debbono essere rispettate sia
dai soci che dagli estranei.
Articolo 14
Se, per disgrazia, qualche superiore trovasi alle isole, deve, dagli
altri dipendenti, essere servito.
Articolo 15
Quattro cammurristi sotto chiave possono fra loro scegliersi un capo,
che cesserà di essere tale non appena tocca l'aria libera.
Articolo 16
Un socio della società maggiore, per essere punito, dovrà
essere sottoposto al giudizio della gran mamma. Un socio della società
minore sarà condannato dalla piccola mamma. Alla gran mamma
presiede il capintesta e alla piccola mamma il capintrito o caposocietà
del quartiere di chi deve essere condannato.
Articolo 17
Se uno delle chiorme offendesse qualche componente delle paranze,
il paranzuolo si potrà togliere la soddisfazione da sé.
Avverandosi l'opposto, ne dovrà essere informato prima il capintesta.
Articolo 18
Il dichiaramento si farà sempre dietro parere dei caposocietà,
se trattasi di picciuotto o di giovinotto onorato, e dietro parere
dei capintesta, se di cammurrista. Ai vecchi e agli scurnacchiati
sarà vietato di zumpà.
Articolo 19
Per essere cammurrista o ci si arriva per novizio o per colpo.
Articolo 20
Chi fu compricato in qualche furto o vien riconosciuto come ricchione
non può essere mai capo.
Articolo 21
Il capintesta si dovrà scegliere sempre fra le paranze di Porta
Capuana.
Articolo 22
Tutte le punizioni delle mamme si debbono eseguire nel termine che
stabilisce il superiore e dietro il tocco.
Articolo 23
Tutti i cammurristi e picciuotti diventano, per turno cammurristi
di jurnata.
Articolo 24
Quelli che sono comandati per esigere le tangende le debbono per intero
ai superiori. Delle tangende spetta un quarto al capintesta ed il
resto sarà versato nella cassa sociale a scopo di dividerlo
scrupolosamente fra i compagni attivi, fra gl'infermi e quelli che
stanno in punizione per sfizio del Governo.
Articolo 25
I pali, nella divisione del baratto, debbono essere trattati ugualmente
come gli altri della società.
Articolo 26
Al presente frieno, secondo le circostanze, possono essere aggiunti
altri articoli.
Napoli, 12 settembre
1842
Il contajuolo
Francesco Scorticelli
GLOSSARIO DELLA
CAMORRA
Allitterato =
Chi sa leggere e scrivere. Lo è il contajuolo, scrivano contabile
della paranza.
Annasà 'o pullastro = Accertare se la vittima sia facile da
aggirare.
Appaurare = Spaventare
Auciello 'ngaiola = Detenuto
'A zia Giustina = La giustizia
Bajaffa = Pistola
Carrubbe = Carabinieri
Carte di stracolla = Carte da gioco
Copuotico =Testimone anziano del duello
Cincofrunne = Schiaffo
Cucuzziello = Un mese di carcere
Cucuzzone = Un anno di carcere
Dichiaramento = Sfida a duello
'E cancelle = Il carcere
Frieno = Codice, regolamento
Codice = regolamento
Gancio = Borseggio
Gatto = Delegato di polizia
Giovinotto onorato = il primo gradino della gerarchia della camorra
Granelle = Denaro
Guappo = Uomo temuto e rispettato. Ma, a differenza del camorrista,
non fa parte di una precisa organizzazione di malavita.
Mammasantissima = Il capintesta della camorra, quando funge da presidente
del tribunale della onorata società
Momma Schiavona = La Madonna di Montevergine
Mannà a Pocereale = Ammazzare
Martino = Pugnale
Nu viuggio 'a fora 'o mare = Condanna all'ergastolo (alle isole)
Ommo pusitivo = Uomo coraggioso, di carattere
Pachiochio = Derubato
Palomma = Messaggio in codice, inviato dal carcere.
Paranza = Cellula di camorristi. A Napoli erano dodici, una per quartiere.
Pecora zoppa = Truffatore
Primera = Morte
Prubbechella = Agente di pubblica sicurezza
Pugnetura = Scalfittura; ma anche tatuaggio
Scartiloffio = Furto con destrezza
Sgarro = Tradimento; violazione del frieno
Strummolo = Trottola, usata spesso per scegliere il sicario
Svelire = Rivelare
Tagliente = Coltello
Turallucce e vino = Lieto fine, inatteso e a sproposito
Tenere mosca in bocca = Custodire il segreto
Vavusiello = Magistrato