Introduzione
Il territorio dell'antico Regno di Napoli, con i suoi mille e cinquecento
chilometri di costa, ha sempre offerto abbondanti tratti di eccezionale
bellezza naturale in tempo di pace, ma anche numerose preoccupazioni
per i responsabili della sua difesa in tempo i guerra. Le moltissime
torri che ancora oggi punteggiano il litorale dell'Italia Meridionale,
ne sono una chiara testimonianza.
In questa prima parte del lavoro metteremo in evidenza solo alcuni aspetti
riguardanti l'ideazione e la realizzazione del gigantesco sistema difensivo
costiero.
L'esigenza di creare una linea di protezione contro i nemici provenienti
dal mare (turchi, barbareschi, corsari e avventurieri d'ogni specie)
era già stata avvertita da Normanni, Svevi e Angioini, i quali
avevano affrontato il problema, senza tuttavia risolverlo, mediante
la costruzione di castelli e torri in difesa dei centri abitati.
Nel sec. XVI l'Imperatore Carlo V (1519-1559) concepì un piano
grandioso per la difesa sistematica delle coste. In verità proprio
in quel tempo l'orda turca e piratesca si abbatteva con molta frequenza,
facendo scempio delle terre e popolazioni del Regno. Per fronteggiare
con mezzi adeguati incombente pericolo, il Vicerè di Napoli,
Don Pietro di Toledo, ordinò di costruire su tutti i punti della
costa torri, una in vista dell'altra, in modo da costituire, nell'insieme,
una continua e ininterrotta serie di fortificazioni, che tuttavia solo
in minima parte furono allora costruite.
Successivamente il Vicere Don Parafan di Ribera o Pietro Afan di Ribera,
Duca d'Alcalà (1559-1571), dette un assetto quasi definitivo
alla barriera protettiva verso il mare, grazie alla intelligente collaborazione
del Preside della Regia Camera della Summaria, Alfonso Salazar, il quale,
a sua volta, si avvalse dell'opera dei migliori architetti del tempo:
Benvenuto Tortelli, Tommaso Scala, Giacomo Cantieri e il leccese Paduano
Schiero.
Nel 1590 il numero complessivo delle torri marittime era di 339, di
cui 66 sorgevano in Terra d'Otranto. Finalmente nel 1748, sotto la reggenza
di Carlo III di Borbone, l'opera fu completata, e le torri raggiunsero
il numero di 379, delle quali 80 circondavano la costa salentina, creando
nello stesso tempo un contorno ancora oggi suggestivo dell'intero territorio.
Nella mente dei responsabili politici tali costruzioni volevano essere
un sistema perfetto di protezione della costa contro vari pericoli,
in particolare pirati, contrabbandieri, appestati ecc.; ma, alla resa
dei conti, esse non sono servite ad evitare guai alla nostra regione,
se si pensa che turchi e corsari sono venuti a derubare le nostre popolazioni
quando e come hanno voluto (1). D'altra parte il previsto piano completo
delle torri costiere fu eseguito interamente solo nel 1748, quando,
cioè, quasi esauritosi il triste fenomeno delle invasioni turche,
si verificavano solo incursioni ad opera di pirati e briganti addirittura
indigeni della zona, i quali, senza eccessiva difficoltà, assalivano
e derubavano le navi addette al trasporto delle merci e, di tanto in
tanto, anche i centri abitati in prossimità del mare.
Vari sono stati i motivi che hanno concorso a non rendere efficiente
un sistema strategico che sulla carta poteva sembrare eccellente e infallibile.
Prima del 1748, anno in cui fu completata la gigantesca muraglia costiera,
le varie regioni, ma in particolare il Salento, bagnato da tre lati
dal mare, sono rimaste sempre vulnerabili in qualche tratto della costa
per la intempestiva costruzione dell'intera rete di presidi marittimi.
Nella costruzione delle varie fortificazioni, poi, non furono osservate
le disposizioni impartite dagli ingegneri regii e spesso furono commesse
delle vere e proprie frodi a danno dello Stato e della sicurezza della
regione, nonostante la nomina di speciali Commissari per la sorveglianza
durante la fabbrica e per il collaudo finale. Le frodi più comuni
erano: la costruzione di muri vuoti, il cattivo impasto della calce,
l'impiego dell'acqua di mare ecc.
Ma anche quando il problema della costruzione della torre era risolto
nel migliore dei modi, rimaneva spesso di difficile soluzione il problema
dei guardiani che assicurassero una continua ed efficace vigilanza.
Si trattava, per ogni torre, del caporale, quasi sempre di origine spagnola
e nominato direttamente dal Vicerè, dei compagni terrieri e dei
cavallari, di numero proporzionato all'importanza strategica della zona.
Infatti, non potendo essere sorvegliati, perchè dislocati generalmente
in posti impervi, costoro difficilmente facevano fino in fondo il loro
dovere. La paga ai medesimi, poi, gravava in buona parte sulle deboli
e povere Università dell'immediato entroterra, che non sempre
erano in grado di pagare l'importo. Per tutti questi motivi talvolta
i guardiani delle torri, male o per nulla retribuiti, nonostante alcuni
privilegi loro accordati, come l'esenzione fiscale, o erano assenti
o si rifiutavano di presidiare le torri avanzate o compivano vere malefatte
passando dalla parte del nemico e dividendo con esso il bottino.
Le Università, cui era imposto l'obbligo di pagare il soldo ai
torrieri e di provvedere di munizioni gli avamposti marittimi, d'altro
canto, oberate da un'infinità di pesi fiscali e balzelli, ben
volentieri si rifiutavano di assolvere l'impegno economico, nonostante
le proteste delle autorità militari. Le medesime, infatti, prestavano
maggiore cura alla difesa immediata della propria città, mediante
muri di cinta ben capaci, porte robuste all'entrata dell'abitato, vedette
di avvistamento sulle torri campanarie, senza trascurare la preparazione
e l'armamento di una squadra di cittadini atti alle armi per fronteggiare
adeguatamente il pericolo turco che di tanto in tanto, nonostante tutto,
giungeva minaccioso in prossimità dei centri urbani.
Anche le masserie, che generalmente si trovavano fuori l'abitato e non
di rado nelle vicinanze del mare, ebbero la medesima preoccupazione,
diventando al contempo delle piccole fortezze pronte a contrastare le
incursioni piratesche. Alla stessa stregua si regolarono le Abbazie,
i grandi monasteri e gli importanti Santuari allogati in aperta campagna
o posti sulle dolci colline della Regione.
Terminando questa breve sintesi introduttiva al fenomeno dei e torri
costiere, ci piace avanza e dei' legittimi dubbi sulla validità
del poderoso piano difensivo. In sostanza, l'opera della costruzione
delle torri, voluta nel Regno di Napoli dalla reggenza dei Vicerè
nel sec. XVI, fu un'opera salutare per le popolazioni meridionali? Oppure
fu un'opera coreograficamente bella a vedersi, ma militarmente molto
lacunosa? A questo proposito ricordiamo le critiche mosse da ingegneri
e strateghi militari alla Regia Camera, perchè offrisse agli
incaricati delle torri, coordinandolo opportunamente, l'aiuto di un'adeguata
marineria, che purtroppo fu sempre negata, e l'appoggio di sicure basi
navali, che non ci furono mai. Sarebbe sufficiente confrontare il progetto
del 1567 di difendere le coste del Regno, mediante veloci e ben attrezzate
galee, e il diniego opposto dalla Regia Camera di Napoli (2).Concludendo
il suo studio sulle fortificazioni marittimi, lo studioso Onofrio Pasanisi
così si esprime: "La verità è che l'opera
fu decisa dal momento che venne decisa ed iniziata tardi, quando cioè
il periodo delle grandi incursioni era trascorso e dopochè privati,
feudatari, opere pie, università ebbero ricorso coi propri mezzi
alle opere di difesa e di fortificazione della costa, e si protrasse
per mancanza di denaro, inerzia della Regia Corte, frodi e liti dei
partitari sino al secolo seguente, quando la potenza marittima ottomana,
fiaccata da strepitose vittorie navali degli occidentali, cominciava
già lentamente a declinare. Sicchè risultò quale
realmente fu: un'opera grandiosa che richiese tanta parte di sacrificio
delle nostre popolazioni, da servire sì, per contenere le piccole
incursioni, che non cessarono di molestare mai il nostro litorale sino
a tutto il secolo XVIII, ma anche per reprimere il contrabbando o come
cordone sanitario contro la peste" (3).
Le sette scolte
a guardia di Gallipoli
Il Salento non finisce mai di stupire l'attento osservatore per la
singolare configurazione geografica, per le bellezze naturali in esso
racchiuse, per le abbondanti e preziose testimonianze di antiche e
recenti civiltà che qui ebbero dimora. Se a cavallo di aliante
sorvolassimo la Regione Salentina, facendoci trasportare dalle correnti
del cielo lungo i bizzarri confini tra la terra ferma - a volte brulla
arida e rocciosa, a volte pianeggiante e sabbiosa - e la massa delle
acque straordinariamente limpide dal colore verde-azzurro, sembrerebbe
di trovarci di fronte ad un enorme fiore esotico adagiato misteriosamente
sul mare.
Non so se vi sia mai capitato di osservare un fico d'india quando,
nell'incipiente autunno, i fiori' o meglio i frutti maturi, circondano
il perimetro delle verdi superfici creando una ghirlanda incantevole.
Per molti aspetti la nostra regione, col suo antico sistema di torri
lungo il litorale, autentica cornice di coralli luccicanti al sole,
assomiglia ad un gigantesco fico d'india ricoperto del prelibato frutto,
ma in possesso pure di un folto sistema di pungiglioni atti alla difesa
contro ipotetici nemici.
Molti storici si sono interessati delle torri costiere salentine e
hanno prodotto studi approfonditi sulla scorta di documenti d'archivio
(4). A questi lavori rimandiamo il lettore che intenda rendersi maggiormente
edotto sull'argomento. A noi interessa esaminare, con la maggiore
dovizia di particolari storici e descrittivi, le torri e le località
che con un solo sguardo si possono ammirare dalla incantevole città
di Gallipoli.
Il tratto di spiaggia preso in considerazione costituisce un gigantesco
numero TRE rivolto ad occidente che, iniziando da Torre Pizzo a sud
di Gallipoli, si prolunga fino a Torre S. Maria dell'Alto a settentrione
della medesima città, la quale segna il punto di congiunzione
delle due spettacolari anse o insenature marine. La costa interessata
misura circa 10 chilometri a sud e 10 chilometri a nord di Gallipoli;
nella parte meridionale essa presenta solo inizialmente un aspetto
frastagliato, mentre per il resto è adornata di una meravigliosa
sabbia dorata che rende piacevole la battigia; nella parte settentrionale
i tratti sabbiosi sono molto limitati, abbondando invece la scogliera
più o meno accentuata.
Si può tranquillamente affermare che, alla fine del XVI secolo
o al massimo nei primissimi anni del sec. XVII, le due grandi insenature
a destra e a sinistra di Gallipoli erano integralmente munite del
sistema difensivo torriero. Infatti non un metro di litorale doveva
sfuggire allo sguardo degli uomini d'arme preposti alla custodia delle
sette torri che noi ci apprestiamo a descrivere nell'ordine: Torre
Pizzo, Torre S. Giovanni La Pedata, Torre Sabea, Torre dell'Alto Lido,
Torre del Fiume o Quattro Colonne, Torre S. Caterina, Torre S. Maria
dell'Alto (5).
Effettivamente la scelta strategica dei posti, su cui furono costruite
poi le torri, fu ineccepibile ed il complesso sistema di avvistamento
e di difesa della zona, completato e coordinato dal presidio militare
e navale di Gallipoli, scoraggiò sovente i malintenzionati.
Tuttavia non sempre le postazioni funzionarono a dovere, in quanto
si deve registrare almeno qualche incursione turchesca a causa soprattutto
della poca diligenza dei torrieri e cavallari. Bisogna riconoscere
però che mai le autorità di Gallipoli, di Lecce e di
Napoli hanno trascurato di richiamare e, se necessario, esemplarmente
punire gli inadempienti.
Con l'ausilio di alcuni fogli, conservati nella Biblioteca Comunale
di Gallipoli e nell'Archivio di Stato di Napoli, siamo in grado di
confermare la continua preoccupazione delle autorità affinchè
il litorale fosse sempre custodito e difeso. Con data 10 aprile 1663
Don Giovanni Battista Monforte, Governatore della Provincia di Terra
d'Otranto, invia precise raccomandazioni alle autorità gallipoline
ed ai paesi del circondario:
"Essendo
la stagione tanto avanti per la quale qui dubitasi di alcune scorrerie
di corsari inimici di nostra Santa Fede, maggiormente per la vicinanza
che questa Provincia tiene col paese del Turco, conviene al servizio
di Sua Maestà e per la difesa dei suoi vassalli che le guardie
della marina di detta Provincia si facciano della dovuta vigilanza
e diligenza e che si mettano anche le guardie estraordinarie, conforme
al solito, ogni anno in questi tempi per maggiore custodia della marina.
Pertanto ordiniamo ai Magnifici Sindaci et Eletti che debbano mettere
le guardie suddette e che abbiano li requisiti da noi ordinati sotto
la data del 25 giugno 1661, cioè che siano persone abili e
idonee a tale esercizio e che non stiano attualmente al servizio di
alcuna persona, e che li cavallari habbino da portare la cornetta
per dare l'avviso nell'occorrente e un pezzo d'arme loro a fucile
non proibito dalla Regia Pragmatica, et che li cavalli siano loro
propri ed atti a scorrere di continuo la marina e ben guarniti di
sella, briglia e staffe, per darli avvisi necessari, cioè con
suono di trombetta avvisare alle torri, masserie e luoghi convicini
quando occorre una scoverta di sbarco di inimici. Se li torrieri scoprendo
vele inimiche faccino li segnali soliti et consueti, cioè di
notte col fuoco e di giorno con le fumate e sparo di cannone, mortaletti
e armi di fuoco che ciascuna torre tenesse secondo gli ordini che
provengono dalla Regia Camera. In caso di morte se ne eleggano altri
ugualmente capaci; se le Università non provvedono sono minacciate
dalla pena di ducati Mille da dare al Regio Fisco; se i singoli non
fanno il loro dovere sono ugualmente minacciati della pena di ducati
Cento da dare al Fisco e mesi 6 di carcere. Lecce 10 aprile 1663 "
(6).
Il primo maggio
1683 Don Gaspare de Arro e Guzman si lamenta perchè la marina
intorno a Gallipoli non è custodita, come pure si era stabilito,
a causa dell'inadempienza da parte delle terre convicine, nonostante
il rischio non remoto di un pericoloso sbarco turco. Si rivolge perciò
al Preside della Provincia di Terra d'Otranto perchè invii
precisi e rigorosi ordini al riguardo (7). Intorno al 1686, molto
probabilmente dopo che era già avvenuto lo sbarco dei Turchi
a "li Foggi" e a "Pietra Cavalla", le autorità
emettono energiche disposizioni perchè si prendano le misure
necessarie a scongiurare altri pericoli (8).
Infatti con un dispaccio del 10 giugno di quell'anno, a firma di Don
Gian Battista Pescara, si ordina al Preside di Terra d'Otranto:
"di recarsi
personalmente con alcuni altri soldati nella Terra di Casarano o dove
altro sarà necessario et astrengerete e farete astrengere iuris
et facti remediis opportunis il Sindaco ed Eletti, Cassiero ed altri
del governo di detta Università perchè eligano detto
cavallaro, che sia persona atta et abile et anco il cavallo che sia
proprio e mandarlo in detto Posto di Pietra Cavalla acciò scoprendosi
qualche vela inimica possa dar subito l'avviso, affinchè ogn'uno
si salvi, et in caso contrario procedere alla carcerazione di detti
Sindaco, Eletti ecc." (9).
Durante il secolo
XVIII le torri furono utilizzate soprattutto come posti di blocco
per i commerci di contrabbando e come cordone sanitario, quando vi
era il pericolo di contagio di malattie infettive, quali il colera,
la peste ecc. Tuttavia buona parte di esse continuarono ad essere
presidiate da uomini d'arme.
Agli inizi del secolo XIX, gli attacchi barbareschi alle navi in transito
e alle popolazioni dell'estremo meridione registrarono una sensibile
recruclescenza (10). Sicchè le autorità del Regno di
Napoli si preoccuparono di ripristinare l'efficienza delle torri costiere.
Dalla Sezione Militare dell'Archivio di Stato di Napoli, conservata
a Pizzofalcone, abbiamo raccolto importanti notizie sullo stato e
sulla funzionalità in quel periodo delle torri esistenti sulla
costa ionica di Gallipoli. In data 14 novembre 1814 il Ministro delle
Finanze ordinò ai Direttori del Genio Militare di formare i
progetti delle spese necessarie per la riparazione di ciascuna torre,
da eseguire a carico del Tesoro (11). Con Regia decisione del 29 giugno
1815, il Re di Napoli in persona nominò una Commissione, composta
di ufficiali di Artiglieria del Genio della Marina e Doganali, con
l'incarico di proporre al Supremo Consiglio di Guerra quali fossero
le Piazze, i Castelli, le Batterie e le Torri marittime del Regno
da conservarsi ed anche da costruirsi, se fosse necessario, tenuto
conto tuttavia che il Regno godeva un periodo di pace e che doveva
difendersi soltanto dagli insulti dei barbareschi (12). Il 10 agosto
dello stesso anno il maresciallo di Campo, Afan de Ribera, comunicò:
"Il travaglio
generale della Commissione per l'esame delle Piazze, Batterie e Luoghi
fortificati da conservarsi e moltiplicarsi se convengono; le coste
del Regno di Napoli, essendo abordabili quasi da per tutto, presentano
molti asili non solo per ricoverarsi i Legni del -commercio amico,
ma eziandio per nascondersi i Legni nemici soprattutto barbareschi
e corsari quali tagliano il cammino ai Legni di cabotaggio".
Con riferimento
alla costa ionica precisò:
"Dalla Punta
S. Vito (Taranto) a Gallipoli vi sono circa 50 miglia di spiaggia
in cui i bastimenti di commercio non avrebbero alcun ricovero se da
corsari venissero inseguiti. Per allontanare un tanto male credesi
idoneo armare le torri di Saturo, Salpale, Capo dell'Orso, Borace,
Columena di Cesaria, S. Maria dell'Alto".
Inoltre "essendo a Gallipoli un porto frequentatissimo si crede
per proteggerlo dai legni barbareschi sufficiente per la sua difesa
tenervi armati sei pezzi di cannone e disarmare gli altri".
Infine "lo spazio che rimane indifeso, da Gallipoli lungo tutta
la costa fino al Capo di S. Maria di Leuca, è di 30 miglia,
si stima garantirsi armandosi le torri del Pizzo, S. Sofino, Delli
Pali e del Marchiello; la Batteria detta di Uomo Morto che guarda
i due mari, protegge il porto e il cabotaggio, si stima armarsi con
cannoni di grosso calibro, togliendo quelli che vi sono non soddisfacendo
all'oggetto; la batteria detta di Leuca, essendo di molto elevata
e le sue offese poco efficaci, ci crede disarmarsi" (13).
La Dodicesima
Direzione del Genio di Taranto, il 25 febbraio 1820 inviò al
Ministero della Guerra e Marina un dettagliato rapporto militare sulle
condizioni delle torri situate lungo la costa jonica del Salento.
La Torre S. Maria dell'Alto era in pessimo stato e abbandonata, come
pure la Torre del Fiume, la torre Alto Lido e quella di S. Giovanni
della Pedata; la Torre di S. Caterina invece si conservava in buono
stato, era armata di un cannone e affidata alla Guardia Doganale;
la Torre Sabea fu trovata in cattivo stato di conservazione e in abbandono;
infine quella del Pizzo era in discreto stato e, con un pezzo di cannone
di servizio ed uno inutile, era affidata alla Guardia Doganale (14).
Per quanto riguarda la cronologia possiamo ritenere col Pasanisi che
la prima torre di avvistamento sul mare ad essere costruita nel circondario
di Gallipoli fu la Torre dell'Alto Lido (Arteligo de Galatola) intorno
al 1565 (15). Lo stesso Pasanisi, le cui testimonianze risultano estremamente
importanti poichè i documenti napoletani da lui consultati
sono scomparsi per incidenti bellici, afferma che nel maggio del 1568
si recò in Terra d'Otranto il Salazar in persona, accompagnato
dall'architetto Scala e dall'ingegnere leccese Paduano Schiero, e
dette a partito alcune torri della costa salentina. Nell'agosto del
1569 erano già costruite, secondo il Pasanisi, la Torre della
Punta di Gallipoli (Torre Pizzo), la Torre della Punta Sabea e quella
di S. Maria dell'Alto, giacchè un ordine del 10 settembre dispose
di munire le suddette tempestivamente con pezzi di artiglieria, unitamente
alle altre già terminate di Terra d'Otranto e di Bari (16).
Nel 1582 furono date a partito la Torre di S. Caterina (Nardò)
"per ricevere li avvisi da S. Maria dell'Alto e dalla Torre dell'Arteligo",
e inoltre la Torre di S. Giovanni della Pedata. Tuttavia il Pasanisi
non è in grado di affermare in quale anno effettivamente queste
ultime due costruzioni furono terminate, ma certamente non prima del
1608.
Il primo autore che, tra le altre cose degne di nota, compilò
un elenco di tutte le torri marittime del Regno di Napoli fu Scipione
Mazzella (17). Secondo tale autore, nella zona che interessa questo
studio, vi erano le torri dell'Arteligo, della Sapea, del Pizzo e
di S. Maria dell'Alto. Le medesime quattro torri vengono segnalate
dalla pubblicazione di Enrico Bacco Alemanno avvenuta a Napoli nel
1609 (18).
Sulla carta geografica a colori, eseguita a mano da Mario Cartaro
nel 1613 e oggi conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli, oltre
le quattro torri riportate da Mazzella e Alemanno, rinveniamo anche
quella di S. Giovanni della Pedata, a sud di Gallipoli, e le Torri
del Fiume e di S. Caterina, a nord della medesima città. Quindi,
almeno a partire da questa data, possiamo affermare che sul tratto
di marina, che con un solo sguardo si può ammirare dalla città
di Gallipoli, esistevano, come esistono ancora oggi, ben sette torri;
in ordine da sud a nord, le torri Pizzo, S. Giovanni della Pedata,
Sabea, Alto Lido, del Fiume, S. Caterina, S. Maria dell'Alto. L'atlante
manoscritto a colori della Biblioteca Nazionale di Bari, copiato integralmente
da quello del Cartaro ma eseguito con maggiore eleganza, segnala ugualmente
sette torri.
La cartografia dei Magini del 1620 invece ne riporta solo quattro,
omettendo S. Giovanni la Pedata, la Torre del Fiume di Nardò
e quella di S. Caterina. Infine una carta della Provincia di Terra
d'Otranto, facente parte della "Raccolta Piante e Disegni"
dell'Archivio di Stato di Napoli, ribadisce l'elenco completo delle
torri sul litorale gallipolino.
Se poi consideriamo le caratteristiche strutturali, possiamo dire
che il tratto di litorale, da noi preso in esame, ospita un campionario
degli stili più usati dagli architetti e ingegneri del tempo
nella costruzione delle torri costiere. Riscontriamo, infatti, due
torri tipiche del Regno, troncopiramidali, con tre caditoie per lato:
Torre Sabea e Torre S. Giovanni della Pedata; due torri circolari
troncoconiche di modeste dimensioni: Torre del Pizzo e Torre dell'Alto
Lido; due torri a pianta quadrata e base troncopiramidale della serie
di Nardò e tipo torre di masseria con scala esterna molto decorativa:
Torre S. Maria dell'Alto e Torre S. Caterina; infine è da annoverare
la originalissima Torre del Fiume o Quattro Colonne, un vero e proprio
fortino che oggi conserva solo i ruderi di quattro alti torrioni.
Origini e vicende
delle singole Torri
Torre Pizzo
Nelle antiche mappe è detta anche "del Cotriero o Catriero".
Secondo alcuni il termine deriverebbe dal greco "acroterion =
estremità". Si trova in feudo di Gallipoli, quasi ai confini
col territorio di Taviano, in località detta "ll Campo".
Posta a circa 50 metri di distanza dalla costa (in quel punto alta
circa 20 metri), domina una vasta area e custodisce una zona di mare
ancora incontaminata e straordinariamente affascinante. Nelle immediate
vicinanze sorge una masseria fortificata.
Per la forma cilindrica, secondo quanto afferma la studiosa M. Letizia
Troccoli Verardi, potrebbe risalire al tempo del Vicerè D.
Pedro di Toledo, cioè nella prima metà del '500. E'
documentato che funzionava perfettamente nel 1569, sotto la denominazione
"Punta di Gallipoli" (19).
Nel 1579 la torre fu oggetto di una disputa legale tra le Università
di Taviano e di Gallipoli. Sebbene essa sorgesse in territorio di
Gallipoli, tuttavia era molto vicina all'abitato di Taviano; sicchè
Gallipoli, già oberata da tante responsabilità militari,
insisteva presso la Corte di Lecce perchè la cura della torre,
e soprattutto la paga al caporale ed ai compagni torrieri, fosse assolta
dai cittadini di Taviano. In seguito a pressanti inviti da parte dei
Gallipolini, le autorità centrali, già nello stesso
anno 1579, avevano obbligato la città di Taviano alla corresponsione
di ducati 69 per spese militari (20).
Immediatamente gli amministratori di Taviano, convinti di essere gravati
di pesi non loro, incaricarono il Procuratore dell'Università,
Vittorio Baldassarre, di spedire una garbata ma chiara protesta alla
Regia Camera della Summaria, la quale liberò la detta Università
del pesante fardello. A questo punto Gallipoli, con tutta l'influenza
della sua autorità civile e militare, appellò la sentenza
e cercò di ottenere l'annullamento del provvedimento, ma non
ci riuscì (21); infatti risulta che nell'anno 1586 il Preside
della città di Gallipoli, Gio Cola Verdesca, aveva erogato
ducati 12 ad Andrea Pende, Caporale della Torre del Pizzo, e ducati
7 ad Angelo Nigro, compagno torriero, per il servizio di vigilanza
prestato per tre mesi dal primo giugno a tutto agosto di quell'anno
(22).
Forse alla suaccennata disputa fa riferimento un altro foglio del
documento gallipolino (foglio 18); la città di Gallipoli in
data 6 novembre 1590 chiedeva nuovamente di essere esonerata dalla
paga ai cavallari, ordinari di notte e straordinari di giorno, "in
quanto ne poteva fare di manco, poichè essa città è
sita sopra di uno scoglio alto in mezzo del mare che facilmente il
dì scopre per molte miglia a torno e, senza tenere con tanta
spesa detti cavallari estraordinari, si può da se guardare
come sempre ha fatto".
Nel 1655 viene registrato, come caporale, un certo Diego Lupo. La
Commissione Regia del 1815, insieme a poche altre torri della costa
ionica, la giudica idonea ad essere armata con pezzi di artiglieria
pesanti e nuovi (23).
Negli ultimi anni è stata opportunamente restaurata ad abitazione.
La Sugliana
A cinque miglia dalla città di Gallipoli e a due miglia da
torre Pizzo esisteva il luogo detto "La Sugliana". Questo
posto doveva costituire un punto importante nel sistema difensivo
contro le scorrerie dei Turchi, giacchè esso viene più
volte nominato nei rapporti militari a nostra disposizione. Ci sembra
di averlo localizzato nel tratto di costa, dove termina la scogliera
ed ha inizio l'arenile, che poi si prolunga quasi ininterrottamente
fino a Gallipoli. Il luogo è reso più interessante anche
dalla presenza di un isolotto che emerge dal mare a pochissimi metri
dal litorale. Oggi la zona è unicamente frequentata da pescatori
dilettanti e da cacciatori.
Li Foggi
Lasciando alle spalle la zona Pizzo e percorrendo alcuni chilometri
della stupenda litoranea gallipolina, ci si trova di fronte a due
grandi e moderni stabilimenti turistici: Le Sirenuse e Costa Brada.
Il luogo, dove sorge il complesso alberghiero, è detto "Li
Foggi" ed èriconoscibile anche per la presenza di un canale,
scavato negli ultimi decenni, per la bonifica del territorio una volta
completamente paludoso e malarico. La purezza e la vastità
dell'arenile, l'acqua tersa e incontaminata sono caratteristiche costanti
nella zona, frequentata da paesani e forestieri.
Così viene descritto dal documento gallipolino:
"Il posto chiamato Li Foggi vicino la Sugliana per Girocco sta
sito tra la torre detta S. Giovanni La Pedata, che è di Gallipoli,
e la torre detta del Pizzo Cotriero che è dei luoghi convicini;
la distanza fra dette due torri è di miglia cinque onde da
S. Giovanni della Pedata sino alli Foggi sono due miglia, e dalli
Foggi sino alla Sugliana un altro miglio, e dalla Sugliana sino al
Pizzo del Cotriero due altre miglia, onde detto posto di Foggi sta
distante da Gallipoli quattro miglia e detta Sugliana cinque"
(24). Durante il periodo delle incursioni turche, Li Foggi era un
luogo di approdo preferito dai pirati. Questo fatto preoccupava non
poco le autorità militari di Gallipoli nel cui feudo si veniva
a trovare; tuttavia per mancanza di fondi non era adeguatamente vigilato.
Verso il 1686 i Turchi operarono uno sbarco proprio in questo luogo,
come ci riferiscono le cronache del tempo:
"Il sbarco dei Turchi successe un giorno per la parte di tramontana
e l'altro giorno per la parte di scirocco: il primo nel posto chiamato
Pietra Cavalla per tramontana, il secondo nella Cala delli Foggi vicino
il posto chiamato La Sugliana per scirocco, nelli quali due luoghi
non vi erano guardie de cavallari" (25).
La colpa dell'accaduto naturalmente fu addossata alla città
di Gallipoli, nel cui territorio si veniva a trovare il posto marittimo
Li Foggi. Ma gli Amministratori gallipolini a più riprese avevano
fatto sapere al Preside di Terra d'Otranto, Gio Battista Pescara,
che non potevano sopportare infinite responsabilità. Se era
vero che Li Foggi apparteneva al feudo di Gallipoli, era vero pure
che Gallipoli non l'aveva mai vigilato, eccettuati gli ultimi tre
anni, perchè essa per le torri ed altro pagava circa 330 ducati
l'anno. Inoltre "si aggiunga che il feudo di Gallipoli viene
quasi tutto habitato da forestieri di quasi tutta la Provincia e la
maggior parte dei luoghi convicini, come si vidde nell'occorrente
dello sbarco de Turchi che non furono di Gallipoli li fatti schiavi,
onde, oltre l'obbligo di guardare se stessi contro il comune nemico,
concorre la convenienza alli luoghi convicini che guardano li cittadini
loro stessi che habitano nel feudo di Gallipoli dove non portano verun
peso" (26).
Così si convenne di affidare la vigilanza della località
Li Foggi, mediante il mantenimento di due cavallari, ai comuni di
Parabita, Taviano, Melissano, Matino e Casarano, i quali accettarono
senza alcuna difficoltà.
Vernì
Percorrendo ancora un chilometro e mezzo verso Gallipoli e costeggiando
un ininterrotto magnifico arenile ed un incantevole mare dal riposante
colore verde pisello, si raggiunge l'antica località Vernì,
nei pressi della quale oggi si può ammirare un esteso villaggio
turistico residenziale con villette di gusto vario e raffinato cui
èstato dato il nome di Baia Verde.
Torre S. Giovanni
della Pedata
A circa tre chilometri a sud di Gallipoli si erge a pochi metri dal
mare la torre di S. Giovanni della Pedata, costruzione di limitate
dimensioni a forma quadrata. Secondo quanto afferma Onofrio Pasanisi,
l'edificazione di questa torre fu decisa nel 1582, ma effettuata solo
dopo il 1608 per mancanza di fondi.
Il Mazzella, quando elenca le torri marittime di Terra d'Otranto,
non fa menzione della Torre S. Giovanni della Pedata; mentre l'atlante
manoscritto a colori di Mario Cartaro del 1613 e quello di Bari riportano
anche la torre costiera in questione; non viene menzionata invece
dall'Atlante dei Magini. Il noto documento Gallipolino descrive la
sua ubicazione:
"Per parte poi della marine di scirocco (Gallipoli) tiene un'altra
torre chiamata S. Giovanni della Pedata distante due miglia dalla
città";
il medesimo rapporto militare ci informa ancora che il tratto di spiaggia
tra la suddetta torre e la città veniva continuamente perlustrato
da "Cavallari ordinari e straordinari soliti" pagati dall'Università
di Gallipoli.
Giuseppe Sala, Capitano, Sopraguardia e Proprietario del Comarca di
Cesaria e Marina di Gallipoli fino alla Torre di Novaglie, ci assicura
che il Caporale Basso Giovanni e il compagno torriero Giuseppe Pellegrino
hanno custodito detta torre per tutto l'anno 1730 (27). Oggi tutta
la zona è stata ormai raggiunta dalle enormi costruzioni moderne
che, durante l'estate, fanno riversare migliaia di bagnanti su questo
splendido tratto di mare. Il nome S. Giovanni, certamente preso da
un'antica cappellina o grotta, negli ultimi anni è stato comunicato
ad un importante stabilimento turistico per la balneazione, sorto
proprio a ridosso della torre, molto noto anche negli ambienti turistici
stranieri. Non siamo riusciti però a dare una plausibile spiegazione
al curioso termine "Pedata".
Grotta Sbriglio
A metà strada tra la torre S. Giovanni e l'antico borgo di
Gallipoli esiste un posto denominato "Grotta Sbriglio".
Si tratta effettivamente di una grotta, ma viene riportato con insistenza
dai rapporti militari in quanto il tratto di costa antistante, detta
"cala", si prestava benissimo ad eventuali sbarchi. Di conseguenza
gli Amministratori di Gallipoli, per tutelare la incolumità
della città e di tutto l'entroterra, ritennero opportuno far
vigilare questo luogo da guardie a cavallo.
Oggi la grotta è ancora visibile, ma è detta dai Gallipolini
"Grotta del Monaco", forse per via di un eremita che qui
stabilì la sua dimora.
Cala S. Leonardo
Superata la città di Gallipoli e percorrendo sul versante settentrionale
circa due chilometri di costa, si può osservare un modesto
luogo di approdo per imbarcazioni da diporto, denominato "Darsena
Azzurra". Recentemente, a protezione del porticciolo, è
stato costruito un molo intitolato a S. Leonardo.
Certamente questo facile luogo di sbarco corrisponde all'antica "Cala
S. Leonardo", custodita scrupolosamente dai Gallipolini per impedire
improvvise scorribande dei Turchi, come ci attesta la nota fonte manoscritta:
"vi è il posto seu Cala S. Leonardo distante un miglio
e mezzo dalla torre dei Sapea e un miglio e mezzo dalla città
di Gallipoli e in detto luogo battono li cavallari ordinari et extraordinari"
(28).
Torre Sabea
A circa cinque chilometri da Gallipoli, sulla scogliera di settentrione,
si può ammirare un'altra torre posta nelle immediate vicinanze
del mare. Nelle mappe e nei documenti militari è detta "Torre
Sapea o Spea", ma dai Gallipolini è conosciuta come "La
Vecchia Torre". E' di forma quadrata, simile nel disegno ma anteriore
alla Torre S. Giovanni della Pedata. Molto probabilmente la sua costruzione
fu decisa durante la visita in Terra d'Otranto del Presidente della
Regia Camera, Alfonso Salazar, accompagnato dal regio ingegnere Ettore
Scala e fu terminata entro l'estate del 1569 (29). Torre Sabea è
riportata negli elenchi delle torri fatti dal Mazzella (1586 e 1601)
e da Bacco Alemanno (1609); come pure è sempre presente nella
cartografia del '600.
Nei documenti di Gallipoli troviamo questa descrizione: "La città
di Gallipoli per la parte della sua marina di tramontana tiene una
torre chiamata la Sapea distante tre miglia dalla città".
La medesima fonte ci informa che la responsabilità della torre,
come anche della vicina costa, fu sempre di competenza dell'Università
di Gallipoli col contributo però dei paesi convincini. Un dispaccio,
redatto a Lecce il 10 dicembre 1569, si assicura che in quella data
la Torre Sabea era quasi pronta all'uso:
"Magnifico Percettore della nuova città di Otranto Gian
Bonori, a noi è stata presentata la sottoscritta fede che l'architetto
delle torri e città di Terra d'Otranto e di Bari è Paduano
Schiero, regio responsabile in questa provincia, facemmo fede per
la spesa fatta per il Magnifico Silvio Zaccheo sindaco della città
di Gallipoli in la Torre dei Sapea, sita nel territorio di detta città
per la scala, porte, finestre e serratura, quale ispesa somma ducati
8 e grana dudici e mezzo" (30).
Infine il Sindaco di Gallipoli, in data 3 gennaio 1570, conferma che,
secondo quanto stabilito, furono effettuati i lavori per la torre
Sabea la cui somma ammontava a ducati otto e grana dodici e mezzo
(31).
Il 22 gennaio 1571 Paduano Guarino della città di Lecce faceva
fede che "Gio Bonori, Regio Percettore della Terra d'Otranto,
per mano di Benvenuto Risaliti suo Cassiero ha pagato nel giorno 17
gennaio 1571 ducati 53 al caporale ed ai compagni della torre dei
Sapea sita in territorio di Gallipoli e cioè: a Domingo Diaz
caporale dal 1° maggio per tutto settembre e dalle 7 di ottobre
per tutto dicembre per il passato 1570, ducati 31; a Cesario Spano
compagno dal 1° maggio per tutto novembre 1570, ducati 17 e mezzo;
ad Antonio Farsanito compagno dalle 7 di ottobre sino alla fine del
1570, ducati 4 e grana 11, che messi insieme sommano ducati 53 per
loro soldo di governo fatta la guardia in quella torre dei Sapea,
il caporale in ragione di ducati quattro e li compagni di ducati due
e mezzo per ciascuno il mese" (32).
Da queste precise notizie possiamo concludere che la Torre Sabea divenne
effettivamente funzionante nella primavera del 1570; da quel momento
in poi il presidio militare fu in grado di vigilare il tratto di mare
antistante e di segnalare alla città di Gallipoli l'arrivo
di navi battenti bandiera turca o corsara.
Nel mese di gennaio del 1573 subentra, come caporale della torre,
Francesco Meldonato spagnolo, coadiuvato in questo compito dai compagni
torrieri Asterio Pettaro e Francesco Lupo anche per tutto l'anno 1674
(33). In altro documento, redatto a Lecce il 16 settembre 1586, sono
registrate le paghe che in quegli anni venivano somministrate ai caporali
ed ai torrieri di servizio tramite Gio Cola Verdesca, Preside della
Città di Gallipoli: a Ipofaro De Cunes, caporale per la durata
di dieci mesi, dal primo di ottobre 1582 fino a tutto luglio 1583,
furono consegnati ducati 36; ducati 4 ad Asterio Pettaro, compagno
torriero, durante i mesi di ottobre e novembre 1582, computando il
mese di ottobre composto di 20 giorni secondo il nuovo Calendario
Gregoriano; ducati 20 ad Alfonso Lopez, compagno torriero, dal primo
ottobre 1582 fino a tutto luglio 1583; ancora ducati 12 a Pietro Leon
Caporale e ducati 7 a Pietro de Avila compagno (34).
Molto probabilmente erano sorte delle liti tra i soldati, che avevano
prestato servizio alla torre e l'Università di Gallipoli: i
primi facevano ricorso alle Autorità Provinciali e perfino
alla Regìa Camera di Napoli, affinchè, i loro salari
fossero soddisfatti fino all'ultimo centesimo; gli Amministratori
di Gallipoli, d'altro canto, emettevano precisi e circostanziati rapporti
che attestavano la regolare somministrazione delle paghe. Sta di fatto
che in data 22 maggio 1585 la Regia Camera di Napoli, pur prendendo
atto che l'Università di Gallipoli corrispondeva circa 220
ducati annui ai caporali ed agli altri soldati della torre Sabea,
esortava la medesima ad essere più sollecita a liquidare le
somme dovute (35).
Nel 1589 è registrato come caporale Giosuè Martinez,
mentre nel 1697 ha prestato servizio Gio Andrea Ruoda in compagnia
del torriero Giuseppe Finograna; Quintino Maggio invece risulta caporale
dal 1° gennaio a tutto novembre 1730, coadiuvato dai compagni
torrieri Quintino Cernasi, Gio Antonio D'Amico e Gio Antonio Merico
(36).
Nel febbraio 1767 morì il caporale Gio Andrea Rota e le autorità
leccesi, preoccupate che la torre rimanesse priva del responsabile
militare, esortarono il Sindaco di Gallipoli ad eleggere un torriero
interino:
"Con Lettera di Gaetano Ates, Sopraguardia di Cesaria, in data
2 febbraio 1767 abbiamo tenuto avviso che sia passato a miglior vita
Gio Andrea Rota, caporale della torre dei Sapea. E comando che la
medesima resti provvista di un torriero per interim sin a tanto che
da Sua Ecc. sarà provvisto.
Intanto, voi Sindico ed, Eletti di Gallipoli dovete eleggere due persone
atte, abili et idonee per l'esercizio di Torriero e inviarle subito
da noi acciò se ne possa eliggere uno ad arbitrio" (37).
Nel 1820 la torre era in abbandono ed in pessimo stato, anche se sul
terrazzino vi era ancora un cannone di ferro con calibro 3 (38). Agli
inizi del nostro secolo la torre subì alcune modifiche nel
suo interno; nel 1974 fu definitivamente restaurata per interessamento
di Angelo Mollone e su perizia di Vittorio Faglia. Oggi nei pressi
della Torre esiste un ben avviato stabilimento per campeggiatori detto
"Camping la Vecchia Torre".
Non di rado intorno ad alcune torri sono sorte, in epoca imprecisata,
delle toccanti leggende che, arricchite di particolari, sono giunte
fino ai nostri giorni. Gli episodi, che stiamo per narrare, da alcuni
sono riferiti alla circolare Torre del Pizzo, da altri alla Torre
S. Giovanni della Pedata. Ma poichè il racconto popolare menziona
ripetutamente "La Vecchia Torre" di Gallipoli, a noi sembra
più giusto ritenere che si tratti della Torre Sabea.
Infatti, ancora oggi, quando i gallipolini parlano della "Vecchia
Torre", intendono indicare espressamente e solo la Torre Sabea;
inoltre, parlando la leggenda di costa irta e frastagliata su cui
la giovane protagonista macera le sue carni delicate, ci è
parso di riscontrare una simile scogliera solo a settentrione di Gallipoli.
Si narra che durante il secolo XVI, periodo funestato da continui
assalti di pirati, le torri costiere venivano sorvegliate da drappelli
di soldati addestrati a fronteggiare il pericolo. Tra i torrieri incaricati
di difendere la Vecchia Torre vi era un giovane aitante di nome Flavio,
il quale si era innamorato ed aveva sposato Florilanda, una fanciulla
gallipolina dalle dolci e formose sembianze ma di poveri natali. Nel
giorno di Pentecoste, detta anche Pasqua delle Rose, la giovane sposa,
desiderando ardentemente rivedere anche per un solo istante l'amato
sposo di stanza alla Vecchia Torre, insieme ad un gruppo di compagne
raggiunse la torre, dove si incontrò in un appassionato abbraccio
col suo sposo, che l'aveva seguita da lontano. I due innamorati rimasero
avvinghiati in un amplesso senza tempo, ignorando il richiamo delle
compagne di Florilanda le quali ripresero, sul far della sera, la
vita del ritorno. Quando Florilanda, svegliatasi dal profondo sogno
d'amore e licenziatasi dallo sposo, volle rientrare in città,
ormai le dense ombre della notte erano calate sulla scogliera facendole
smarrire la strada. Pensò bene allora di ritornare da Flavio;
ma questi, insospettitosi dello strano rumore e credendo trattarsi
di un nemico, le corse incontro trafiggendo con un colpo di alabarda
il corpo reso informe dalla notte fatale. Ben presto comprese il tragico
errore: compose su di una barca il corpo esanime della fanciulla amata
e insieme sparirono verso l'orizzonte senza più fare ritorno.
La gente continua a narrare che ogni sera due bianchi gabbiani riposano
nei ripari della Vecchia Torre per volare, all'alba, verso il mare
infinito avvolti da un comune eterno destino d'amore (39).
Torre Alto
Lido
A circa sette chilometri da Gallipoli si può osservare la bellissima
torre cilindrica dell'Alto Lido. La denominazione è certamente
dovuta alla posizione della torre arroccata su un pianoro sopraelevato
di circa 80 metri e alquanto distante dal mare in direzione dell'attuale
località marina "Montagna Spaccata" nei pressi di
Lido Conchiglie.
Nei documenti e nelle carte geografiche del tempo il suo nome ha subito
varie alterazioni: talvolta è detto semplicemente dell'Alto,
altrove dell'Artellotto, dell'Arteglio, dell'Attolido. Secondo quanto
affermano gli storici Onofrio Pasanisi e Primaldo Coco, la torre con
molta probabilità venne costruita nel 1565; ma gli stessi confessano
che non hanno potuto accertare se la torre dell'Alto Lido, insieme
a poche altre nel Salento, fu costruita in seguito ad un ordine del
Duca d'Alcalà negli anni 1560-61 oppure alcuni decenni prima
per ordine di Don Pietro di Toledo nel 1532-33. La torre viene costantemente
riportata sia nell'elenco dei Mazzella, sia in quello dell'Alemanno,
come in tutta la cartografia dal sec. XVII in poi. Dato il suo limitato
spazio interno, che ne consentiva la utilizzazione unicamente come
vedetta sul mare, e data la sua forma cilindrica, a noi sembra appartenere
alla prima meta del '500.
Il peso della vigilanza ed efficienza della torre ha sempre gravato
sulla Università di Galatone, la quale, in un documento dell'1
luglio 1686, informava le autorità provinciali che in quello
stesso anno aveva sopportato il peso di rifare il ponte nuovo, e ancora
di aver speso annui ducati 60 per il caporale e ducati 25 per il compagno
torriero, oltre alla continua provvisione di munizioni, cioè
palle, polvere e miccia occorrenti per l'esercizio di tale presidio
(40). Nel 1583 la torre era custodita dal caporale Cordoba Bartolomeo;
nel 1609 invece troviamo come responsabile militare un certo Carlo
Caputo (41).
Il 15 novembre 1706 il Notaio E. Bonvino di Nardò riferisce
un episodio riguardante il caporale della torre dell'Alto Lido:
"Leonardo Longo della Terra di Galatone e Caporale della torre
marittima detta Aldo Lido, territorio in questa città, davanti
a noi dichiarò che entro il mese di settembre 1706 esso Leonardo
fece una relazione al Sig. Carlo Brancaccio, Preside di questa Provincia,
che nel porto di S. Caterina, poco distante dalla sua torre, una notte
era sbarcata una barca e scaricò tavole, seta e tabacco, e
che dette robbe l'avessero comprate li Sig.i Abate Orazio Giocoli,
Vicario Generale de questa città, l'Abate D. Oronzo Spraviente
e Gio Maritato di Nardò, come riferito da persona ecclesiastica
degna di credito, e come caporale era in obbligo di fare detta relazione.
Ma oggi ha capito che quello che gli è stato raccontato ètutta
buggia e invenzione e perciò ritrae quella relazione, perchè
non sapeva che quella persona, che gli riferì tutto, lo fece
per fini particolari" (42).
Il quadro indicante il grado di conservazione e funzionalità
delle torri costiere dello Jonio, redatto nel 1820, la indica in pessimo
stato e abbandonata (43). Sebbene nel 1686 il sindaco di Galatone
dichiarasse che l'Università aveva a sue spese costruito il
nuovo ponte per la Torre dell'Alto Lido, oggi la medesima risulta
sprovvista di scala esterna monumentale. Nel suo interno presenta
una piccola stanza a piano terra, con porta d'ingresso, ed una al
piano superiore, cui si accede tramite una scaletta ricavata, forse
in epoca tarda, all'interno della spessa muraglia perimetrale.
Pietra Cavalla
Tra la Torre Sabea e la Torre dell'Alto Lido vi era un facile posto
di sbarco detto Pietra Cavalla:
"Il posto chiamato Pietra Cavalla per tramontana sta sito in
mezzo alla torre del Sapea, che è di Gallipoli, e la torre
dell'Alto Lido, che è della Terra di Galatone, e propriamente
un miglio distante dal Sapea e un miglio distante dall'Alto Lido,
stando in mezzo onde detto posto chiamato Pietra Cavalla sta distante
quattro miglia da GallipoIi" (44).
A motivo della sua particolare posizione il suddetto posto costituì
un punto di attrito tra l'Università di Gallipoli e quella
di Galatone. Contribuì ad acuire i rapporti tra le due città
lo sbarco dei Turchi avvenuto proprio nella cala di Pietra Cavalla
in un giorno del 1686. Infatti, in seguito a questo sbarco, le autorità
militari della Provincia attribuirono la responsabilità dell'accaduto
agli Amministratori di Gallipoli e a tutte le Università dell'entroterra,
ingiungendo a Galatone di provvedere alla vigilanza del posto con
tempestività ed efficacia. La vicenda è sufficientemente
documentata, perciò crediamo utile riferire qualche particolare
che, se riguarda in prima persona la cittadina di Galatone, in ultima
analisi interessa la storia spicciola di tutto il Salento.
Da vario tempo si temeva che, nonostante la vigile presenza delle
torri costiere nella zona, i Turchi o gruppi di pirati provenienti
dal mare potessero penetrare nelle nostre terre proprio attraverso
il facile approdo di Pietra Cavalla: ciò puntualmente si verificò
nel 1686 con gravi danni alle popolazioni dei comuni salentini. Nello
stesso anno Gio Battista Pescara, Duca della Saracena e Preside del
Consiglio di Sua Maestà, invia una lettera al Sindaco e a tutto
il Governo di Galatone, con la quale ordina di procurare immediatamente
due cavallari per il posto marittimo di Pietra Cavalla, alleggerendo
in tal modo l'Università di Gallipoli, che già aveva
provveduto per quattro anni ed era oberata da gravi responsabilità
militari.
Davanti a questa ingiunzione da parte delle superiori autorità,
Galatone, pur preoccupata per i pericoli che l'intera zona poteva
correre, reagì con molta compostezza ma anche con sufficiente
determinazione. Dopo aver riunito il Pubblico Parlamento per discutere
il comportamento da adottare, il Sindaco comunicò al Pescara
che la povera Univeristà di Galatone, tenendo il peso di tutta
la Torre dell'Alto Lido e il quarto della Torre del Fiume e dei cavallari
ordinari e straordinari, era costretta a pagare ogni anno circa 156
ducati, oltre alle munizioni di guerra necessarie. In concreto, l'Università
di Galatone era obbligata a pagare ducati 72 ai cavai]ari di servizio
nel posto dell'Annunziata o Cala del Bagno, ducati 71 al caporale,
al compagno e al cavallaro della Torre dell'Alto Lido; ancora ducati
13 per la Torre del Fiume; inoltre aveva portato il peso di rifare
nel 1686 il ponte nuovo alla Torre dell'Alto Lido; infine, il medesimo
Sindaco espose che l'Università di Galatone non sarebbe tenuta
a preoccuparsi della località in questione per due semplicissime
ragioni: prima, perchè detto posto non apparteneva alla marina
di Galatone ma a quella di Gallipoli; seconda, in quanto il posto
di Pietra Cavalla, da antica data, fu sempre sorvegliato a spese dell'Università
di Seclì, Neviano, Corigliano, Noha, Galatina e Aradeo. Queste
Università infatti non portavano nessun peso militare, pur
ricevendo il grande vantaggio di essere protette dal mare. Concludendo
il suo esposto, il Sindaco di Galatone fece capire al Preside Pescara
che sarebbe stato più giusto esonerare l'Università
di Galatone e affidare l'impegno di sorvegliare il posto di Pietra
Cavalla ed altre Università più libere (45).
Dopo tali rimostranze, il Duca della Saracena Gio Battista Pescara
emise un'ordinanza con la quale si faceva obbligo alle Università
di Seclì, Neviano ed anche Casarano di pagare lo stipendio
al cavallaro ritenuto dalle autorità militari indispensabile
per la sicurezza della zona (46). I comuni di Neviano e Seclì,
in proporzione del numero delle famiglie, dettero subito il loro contributo
richiesto; non fece altrettanto Casarano, infatti "quali ordini
notificati alle Università si esibiscono prontissime quelle
di Neviano e Seclì di contribuire la loro rata, contravvenendo
quella di Casarano solamente ad eliggere detto cavallaro, come Terra
più forte e di più fochi, in molto pregiudizio del servizio
di Sua Maestà e difesa dei suoi vassalli" (47).
Alquanto seccato di tale comportamento e avvalendosi dei poteri a
lui conferiti dal Sovrano, lo stesso Pescara ordinò all'addetto
militare: "Che vi dobbiate personalmente conferire con altri
soldati nella Terra di Casarano e dove altro sarà necessario
et astrengerete e farete astrengere juris et facti remediis opportunis
il Sindaco, Eletti ecc., affinchè eligano detto cavallaro e
mandorlo nel posto di Pietra Cavalla dove debbia assistere di giorno
e di notte continuamente, in caso contrario procedere alla carcerazione
di detti Sindaci, Eletti ecc." (48).
Non sappiamo come fu definita la questione, siamo però a conoscenza
che Galatone, in data 29 luglio 1686, elesse in pubblica assemblea
i due cavallari richiesti nelle persone di Oronzo Licriello e Tommaso
Carluccio, corrispondendo a ciascuno ducati 7 al mese in collaborazione
con le Università di Seclì, Neviano e Casarano (49).
Il posto di Pietra Cavalla, teatro di tristi avvenimenti e oggetto
di disputa tra le varie Università del circondario, molto probabilmente
si deve identificare con l'attuale località marina "Cannale",
che si estende tra i centri turistici di Riva Bella e Le Conchiglie.
Torre del Fiume
o Quattro Colonne
A otto chilometri da Gallipoli, tra Lido Conchiglie e S. Maria al
Bagno, sorge in vicinanza del mare la Torre del Fiume o Quattro Colonne,
costruita con lo scopo di vigilare affinchè i corsari non si
avvicinassero alla costa per rifornirsi di acqua potabile indispensabile
per le loro funeste imprese. Nei pressi della torre infatti affiorano
dalla roccia numerosi rivoli che sfociano nel vicino mare. Non molti
anni addietro la fresca acqua della sorgente possedeva ricche proprietà
curative, oggi purtroppo risulta fortemente inquinata.
La torre viene comunemente detta "Quattro Colonne" a motivo
delle quattro torrette ancora superstiti, ma nel suo disegno originario
costituiva un vero e proprio fortino, capace di ospitare un discreto
numero di uomini e di mezzi che potevano garantire il controllo della
sorgente d'acqua e della zona circostante.
L'approvvigionamento d'acqua, per chi doveva restare in mare per molto
tempo, rappresentava un problema vitale anche per corsari e barbareschi.
Per questo motivo essi conoscevano perfettamente i punti della costa
dove affiorava anche uno zampillo d'acqua che raggiungevano con mossa
rapida e, dopo aver fatto rifornimento del prezioso liquido, proseguivano
la loro caccia alle navi in transito nella zona oppure si preparavano
a compiere attacchi alle popolazioni rivierasche, scegliendo il posto
più favorevole e aspettando il momento più opportuno.
Tutte queste cose erano ben note alle autorità, le quali avevano
previsto la costruzione di torri nelle vicinanze e in difesa delle
sorgenti d'acqua potabile. Infatti, come riferisce il Coco, fu questo
il motivo che nei 1568 spinse il Vescovo di Ugento a fabbricare Torre
Mozza, detta anche "Torre Fiumicelli": "Il Vescovo
di Ugento fa sapere che in quella marina ave un feudo detto Gemini
presso la marine e un fiume d'acqua dolce con comodità dei
vascelli dei corsari che approdano e si fanno la provvista dell'acqua;
per ovviare questo abuso fu deciso di fabbricare una torre acciò
i corsari non venissero più - 23 dicembre 1568 -"(50).
Tra le torri che si decise di costruire in Terra d'Otranto nel 1582
vi era anche la torre nella marina di Lecce presso "un'acqua
sorgente che è scalaggio de nemici et che se ne può
servire un'armata potente" (51).
Per proteggere il fiume di Nardò, nei pressi di S. Maria al
Bagno era stata eretta già nel 1565 la Torre dell'Alto Lido,
ma questa costruzione ben presto si rivelò insufficiente allo
scopo, in quanto era posta molto in alto e distante un paio di chilometri
dalla sorgente. Fu questo il motivo che consigliò l'Università,
il Vescovo e i n obili di Nardò ad edificare, proprio alla
foce della ricca sorgente d'acqua, una vera fortezza, la cui sola
vista doveva scoraggiare turchi e pirati del mare di accostarsi alla
riva o peggio di progettare razzie nell'interno.
Il peso maggiore per l'assistenza a questa fortificazione spettava
alla città di Nardò, ma sappiamo pure che Galatone contribuiva
con un quarto delle spese occorrenti al mantenimento di un numero
adeguato di torrieri. Per quanto riguarda la data di costruzione non
siamo in possesso di notizie precise. Il Mazzella e l'Alemanno non
la elencano nelle loro opere, mentre è riportata nella mappa
geografica del 1613 di Mario Cartaro e in quella successiva di Bari.
Abbiamo però notizia sicura che un certo Francesco Scaglione
ricopriva la carica il caporale già nel 1609; possiamo quindi
stabilire la data della sua costruzione nel primo decennio del '600.
Nel 1616 fu al comando della torre il caporale Leonardo Vecchio, nativo
dì Galatone; nel 1695, come assicura la Sopraguardia Leonardo
Antonio Napoli, era caporale Tommaso De Ferraris in compagnia del
subalterno Tommaso Camisa (52); infine nel 1730 esercitava l'ufficio
di caporale Angelo Longo, con i compagni Pietro Stasi e Leonardo Antonio
Francone (53). La torre si trovava nel 1820 in pessimo stato e abbandonata.
D'estate costituisce un forte polo di attrazione per turisti e bagnanti
poichè, specie sul far della sera, assume il misterioso aspetto
dell'incanto d'oriente.
Santa Maria
al Bagno
Subito dopo le Quattro Colonne si incontra S. Maria al Bagno, un centro
abitato la cui popolazione residente va sempre più aumentando.
Il paesino praticamente è cresciuto intorno ad una piccolissima
insenatura di sabbia finissima e dorata che interrompe la scogliera
bassa e piuttosto frastagliata. Questo luogo nei documenti storici
è detto "Posto dell'Annunziata seu cala del Bagno",
probabilmente perchè nelle vicinanze doveva esistere una immagine
della Madonna Annunziata ed anche perchè solo nel punto dove
si trova l'arenile si poteva con comodo fare il bagno.
La responsabilità di vigilare su questa zona era di competenza
dell'Università di Galatone, infatti nel 1686 la medesima dichiarava
"di pagare annui ducati 72 al cavallaro ordinario e annui ducati
40 al cavallaro estraordinario nel Posto dell'Annunziata seu Cala
del Bagno".
Oggi tutta la località turistica, compresa la caletta, viene
denominata Santa Maria al Bagno.
Torre Santa
Caterina
Nel Salento, come in altri punti del Regno di Napoli, la serie di
torri costiere, già costruite prima del 1580, non formava un
sistema completo di protezione verso il mare. In concreto, alcune
torri rimanevano isolate, non potevano cioè comunicare con
quelle che precedevano o seguivano, o perchè molto distanti
oppure perchè oscurate da eventuali alture.
Per ovviare a questo inconveniente il Governatore della Terra d'Otranto
nel 1580 sollecitò presso la Regia Camera di Napoli la costruzione
nel Salento di almeno altre sei torri. Per raccogliere i fondi necessari
la Corte di Napoli pensò bene di riattivare un'antica tassa
di 7 ducati a famiglia fino a tutto il 1582. Grazie ai proventi di
tale tassa e certamente per l'intervento massiccio dell'Università
e della Curia Vescovile di Nardò, iniziarono i lavori per la
costruzione della Torre di S. Caterina.
Il posto fu scelto accuratamente in modo che la torre dominasse il
porto omonimo e nello stesso tempo facesse da raccordo per tutte le
comunicazioni che, provenienti dalla Torre S. Maria dell'Alto, fossero
indirizzate alla Torre dell'Alto Lido e viceversa.
Non sappiamo l'anno quando fu terminata la torre S. Caterina; il Mazzella
non la nomina; secondo il Pasanisi (54) essa non era stata completata
nel 1592 e forse nemmeno nel 1608. Grazie alla testimonianza del Cartaro
possiamo ritenere che la Torre S. Caterina era in piedi almeno nel
1613.
La torre S. Caterina è detta anche dello "Scorzone"
(= serpe), forse a motivo della presenza di tale animale nella zona
oppure a causa dello scoglio sottostante, che si insinua nel mare
simile a un serpente. Lo stile della torre è della serie di
Nardò a base quadrata con caratteristiche proprie.
Un foglio scritto a Gallipoli il 1° maggio 1695 ci conferma che
in quell'anno il caporale Leonardo Antonio Lombardo e il suo compagno
Stefano Carlino avevano scrupolosamente vigilato di giorno e di notte
detta torre (55). Nel 1730 era caporale Giuseppe Antonio Lombardo
e come compagni torrieri si alternarono Oronzo Minnella, Libberio
Scarano, Domenico Calabrese, Domenico Pizzone, Francesco Minnella.
Nel 1820 la torre era ancora in buono stato, aveva in dotazione un
cannone di ferro di calibro 3 ed era affidata alla Guardia Doganale
(56).
Attualmente torre S. Caterina domina un incantevole porticciolo ed
un ridente villaggio turistico sul mare.
Torre Santa
Maria dell'Alto
Nei pressi del vetusto monastero basiliano e benedettino di S. Maria
dell'Alto si erge un'omonima costruzione turrita su un alto promontorio
che scende a picco sul mare. La torre di forma quadrata e di grandi
dimensioni, con all'interno vasti ambienti atti ad accogliere un intero
drappello di soldati, è servita di modello nella costruzione
della vicina Torre S. Caterina.
La sua costruzione fu decisa durante la visita in Terra d'Otranto
di Salazar nel maggio del 1568 e fu certamente terminata nell'estate
del 1569. Infatti il 10 settembre 1569 Don Parafan Duca d'Alcalà,
Vicerè del Regno di Napoli, impartì disposizioni alla
Regia Camera perchè anche le torri finite di costruire nell'estate
di quell'anno in Terra d'Otranto, tra cui quella di S. Maria dell'Alto
nei pressi di Nardò, fossero munite senza indugio "di
alcuni pezzi d'artiglieria de mitallo" (57).
Cadendo nell'influenza di Nardò, fu precisamente questa città
ad occuparsene per tutto ciò che occorreva al suo buon funzionamento.
Nel 1730 era custodita dal caporale Felice Verri e dal torriero Giovanni
Giorgetta (58). Nel 1820 era mal ridotta e abbandonata dalla Guardia
Doganale.
Talvolta sulle navi turche o barbaresche, stipate di pirati e di cristiani
fatti schiavi, si potevano verificare, per comprensibili motivi, dei
casi di colera, di peste o di altre pericolose malattie. In tal caso
o si arrendeva l'intera ciurma oppure venivano sbarcate sul litorale
le persone infette o ritenute tali. Per salvaguardare le nostre popolazioni,
le autorità militari e sanitarie convogliavano i suddetti individui
dentro qualche torre costiera. La torre di S. Maria dell'Alto, come
pure quella di S. Caterina, svolse verso il 1706 la funzione di lazzaretto,
come ci informa il Notaio Bonvino di Nardò "Turchi e Schiavi
tenuti in quarantena nelle torri di Nardò" (59).
Oggi la torre si trova in buono stato di conservazione e dal piano
superiore, cui si accede per mezzo della monumentale scala esterna,
si può lanciare lo sguardo verso mezzogiorno per ammirare il
panorama dell'affascinante insenatura fino a Gallipoli, e verso settentrione
per godere dello spettacolo straordinariamente naturale di Porto Selvaggio.
A distanza di circa quattro secoli dalla loro edificazione, possiamo
ancora ritenerci fortunati nel constatare l'esistenza e il discreto
stato di conservazione di quasi tutte e sette le torri da noi considerate.
Queste singolari costruzioni hanno terminato di svolgere la funzione
militare di difesa e oggi sono lì a fare bella mostra di sè
davanti al mare. Ma, in tempo di diffuso risveglio culturale per ciò
che sa di antico, sarebbe davvero imperdonabile permettere il degrado
di monumenti così importanti appartenenti integralmente alla
cultura ed alla storia del nostro passato.
NOTE
1) Sull'argomento si può consultare: S. Panareo, "Turchi
e Barbareschi ai danni di Terra d'Otranto" in Rinascenza Salentina,
Anno I, N° 1, gennaio-febbraio 1933, pagg. 1-13 e anno I sett.
- ott. 1933, XI, N° 5 pagg. 234-251; G. Cino, "Memorie ossia
Notiziario di molte cose accadute a Lecce dall'anno 1656 al 1719",
in Appendice alla Rivista Storica Salentina.
2) ASN Consultarum S., v, 40 f. 150, in Onofrio Pasanisi, "Studi
di Storia Napoletana in onore di Michelangelo Schipa" Napoli,
1926, pag. 442.
3) O. Pasanisi, o.c., pagg. 441 e 442.
4) Basta confrontare: Primaldo Coco, "Porti, Castelli e Torri
Salentine", Roma, 1930; Onofrio Pasanisi in "Studi di Storia
Napoletana in onore di Michelangiolo Schipa", Napoli, 1926, pagg.
423-442; A. Corchia in "Zagaglia", N° 12, 1961, pagg.
35-42 e N° 20, dicembre 1963, pagg. 413-423; R. De Vita (a cura
di), "Castelli e Torri della Terra d'Otranto", Bari, 1975;
Bruno, Losso, Faglia, Manuele, "Censimento delle Torri costiere
nella Provincia di Terra d'Otranto"; Vittorio Faglia, "Il
Restauro di Torre Sabea a Gallipoli", Castella 14, Roma, 1978;
Antonio Perrella, "Le Torri litoranee nel Salento" in Nuovi
Orientamenti, Gallipoli, N° 55-56, 1979, pagg. 41-46.
5) Purtroppo siamo costretti a denunciare, almeno per la zona che
ci riguarda, alcune inesattezze riportate dalla "Carta dei Castelli,
Torri ed Opere fortificate di Puglia", a cura di Raffaele De
Vita, Bari, 1972. Infatti, la Carta in questione pasticcia alquanto
nel presentare alcune Torri poste a settentrione di Gallipoli, riferendole
nel seguente ordine: Torre S. Maria dell'Alto, Torre S. Caterina,
Torre dell'Alto; quando in realtà in quel punto esistono solo
due torri: S. Caterina e S. Maria dell'Alto. Inoltre, secondo la medesima
Carta, le Torri del Pizzo, dell'Alto Lido e di S. Maria dell'Alto
presenterebbero solo dei resti di costruzione, mentre in verità
solo sostanzialmente integre in ogni parte. E se aggiungiamo che imprecisioni
del genere esistono in più di qualche tratto costiero, dobbiamo
concludere che la suddetta Carte delle Torri è stata curata
con poca attenzione.
6) Biblioteca Comunale di Gallipoli, "Libro delle Torri e del
Castello di Gallipoli", Ms. 31, ff. 26, 26t, 27.
7) BCG, o.c., f. 28
8) Tommaso Leopizzi in Rassegna della Banca Agricola Popolare di Matino
e Lecce, 1979, N° 3/4, pagg. 83-85.
9) BCG, o.c., f. 36.
10) Sull'ultima attività della pirateria barbaresca e sulle
spedizioni contro Tripoli del 1825, 1828 e 1829 vedi: Salvatore Panareo,
"Le ultime molestie barbaresche in Terra d'Otranto (1814-1816)"
in Rivista Storica Salentina, IX (1914, pagg. 264-274); G. Palumbo,
"La spedizione della Marina Napoletana a Tripoli nel 1828",
in Rivista delle Colonie Italiane, III (1929), pagg. 909-924, 1003-1014;
R. Micacchi, "Le ultime gesta dei corsari tripolini e la reazione
degli Stati Italiani", in Rivista delle Colonie Italiane, VII
(1933), pagg. 201-222.
11) ASN, Sezione Pizzofalcone, Torri, 475/13.
12) ASN, Pizzofalcone, Torri, 475/14.
13) ASN Pizzofalcone, Torri, 475/14.
14) ASN, Pizzofalcone, Torri, 846/6.
15) O. Pasanisi, o.c., pag. 427, nota 5.
16) P. Coco, o.c., pag. 111.
17) Scipione Mazzella, "Descrittione del Regno di Napoli",
ed. 1586 e 1601.
18) Enrico Bacco Alemanno, "Il Regno di Napoli diviso in dodici
provincie", Napoli, 1609.
19) O. Pasanisi, o.c., pag. 432.
20) BCG, Ms. 31, f. 15.
21) BCG, Ms. 31, f. 16.
22) BCG, Ms. 31, f. 17,
23) ASN, Pizzofalcone, Torri, 475/14.
24) BCG, o.c., ff. 13 e 14.
25) BCG, o.c., f. 13.
26) BCG, o.c., f. 14.
27) ASN, Torri, v. 131, f. 377.
28) BCG, o.c. f. 13.
29) O. Pasanisi, o.c., pag. 432.
30) ASN, Torri, v. 117, f. 53.
31) ASN, Torri, Anno 1570, v. 117, f. 54.
32) ASN, Torri, Anni 1571-76, vv. 118 e 119, f. 253.
33) ASN, ibidem.
34) BCG, o.c., f. 17.
35) BCG, o.c., f. 34.
36) ASN, Torri, v. 131, f. 267; e vol. 129, f. 27.
37) BCG, o.c., f. 51.
38) ASN Pizzofalcone, Torri, 84616.
39) Luigi Sansò, "La leggenda della Torre di S. Giovanni",
da: Una Manciata di fogli, ed. Paiano, Galatina, 1954, pagg. 15 e
16.
40) BCG, o.c., f. 40t.
41) ASN, Torri, vv. 122-133.
42) Archivio di Stato di Lecce, Notaio E. Bonvino di Nardò,
(1699 + 1732), v. 34, 66/12, a. 1706, 15 novembre, f. 101t.
43) ASN, Pizzofalcone, Torri, 846/6.
44) BCG, o.c., f. 13.
45) BCG, o.c., ff. 40 e 40T.
46) BCG, o.c., ff. 45 e 46.
47) BCG, o.c., f. 36.
48) BCG, o.c., f. 36.
49) BCG, o.c., f. 43.
50) P. Coco, o.c., pag. 111.
51) O. Pasanisi, o.c., pag. 436.
52) ASN, Torri, v. 128, f. 403.
53) ASN, Torri, v. 131, f. 19.
54) O. Pasanisi, o.c., pag. 439.
55) ASN, Torri, v. 128, f. 55.
56) ASN, Pizzofalcone, Torri, v. 846/6.
57) P. Coco o.c., pag. 111.
58) ASN, Torri, v. 131, f. 461.
59) ASL, Notaio E. Bonvino, A. 1706-1709, v. 34, fasc. 66/12.
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