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Per Francesco Barbieri |
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Alessandro
Laporta
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Non è molto
che l'acuta penna di Nicola De Donno, accompagnata dalla sensibilità
e dal gusto di Lionello Mandorino, ha dedicato all'attività artistica
di Carlo Barbieri una precisa e preziosa nota (1) illustrandone in maniera
ormai quasi definitiva l'opera, cui aveva già precedentemente dedicato
un'attenta monografia Alessandro Parronchi in occasione della grande mostra
nel 1977 alla galleria Pananti di Firenze. (2) In questo saggio, rivelando un aspetto inedito dell'attività multiforme dell'illustre sancesariese, i due autori esaminano i bozzetti o le esecuzioni di alcune copertine di libri, dal Barbieri eseguite negli anni 1928-38 per l'amico suo ed ospite Francesco Negro. Che l'arte con l'"a" maiuscola e la tipografia (che è essa stessa un'arte) siano state coessenziali l'una all'altra sin dalla nascita - avvenuta in tempi molto più recenti - di quest'ultima è cosa nota (basti pensare alle raffinate xilografie che adornavano le prime opere a stampa, all'eleganza dei caratteri tipografici, etc.); e tuttavia una storia dei rapporti pressocché costanti nel corso dei secoli, delle influenze e dei condizionamenti reciprocamente esercitati, delle mescolanze maggiori o minori riscontrabili in prodotti affini, non è stata ancora tentata (ché affrontarla sarebbe arduo e dispendioso). A tale considerazione ci ha portati non solo la lettura del saggio citato, ma anche la occasionale e certamente fortunata scoperta che costituisce l'oggetto di questo nostro breve lavoro, che di questa storia ideale occuperebbe qualche pagina. Entrata a pieno merito fra le più genuine del nostro secolo, caratterizzata da un esordio (a meno di vent'anni) precoce e grintoso, l'arte di Francesco Barbieri (San Cesario di Lecce, 1908 - 1973), fratello maggiore del più noto Carlo, meritò l'attenzione di quella che era ed è una delle più prestigiose firme della nostra storia letteraria, Riccardo Bacchelli. Sempre coerente ad un inalterato rigore stilistico, in progressivo superamento ed affinamento di una tecnica già sapientemente impiegata fin dalle prime prove, egli fu scultore robusto e prolifico, come il saggio dei Bacchelli dimostra ed il nutrito elenco delle opere (pubblicato in calce) testimonia. E' tuttavia, vocazionalmente predisposto al disegno, nella sua opera è dato sempre di individuare le tracce di questa mai sopita primitiva esperienza. (3) Francesco Barbieri, disegnatore al pari del fratello suo Carlo, è infatti il protagonista (forse inatteso) degli appunti che seguono. E' già sintomatico che lo splendido volume del Bacchelli, tipograficamente perfetto, rechi in copertina un incisivo "Ritratto della moglie Caterina Lelj" datato 1940: disegno che, inaspettatamente ed in apparente contraddizione, fa da introduzione ad un saggio su Barbieri scultore. Ma nello stesso anno 1947 un'aerea immagine di angelo arricchisce la copertina di un altro libro assai raro, uscito dal torchio magico di quel grande tipografo che fu il milanese Giulio Preda: le Lettere a una giovinetta di Gianfranco Draghi (Milano, Officina Tipografica Gregoriana), che di Barbieri fu amico e confidente negli anni del cosiddetto periodo svizzero. Il testo, di ispirazione neoromantica, che a Francesco piacque subito, fu stampato in soli cinquanta esemplari numerati e potè impreziosirsi, in virtù di quella entusiastica adesione, di un suo raro disegno. Ancora undici anni dopo, una affollatissima e gioiosa rievocazione del Carnevale (ma il disegno è degli anni '43-'45) (4) è sulla copertina di quel delizioso (sia per la forma, sia per il contenuto) libricino dello stesso Draghi intitolato appunto CarnevaIe, messo a stampa per i tipi della "Libreria della Parrucca" (Milano, 1958). (Una replica, intitolata "Carnevale leccese 1920" datata 1955, fa parte della collezione dell'Amministrazione Provinciale di Lecce). Tre disegni di Francesco Barbieri dunque (uno scelto probabilmente per l'occasione delle nozze, ma non alieno - come abbiamo visto - da precisi riferimenti stilistici, gli altri due frutto del sodalizio e della collaborazione con Draghi) ad illustrare tre libri, contro le cinque copertine (precedenti, è bene ricordarlo) eseguite dal fratello Carlo per le raccolte poetiche di Francesco Negro. Un'esperienza pressocché parallela nell'attività dei due fratelli, meritevole di un ulteriore approfondimento, al di là della presa d'atto di questa singolare costanza di rapporto tra arte ed editoria. Sostanziale però la differenza fra loro, in quanto Carlo si mostra non estemporaneo come nei disegni, ma elaboratore e riflessivo (sono parole di Nicola De Donno), condizionato cioè dalla finalità del lavoro e dai confini del libro; Francesco invece rimane - sempre - disegnatore ed il libro si arricchisce della sua opera per pura affinità, senza mai condizionarla. Il risultato, d'altra parte, è molto più suggestivo, e mentre per Carlo siamo nell'ambito di una produzione minore, se pur importante, per Francesco non vi è alcuna soluzione di continuità, né flessione qualitativa, e questi suoi disegni - peraltro esemplari - restano a far corpo con gli altri. L'opera a stampa, finalmente, prodotto di una serie di sapienti interventi, dalla composizione all'impressione alla legatura, riceve l'ornamento ultimo con la preziosa illustrazione di un valente artista, proprio come avveniva nei primi tempi della sua storia (o ancor prima, nei manoscritti sapientemente decorati con finissime miniature) e come è sempre avvenuto per quello che tradizionalmente si definisce libro d'arte. Certo la notorietà di Francesco Barbieri (che toccò il culmine quando del 1955 eseguì il grande orologio bronzeo per la leccese piazza S. Oronzo, immortalato anche da una celebre copertina della Domenica del Corriere) (5) è legata alla sua opera di scultore: eppure di piace individuarne la potenzialità del suo lavoro di disegnatore; così come - per restare nel parallelo - di Carlo, del quale si è sottolineato l'impegno di disegnatore, ci piace additare l'attività pittorica, in perfetta concordanza con Nicola De Donno quando scrive (e dimostra) che il giudizio di chi privilegia in lui il disegnatore sul pittore, entra in crisi. Le due mostre di disegni tenute la prima a Lugano nel 1945, la seconda, esattamente dieci anni dopo al "Sedile" di Lecce (presentate rispettivamente da Riccardo Bacchelli e da Vittorio Bodini), dove fu esposta una produzione notevole (e quantitativamente e qualitativamente) meritevole - ed ancora in attesa - di essere criticamente rivisitata. Itinerario tuttavia mai interrotto (come confermano, per esempio, i sette disegni ospitati su La Fiera Letteraria del 12 giugno 1949, diretta allora da Vincenzo Cardarelli, ed i numerosi altri affidati ai difficilmente reperibili fogli di giornali e riviste) e costantemente caratterizzato da una osmosi con la letteratura in genere e con le opere a stampa in particolare (eccezionalmente incisivo, fra i suoi ritratti, quello a punta di penna di Vittorio Bodini, che accompagna le poesie de La luna dei Borboni, pubblicate a Milano nel 1952 per le "Edizioni della Meridiana") (6). Intuendo esemplarmente il punto focale di tutta l'arte dei Barbieri, Riccardo Bacchelli ha scritto: "Sopra tutto, direi, i disegni, ansiosi di levità o di finitezze o d'intenzioni sopraffini e talvolta quasi ineffabili, cercati sul limite o di là dall'accentuazione, portata all'estremo, d'un partito o d'una sensazione; intransigenti ed esigentissimi, sopra tutto i disegni dimostrano il modo personale con cui si avvera in lui il momento solitario dell'artista fanatizzato, per così dire, di sé medesimo. Il processo e il progresso di una volontà di equilibrio, di chiarezza, di semplicità formale, di virtù comunicativa, e insomma umana, capace di trascendere l'esasperazione e la solitudine in opere armoniose e convenienti e facili di quella facilità che risulta dalle difficoltà risolte; tal processo e tal progresso si scorgono acquisiti per gradi nei disegni". (7) Era nostro intendimento, con questa serie di appunti, promuovere ulteriori indagini su questo poco frequentato settore della produzione di Francesco Barbieri, e segnalare due sue autentiche rarità. Ci auguriamo di essere riusciti nell'intento, e di aver contribuito, a più di cinque anni dalla morte, a ravvivarne la memoria in quanti lo conobbero e lo amarono.
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