A consolare della
tanta, troppa confusiologia dell'arte che ormai si esercita a spese
pubbliche, e a rivendicarla fornendo nuovi e originali contributi alla
conoscenza delle sue origini storiche, sopravviene il magno volume di
Paolo Graziosi (Le pitture preistoriche della grotta di Porto Badisco),
"Origines" 13, Firenze 1980, Istituto Italiano di Preistoria
e Protostoria, pp. 196 con 160 tavv. nero e colori, Lire 45.000), che
veramente costituisce un'aggiunta basilare alla conoscenza e alla ricostruzione
dell'arte e della civiltà della tarda preistoria mediterranea
localizzabile circa al 4000 avanti Cristo.
La prudenza scientifica del Graziosi - il maggiore studioso nostro di
preistoria e dei più eminenti europei, con una linea che lo distingue
e gli si riconosce peculiare per l'attenzione di cultura italiana alle
modalità artistiche, non solo all'etnologia sociale, psichica
o sessuale - presenta questo gremito lavoro come primo risultato di
un'indagine svolta da lui e da un gruppo di specialisti e di operatori
dalla scoperta nel Salento, nel 1970, del grande triplice sotterraneo
carsico che per un'antica tradizione locale era la Grotta di Enea, il
sito dove l'eroe ulisside si era fermato una volta nel suo fatale andare.
Dall'opera sull'arte nell'antica età della pietra del 1956 alla
Preistoria in Italia del 1973, il Graziosi ha promosso questi studi
con grandi raggiungimenti; ed io stesso gli devo forti incentivi in
materia, da quando insieme si corse l'alea, nel 1954, di organizzare
in Palazzo Strozzi, ricordando le antenate francesi di quasi un secolo
avanti, la prima mostra d'arte preistorica in Italia, destinata ad aprire
alla cultura e al pubblico un'esperienza allora, e tutto sommato anche
oggi, rara ed incerta, mentre è fondamentale, solo pensando che
nei fenomeni artistici preistorici coincidono la produzione e la coscienza
o concezione dell'arte.
I tre diramati cunicoli di Porto Badisco con le loro centinaia di figure
e di segni dipinti sono sinora il più vasto complesso postpaleolitico
d'arte parietale del tempo delle culture agricole-pastorali, operato
con sostanze coloranti, come l'ocra rossa ferrugionsa, portate dall'esterno,
e con guano bruno estratto nell'interno con altri depositi organici
(ciò che dà precedenti lontani a Burri e Manzoni).
Per chi sa le difficoltà che derivano dall'esiguità e
dalla rarità dei reperti e dalla restrizione o dall'assenza di
elementi comparativi o relazionali - si pensi soltanto al cerchio di
silenzio che circonda l'etrusco - l'avvento alla conoscenza e all'analisi
di una così ingente massa di nuovi elaborati costituisce di per
se stesso una condizione di schiarimento, come se testi ignoti e significativi
si aggiungessero ai frammenti presocratici e ai lirici greci, o se riemergessero
le pitture elleniche non ceramiche.
Con capillare e ammirevole scrutinio, il Graziosi - ed è questa
la parte più originale dello studio, non solo come indagine feconda
di risultati, ma come traccia di metodo - conduce un attentissimo riscontro
delle pitture di Porto Badisco sia con l'arte parietale in Europa nel
medesimo periodo e in particolare con quella del Levante spagnolo rivelata
dal Breuil, sia e soprattutto, per la prima volta, con l'ornamentazione
vascolare mediterranea e microasiatica (e particolarmente con quella
ricca e inventiva di Serra d'Alto), cogliendo identità formali,
solidarietà, ma anche differenze e innovazioni, che ampliano
il nostro orizzonte.
Nella grande successione di pitture, non si affermano grafismi decisamente
individuali e differenziati come in molte caverne paleolitiche franco-cantabriche,
siano simultanei o distanziati; si avverte una lingua comune che può
essere stata praticata da più artisti consenzienti, e lo stesso
Graziosi è incline a una complessiva sincronia delle multiple
operazioni. Perciò tanto più importante diventa il rilevamento,
estremamente preciso, delle figure e dei segni in venticinque gruppi
di motivi articolati in quarantacinque tipi, molti dei quali compaiono
per la prima volta nell'arte preistorica a Porto Badisco. Senza strati,
sovrimpressioni o palinsesti, le figure e forme formano un eccezionale
repertorio pittorico. Scene in composizioni, quali le cacce al cervo,
appaiono perspicue e così le figure virili e femminili, talora
su animali e agitate come gli acrobati micenei, le scacchiere regolari,
le griglie, i recinti ed edifici; e per i labirinti aventi paralleli
a Malta vale l'ipotesi di rappresentazioni di danze eccitate (come a
Cueva de los Lettreros). Tra i segni, sicuri i soli radiati, le stelle,
le spirali semplici, doppie e ricorrenti, le curve concentriche, gli
zig-zag e le ondulazioni: acuta la ricerca di spiegazione, anche per
confronto con analoghe invenzioni di Samara (Iraq) di animali siglati
in movimento circolare, dei numerosi disegni cruciformi che il Graziosi
chiama "collettivi", perché vi vede uomini affrontati
con le gambe in comune.
Come è difficile supporre nelle pitture una consecuzione di fasi
(e specialmente nelle parti in cui il Graziosi dice possibile una "progettazione"),
altrettanto non può soddisfare più il ricorso all'ipotesi
meccanica dell'evoluzione (orinai scartata nelle stesse scienze, specie
fisiche) per spiegare i fenomeni convenzionalmente scalati in questa
progressione: dal naturalismo o realismo figurale al cosiddetto "verismo
schematico" e infine all'astratto o alla sigla pura dotata o no
di un significato verbale.
Come nell'arte paleolitica, i fenomeni ch'è d'uso classificare
secondo la referenza o non referenza al vero sensibile od ottico, sono
contemporanei: non si può affermare un progresso univoco o unisenso
dall'imitazione all'astrazione. Bisogna quindi ripensare le ragioni
di eventi simultanei, coesistenti e distinti, il verosimile e l'irrealistico,
entrambi realizzati: se si vuol restare su una base storica o di fatto,
e non sostituirla con tesi preconcette. Ed è un fatto che le
stesse figure dette naturalistiche hanno, organicamente, sostrati geometrici
astratti, cioè lo schema costruttivo e formale dell'immagine
equivale a quello della struttura e sintassi quali sono nella parola
e nel discorso.
Il Graziosi giustamente insiste sull'unicità di carattere della
grotta di Porto Badisco, la sola che negli sviluppi sulle pareti della
decorazione artistica porti singolarmente vicino e sembri preludere
a quel momento - che identifichiamo nell'Egitto antico - nel quale il
linguaggio visivo già formato indipendentemente entra in relazione
col linguaggio parlato, e sorgono con le omografie costanti, ricorrenti
e codificate, la pictografia e l'ideografia: neppur esse tappe di un'evoluzione
presegnata e irreversibile, perché i due modi possono convivere,
ognuno con la propria ragion d'essere e per soddisfare a diversi bisogni
comunicativi per immagini.
Non si può escludere a mio giudizio - la serie di segni articolati
va molto al di là della suggestione - che a Porto Badisco si
possano identificare i prodromi della pictografia e dell'ideografia,
dalle identità figura-parola agli stenogrammi e simboli, che
invitano insinuanti a ricostituire sistemi di comunicazioni non solo
segnaletiche, come pur ve ne sono.
In questi incunaboli ancora radi ed erratici, che forse accresceranno
con la ricerca il loro numero e le loro possibilità comparative
e interpretative, non ètemerario vedere l'inizio della vicenda
umana in cui si mediano e si mutano il possesso del disegno e il possesso
della parola. Da quel momento, si può dire, si apre una nuova
fase della Storia, segnata dalla difficile e sempre precaria autonomia
e autosufficienza delle due facoltà interamente coscienti.
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