Quando,
alla fine dell'anno, si cerca di fare un consuntivo su quello ch'esso
ci ha dato di bene e di male, si usa scegliere un titolo qualificante:
il 1974 passerà alla storia come l'anno del cancro dell'inflazione:
un'inflazione galoppante.
Si potrebbe pensare - e qualcuno lo sostiene - che dallo sconvolgimento
provocato dall'inflazione derivi una migliore perequazione sia fra le
classi sociali, sia fra i settori di attività, sia fra regione
e regione; ma purtroppo ciò non avviene: l'inflazione è
malefica, distruttrice, sperequatrice. Le categorie più povere
e più deboli ne soffrono più di quelle ricche e più
robuste. Le regioni meno sviluppate sono più sacrificate di quelle
più progredite. Nella esposizione che faremo ne avremo varie
prove.
IL TERMOMETRO
DELLA FEBBRE: IL COSTO DELLA VITA.
Il pubblico può
misurare da se stesso, senza che di ciò si incarichino gli
economisti e gli statistici, l'effetto dell'inflazione, che si riflette
sul livello dei prezzi, quindi sul costo della vita, quindi sui sacrifici
e le rinunce che ognuno è costretto a sopportare. L'indice
del costo della vita per il mese di settembre 1974 segna un incremento
del 24,6 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.
Il potere d'acquisto della moneta, in termini di prezzi al minuto,
ha quindi perduto un quarto del suo valore. E' un taglio gravissimo
verificatosi nel giro di soli dodici mesi, più elevato di quello
subito negli anni di guerra; eppure una guerra non c'è stata,
ma per i prezzi sì.
I vari capitoli della spesa familiare presentano variazioni molto
differenti. Il capitolo più infausto, che presenta un aumento
del 62,2 per cento, è quello dell'elettricità e combustibili,
che risente della stangata del rincaro del petrolio all'origine. Per
contro il capitolo che ha risentito di meno l'effetto inflazionistico
è quello dell'abitazione, per il quale si è avuto in
dodici mesi un aumento di solo il 4,8 per cento.
INDICE DEL COSTO
DELLA VITA PER LE FAMIGLIE DI OPERAI E IMPIEGATI
fra settembre
1973 e settembre 1974
Alimentazione
+ 22,8 per cento
Abbigliamento + 19,5 per cento
Elettricità e combustibile + 62,2 per cento
Abitazione + 4,8 per cento
Beni e servizi vari + 30,0 per cento
indice generale + 24,6 per cento
Questi indici
non dicono tutto. Il termometro dell'indice del costo della vita è
insufficiente a misurare lo stato della malattia. Citiamo un esempio:
il costo dell'abitazione è aumentato del 4,8 per cento. Ciò
è vero secondo l'applicazione delle norme vigenti (blocco della
grande maggioranza degli affitti), ma in pratica sono intervenuti
e continuamente intervengono fra inquilino e proprietario di casa
degli "arrangiamenti bonari", che la statistica non registra.
Per molti generi alimentari, i prezzi sono stati fissati d'autorità,
ma con ciò è scomparsa spesse volte la merce, obbligando
l'acquirente ad "arrangiarsi" con il mercato nero o con
il ricorso a prodotti succedanei a prezzi liberi.
Purtroppo non si può sperare un andamento del costo della vita
più favorevole per i prossimi mesi, per il fatto che l'indice
dei prezzi all'ingrosso è aumentato molto di più di
quello dei prezzi al minuto, quindi i prezzi all'ingrosso non hanno
ancora esaurita la loro ripercussione su quelli al consumo. Infatti
l'indice generale dei prezzi all'ingrosso è aumentato da settembre
1973 a settembre 1974 del 43,3 per cento.
L'AUMENTO DELL'INDICE
SINDACALE (CONTINGENZA)
In tema di prezzi
è ancora da ricordare l'indice sindacale, calcolato per il
pagamento della contingenza: per il trimestre che va dal novembre
1974 al gennaio 1975 si è avuto un ulteriore incremento di
15 punti: un record. Con questo nuovo scatto il totale dei punti per
il 1974 sale a 41, contro 23 punti nel 1973, 12 nel 1972, 9 nel 1971,
8 nel 1970, 6 nel 1969, 2 nel 1968. Come si vede, vi è stato
un crescendo rapido, vertiginoso.
L'aumento dell'indice della scala mobile si ripercuote sul costo del
lavoro. Se poi, come chiedono i sindacati, si dovesse portare l'indennità
per ogni punto di contingenza al livello massimo (mentre attualmente
essa è graduata secondo le categorie), si determinerebbe per
il 1975, secondo un calcolo del presidente dell'Istituto Centrale
di Statistica, prof. De Meo, una maggiore spesa complessiva di 5.760
miliardi di lire per il settore privato (escluso il credito) e di
1.160 miliardi per il settore pubblico, vale a dire un totale di 6.920
miliardi di lire, con un aumento di 3.645 miliardi rispetto all'attuale
costo di 3.275 miliardi.
Si chiede dai sindacati anche il recupero della retrodatazione dal
1969 dell'elevamento del " punto " al livello più
alto. Con ciò, sempre secondo i calcoli del prof. De Meo, e
considerato che dal 1969 al 1974 sono scattati 96 punti, si determinerebbe
un maggiore costo per il settore privato (escluso il credito) di 7.400
miliardi (retribuzioni dirette e oneri sociali). Se poi la rivalutazione
fosse attuata al livello più elevato dei punti scattati a decorrere
dal 1969, il costo risulterebbe pari a circa 15.200 miliardi. Le conseguenze
che tale supposta immissione di moneta sul mercato provocherebbe,
sarebbero, come ha dichiarato il Governatore della Banca d'Italia,
catastrofiche.
RETRIBUZIONI REALI
IN SENSIBILE AUMENTO
Le retribuzioni
minime contrattuali sono aumentate fra il 1973 e il 1974 almeno nelle
stesse proporzioni o leggermente in più dell'incremento del
costo della vita.
L'ORO AD OLTRE
4.000 LIRE IL GRAMMO
Gli indici del
costo della vita misurano la perdita del potere d'acquisto della moneta
rispetto ai bilanci famigliari; ma la perdita del potere d'acquisto
della lira si può pure misurare rispetto ai cambi con l'estero.
In questo caso la svalutazione della lira viene calcolata, secondo
l'indice della Banca d'Italia, del 21 per cento dal 3 febbraio 1973,
quando la nostra moneta abbandonò il corso fisso del cambio.
Vale a dire il valore della nostra moneta ha perduto il 21 per cento
rispetto alle altre monete nell'ambito degli scambi internazionali.
Un altro aspetto della febbre inflazionistica, che ha colpito tutto
il mondo e l'Italia in modo più grave, è quello indicato
dal prezzo dell'oro, salito con ritmo sempre più rapido, sino
ad oltre 4.000 lire al grammo, contro 1.900 lire di un anno addietro.
DISAVANZO COMMERCIALE
PREVISTO IN 8.000 MILIARDI DI LIRE
Nel mese di settembre
1974 la bilancia commerciale ha presentato un saldo negativo di 598
miliardi, che aggiunto a quelli dei mesi precedenti, fa salire il
disavanzo del periodo gennaio-settembre a 5.646 miliardi di lire,
dei quali 3.761 miliardi sono imputabili ai prodotti petroliferi e
1.885 miliardi alle altre merci. Rispetto allo stesso periodo del
1973, il disavanzo si è più che raddoppiato; infatti
nei primi nove mesi del 1973 esso era ammontato a 2.298 miliardi,
dei quali 891 miliardi per i prodotti petroliferi e 1.407 miliardi
per le altre merci.
PEGGIORAMENTO
DEI PREZZI IMPORT-EXPORT
E' interessante
considerare il livello medio dei prezzi medi delle merci importate
e quello delle merci esportate. Mentre la media dei prezzi delle merci
che abbiamo acquistato all'estero è aumentata nei primi otto
mesi del 1974 rispetto allo stesso periodo del 1973 del 79,6 per cento,
quella delle merci che abbiamo venduto all'estero è aumentata
solo del 39,3 per cento. Il confronto di queste due cifre mostra chiaramente
il peggioramento della "ragione di scambio". Le quantità
delle nostre esportazioni sono aumentate nello stesso periodo dell'11,7
per cento, mentre le quantità importate sono diminuite dell'1,4
per cento. Si ha quindi la conferma del peggioramento dal punto di
vista finanziario, subìto dalla nostra economia nelle operazioni
di scambi con l'estero.
Tutti gli sforzi devono essere concentrati nel ridurre le nostre importazioni
e specialmente nell'aumentare le nostre esportazioni. Il disavanzo
così grave come quello risultato negli ultimi mesi, dopo il
rincaro (prezzo quadruplicato) del petrolio importato, implica per
l'Italia la necessità di ottenere larghi crediti all'estero
e di sacrificare parte delle proprie riserve. Con ciò si può
coprire (pagare) temporaneamente il disavanzo, ma i debiti bisogna
rimborsarli e le riserve non sono inesauribili. Pertanto non potremo
continuare a sopportare un disavanzo tanto ingente come quello che
abbiamo avuto. Ma l'incremento - indispensabile - delle nostre esportazioni
è molto difficile da ottenere. Anzitutto si deve fare i conti
con gli altri paesi. Tutti si trovano a dover incrementare le loro
esportazioni, quindi tutti si sforzano in questo senso. C'è
poi da osservare che i nostri prezzi in molti casi non sono competitivi
a causa degli alti costi unitari della nostra produzione, e che spesso
non siamo in grado di mantenere fede ai termini di consegna delle
merci da esportare per il sopravvenire di scioperi. E' questa una
causa che ci fa perdere dei mercati. Di tutto ciò si ha conferma
dai seguenti dati, che indicano la contrazione della nostra quota
di esportazione sul totale mondiale.
GRAVE DISAVANZO
VERSO LA CEE
Più di
un terzo del disavanzo della nostra bilancia commerciale riguarda
gli scambi con i paesi del Mercato Comune. Specialmente grave è
il disavanzo riguardante gli scambi con la Francia e ancora di più
con la Germania: il saldo fra importazioni ed esportazioni nei primi
otto mesi del 1974 è stato negativo per 709.277 milioni rispetto
alla Francia, di 779.614 milioni rispetto alla Repubblica federale
della Germania. Il saldo della nostra bilancia commerciale è
passivo anche verso il Belgio-Lussemburgo, l'Olanda e la Danimarca;
risulta attivo solo verso il Regno Unito e l'Irlanda. In complesso
nei primi otto mesi del 1974 il nostro saldo con i paesi della Comunità
allargata è stato negativo per 1.697.275 milioni, essendosi
più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 1973 (817.946
milioni di lire).
Con gli Stati Uniti l'Italia ha un saldo negativo di 377.493 milioni
di lire. Forti disavanzi si constatano verso i paesi arabi dai quali
importiamo prodotti petroliferi: con la Libia il nostro disavanzo
nei primi otto mesi del 1974 è salito a 825.318 milioni di
lire.
FORTE DISAVANZO
ANCHE DELLA BILANCIA VALUTARIA
Una parte del
disavanzo creato dall'interscambio delle merci viene coperta dalle
partite attive costituite specialmente dalle rimesse degli emigrati
e dalle spese dei turisti stranieri. Ma anche in questo campo la situazione
sta peggiorando. Le rimesse degli emigrati erano ammontate nei primi
otto mesi del 1973 a 380 miliardi di lire, e sono scese nello stesso
periodo del 1974 a 304 miliardi; gli incassi dei turisti stranieri
erano stati di 960 miliardi nel 1973 e si sono ridotti a 837 miliardi
nel 1974. Per contro sono aumentate le spese degli italiani recatisi
all'estero, da 543 miliardi a 637 miliardi. Pertanto il saldo positivo
riguardante il turismo, che era stato di 415 miliardi nel periodo
gennaio-agosto 1973 si è ridotto a meno della metà,
200 miliardi nel 1974. E' questo un peggioramento grave e preoccupante.
Il turismo ha sempre rappresentato per l'Italia una fonte cospicua
di riserve; era considerato una "esportazione sul posto"
di grande importanza; ora sta perdendo quota rapidamente. Le cause
sono varie: 1) irregolarità dei nostri servizi (specialmente
aerei, per scioperi, ecc.), 2) scarsa propaganda in confronto ad altri
paesi, 3) prezzi troppo elevati.
A documentazione di quest'ultimo aspetto valga il seguente prospetto
sui prezzi turistici in vari paesi, secondo i calcoli del The Financial
Times di Londra.
Posti i prezzi dell'Italia uguali a cento, si trovano molti paesi
a prezzi più bassi, fra i quali la Jugoslavia, la Svizzera,
l'Austria, l'Inghilterra, la Spagna, l'Olanda, il Canadà.
Anche le statistiche degli arrivi e delle giornate di presenza degli
stranieri negli esercizi alberghieri ed extralberghieri confermano
la diminuzione accusata dalle cifre della bilancia valutaria. Purtroppo
la statistica alberghiera disponibile a tutt'oggi concerne soltanto
il primo semestre, ma essa è tuttavia significativa. Da gennaio
a giugno gli arrivi di stranieri sono scesi da 5.265.000 nel 1973
a 4.824.000 nel 1974. Le giornate di presenza sono diminuite da 24.658.000
a 23.319.000.
La diminuzione dei turisti stranieri riguarda specialmente le provenienze
dal Regno Unito, dalla Germania, dalla Francia e dagli Stati Uniti.
Il Mezzogiorno, non ostante la magnificenza insuperabile delle sue
spiagge, la clemenza del clima e il senso di ospitalità della
sua gente, non assorbe che il 10,7 per cento di tutti i turisti stranieri
che vengono in Italia (il 4,9 per cento visitano la Campania, il 3,2
per cento la Sicilia e l'1,0 per cento la Sardegna). Sebbene i progressi
compiuti negli ultimi anni nelle attrezzature ricettive siano importanti,
ancora si devono fare notevoli miglioramenti sia nei trasporti, sia
negli alberghi, sia nelle attività ricreative.
ABBASTANZA BUONI
I RACCOLTI AGRICOLI
A conforto di
molti guai sofferti nel 1974, i raccolti agricoli sono stati abbastanza
buoni nel complesso, segnando incrementi talvolta rilevanti. Tuttavia
non sono mancate talune riduzioni.
LENTO DECLINO
DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE
Di mese in mese
gli incrementi della produzione industriale tendono a ridursi. Nei
primi nove mesi del 1974 l'aumento della produzione industriale è
stato dell'8,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 1973, ma
nel mese di settembre 1974 l'incremento, in confronto a dodici mesi
addietro, è stato solo dell'1,2 per cento.
Nel considerare l'incremento indicato più sopra per il periodo
gennaio-settembre (+8,5 per cento) si deve notare che il settore delle
industrie metalmeccaniche ha presentato un aumento del 5 per cento:
aumento sensibile, ma il cui valore va ridimensionato tenendo conto
che nel primo trimestre 1973 era in corso una gravissima agitazione
sindacale.
La produzione siderurgica, che rappresenta in certa misura un indicatore
anticipatore di numerosi altri settori industriali, è aumentata
notevolmente nei primi nove mesi del 1974: l'incremento è stato
del 20,7 per cento per la ghisa e del 17,6 per cento per l'acciaio.
Ma è da ricordare, come si è detto più sopra,
che nei primi mesi del 1973 il settore aveva notevolmente rallentato
il ritmo di produzione per lo sciopero, conclusosi soltanto in pricipio
di aprile.
CRISI DELL'EDILIZIA
Il settore della
casa non presenta alcun miglioramento. Le nuove costruzioni sono in
diminuzione e aggravano il divario fra il fabbisogno e la disponibilità
di alloggi. Il volume dell'attività edilizia espresso in metri
cubi è diminuito del 29,8 per cento nel 1972 rispetto al 1971
e del 19,8 per cento nel 1973 rispetto al 1972. Nei primi mesi del
1974 l'attività non si è ripresa, specialmente nel settore
delle abitazioni economiche. Il lavoro che ancora presenta qualche
interesse è quello per la seconda casa.
Di abitazioni popolari se ne fanno pochissime, non perchè manchino
i danari, ma per altre difficoltà specialmente d'ordine burocratico:
1) anzitutto la politica governativa è ispirata alla pura demagogia
(blocco degli affitti e persino imposizione di riduzione di taluni
canoni); 2) altissimo costo del danaro; 3) mancanza dei piani regolatori;
4) estenuanti difficoltà e lentezze burocratiche.
E' stato calcolato il fabbisogno di abitazioni al 1981. Il calcolo
prende le mosse dal fabbisogno complessivo per il periodo 1961-1981,
dal quale sono state sottratte le abitazioni costruite dal 1961 al
1972. Il fabbisogno per i venti anni 1961-1981 è stato calcolato
in 17.079.800 abitazioni: a tutto il 1972 ne sono state costruite
solo 3.673.900, pari al 21,5 per cento del fabbisogno dell'intero
periodo: la quota che ancora rimane da coprire prima del 1981 è
quindi costituita dal rimanente 78,5 per cento! Per le regioni del
Mezzogiorno la quota coperta dalle abitazioni costruite in confronto
al fabbisogno scende a valori molto più bassi di quelli della
media nazionale: tale quota si riduce al 9,8 per cento in Sicilia,
al 9,2 per cento in Campania, al 5 per cento in Basilicata e in Calabria.
Per realizzare il fabbisogno di abitazioni occorrenti per il 1981
sarebbe necessario un investimento di 123.000 miliardi di lire, calcolati
al valore del 1970, che si può stimare in circa 200.000 miliardi
di lire ai costi attuali: una cifra esorbitante.
CADUTA VERTICALE
DEI CORSI DEI TITOLI
Ogni giorno i
corsi dei titoli di stato, le obbligazioni e in parte anche le azioni
scendono, scendono; talvolta precipitano. Le brevi pause sembrano
soltanto momenti di sosta per rinvigorire la tendenza al ribasso.
La caduta èdiventata così rapida da farei ricordare
gli anni di guerra o di violente crisi economiche generali.
Ecco alcuni dati che danno la misura della catastrofe del risparmio
mobiliare, come si desumono dall'ultimo Supplemento al Bollettino
della Banca d'Italia.
Bastonate per tutti! In 14 anni (1958-1972) la media dei corsi dei
titoli di stato era scesa di otto punti e mezzo; nei 10 mesi, dicembre
1973 - settembre 1974, la caduta è stata di 27,3 punti. Poco
minore è stato il tracollo dei corsi delle obbligazioni. Per
i titoli azionari la dinamica è tutta diversa. Dal 1958 alla
fine del 1972 la media dei corsi era aumentata di 36 punti. Dal dicembre
1972 all'aprile 1974 i corsi sono continuati ad aumentare, da questa
data in poi è incominciata la discesa; al settembre 1974 il
livello era sceso al di sotto del dicembre 1972.
I rendimenti dei vari tipi di titoli sono, evidentemente, determinati
dai livelli dei corsi. I titoli di stato, caduti in valore da 91,5
(dicembre 1972) a 60,1 (settembre 1974), vengono a rendere il 10,26
per cento come interesse, contro l'interesse del 6,74 per cento nel
dicembre 1972. Il risparmiatore, se non vende i titoli, non si accorge
del collasso, ma ciò non significa che la perdita non esista
in tutta la sua gravità; provi a portare alla banca i suoi
titoli per realizzarli, e ne avrà la prova, anche in misura
superiore a quella che appare dagli indici qui riferiti. Si intende,
che chi oggi acquista titoli di stato viene a godere, dato il bassissimo
valore del titolo, un interesse notevole, di oltre il 10 per cento.
Lo stesso discorso fatto per i titoli di stato vale per le obbligazioni.
Per le azioni la cosa cambia: i corsi non sono precipitati, ma gli
interessi che rendono sono esigui. Chi non è stato bastonato
nei valori (azioni), lo è stato nel rendimento.
I nostri dati, assunti dalla Banca d'Italia, si fermano al settembre;
in ottobre e nella prima metà di novembre la situazione è
sensibilmente peggiorata. Non vi è dubbio che il risparmiatore
è stato il più seriamente colpito dall'inflazione: la
sua virtù (così si usava chiamare e onorare il risparmio)
è stata punita. Eppure questo "animale domestico"
continua nel suo "vizio", per tradizione, per abitudine
e per un fondo di previdenza, duro a morire. Possiamo dire, per fortuna!
LA STRETTA CREDITIZIA.
PIU' RISENTITA NEL MEZZOGIORNO.
Da un'accurata
indagine effettuata dalla Confederazione dell'industria sugli effetti
della politica delle autorità monetarie volta a contenere l'espansione
del credito al fine di limitare la tensione inflazionistica, è
risultato che un gran numero di imprese non hanno fatto alcuna richiesta
al sistema bancario di accrescere il proprio livello di indebitamento:
ciò va interpretato come un indirizzo molto cauto delle imprese
nell'espandere la loro attività e nell'indebitarsi ulteriormente
ai livelli elevatissimi raggiunti dal costo del danaro. Inoltre sono
aumentate da parte delle banche le domande di "rientro"
del credito in essere.
E' da notare che le banche sono state più "severe"
verso le aziende di minori dimensioni. Ciò non è da
collegare tanto alla stretta creditizia, quanto alla valutazione oggettiva
della situazione patrimoniale e finanziaria delle imprese: situazione
che è più debole per le aziende di minore entità.
Le ripercussioni di detto atteggiamento negativo delle banche si sono
fatte quindi sentire maggiormente nel Mezzogiorno, dove sono più
frequenti le imprese minori.
Dalla stessa indagine della Confederazione dell'industria risultano
pure alcuni dati interessanti sul livello dei tassi di interesse.
Il maggior numero di imprese che hanno partecipato all'indagine hanno
indicato un livello del costo del danaro bancario (apertura di credito,
anticipazioni con garanzie reali, ecc.) compreso fra il 17 e il 22
per cento. Anche per il costo del denaro si è riscontrata una
situazione più gravosa per le imprese localizzate nelle regioni
del Mezzogiorno.
800.000 DISOCCUPATI.
AUMENTO NEL MEZZOGIORNO
Il ministro del
lavoro ha dato notizia delle cifre più recenti riguardanti
il numero dei disoccupati, quale risulta dagli iscritti nelle liste
di collocamento. In ottobre gli iscritti in tali liste superavano
il milione di unità. Ma lo stesso ministro riconosce che fra
gli iscritti nelle liste di collocamento figurano, oltre ai veri disoccupati,
anche molte persone che si iscrivono per usufruire di una serie di
benefici assistenziali; pertanto la cifra dei disoccupati (lavoratori
che hanno perduto l'occupazione e giovani in cerca di prima occupazione)
è stimata in circa 800.000 unità.
Un'altra fonte statistica - più credibile - sul fenomeno della
disoccupazione è quella dell'indagine trimestrale sulle forze
di lavoro eseguita dall'Istituto Centrale di Statistica. Secondo tale
fonte si avevano nel luglio scorso 551.000 disoccupati, ai quali si
potrebbero aggiungere metà dei 234.000 sottoccupati (con meno
di 32 ore lavorative la settimana). Si perverrebbe dunque a 668.000
disoccupati.
Se confrontiamo i risultati dell'ultima indagine ISTAT (luglio 1974)
con quelli di un anno addietro ci troviamo di fronte a un grave peggioramento
del Mezzogiorno; lo constatiamo quando ricorriamo a un indice più
sicuro e significativo, quello dei soli maschi, anzichè quello
complessivo dei maschi e femmine. Per l'Italia si riscontra una diminuzione
del numero di disoccupati del 6,1 per cento; nelle regioni del Centro-Nord
si trova una riduzione del 16,3 per cento; infine nel Sud si riscontra
un aumento di disoccupati del 2,6 per cento. Queste cifre riassumono
il dramma delle regioni più sfavorite e il deterioramento di
una condizione già tanto afflitta.
Una ulteriore indicazione che mette in luce la grave situazione del
Mezzogiorno è fornita dal rapporto fra popolazione e disoccupati.
Sul totale della popolazione maschile i disoccupati al luglio 1974
erano il 12,7 per mille nella media italiana, l'8 per mille nelle
regioni del Centro-Nord e il 21,5 per mille nelle regioni del Mezzogiorno,
con la quota massima del 28,2 per mille in Calabria, che anche in
questa statistica conferma la sua posizione di cenerentola delle regioni
italiane.
La disoccupazione è in parte occultata dall'intervento della
Cassa Integrazione Guadagni, che negli ultimi mesi ha accolto un numero
crescente di lavoratori.
OLTRE UN MILIONE
DI DISOCCUPATI PREVISTO ALL'APRILE 1975
Sul fenomeno della
disoccupazione disponiamo di una statistica fornita dai Servizi dell'Esecutivo
Europeo di Bruxelles, secondo i quali il numero dei disoccupati a
tempo pieno nella Comunità Economica ammonterebbe in settembre-ottobre
1974 a 3.245.000 unità e salirebbe a 4.100.000 nell'aprile
1975 (una stima più ottimistica ridurrebbe detta cifra a 3.585.000).
L'Italia in questa statistica occupa, purtroppo, il primo posto con
oltre un milione di disoccupati.
Anche per il Regno
Unito, la Germania e la Francia si prevede un aumento della disoccupazione,
che interessa pure l'Italia, specialmente il Mezzogiorno, in considerazione
del forte numero dei nostri lavoratori emigrati in dette nazioni.
PROSPETTIVE 1975:
UN ALTRO ANNO DI PURGATORIO
La "Nota
preliminare al bilancio di previsione 1975" redatta dal Ministro
del Bilancio e della programmazione economica fornisce alcuni dati
di carattere generale e globale, dai quali si desume che il 1975 sarà
peggiore del 1974.
Il reddito prodotto dalla Nazione nel 1974, precedentemente previsto
in aumento del 6 per cento, crescerà del 4,5 per cento (in
termini reali, cioè a prezzi costanti). L'anno prossimo si
prevede che il reddito nazionale aumenterà solo dell'1,5 per
cento. La diminuzione è quindi notevole. Per i consumi privati
si prevede, contro un aumento del 3,5 per cento nel 1974, un incremento
nel 1975 di appena l'1,5 per cento; per i consumi pubblici (scuole,
sanità, trasporti, ecc.); l'incremento scenderà dal
2,0 per cento nel 1974 all'1,0 per cento nel 1975. Gli investimenti
sono i più compromessi: dall'aumento del 6 per cento nel 1974
si passerà ad una diminuzione del 6,5 per cento nel 1975. Se
si considera l'importanza che hanno gli investimenti sullo sviluppo
economico-produttivo, si deve concludere che il 1975 sarà un
anno veramente "magro". Purtroppo sarà il Mezzogiorno
a soffrire maggiormente della restrizione degli investimenti, giacchè
è il Mezzogiorno quello che ne ha più bisogno.
Nella "Nota di previsione" si calcola per il 1974 un aumento
dei prezzi al consumo del 20 per cento, e un aumento del 16 per cento
nel 1975. Purtroppo queste previsioni sono già superate in
peggio. Nel 1975 l'incremento del costo della vita non sarà
inferiore al 20-25 per cento. Ciò può prevedersi in
base ai seguenti elementi: 1) aumento dei prezzi all'ingrosso 1974
non ancora trasferito totalmente sui prezzi al minuto; 2) necessità
di aumento dei prezzi di vari servizi pubblici in grave disavanzo;
3) notevoli aumenti del costo del lavoro a seguito delle vertenze
in corso (contingenza e rinnovo contratti); 4) Aumento della pressione
fiscale.
Circa gli scambi con l'estero è previsto per il 1975 un aumento
delle importazioni dell'uno per cento e un aumento delle esportazioni
dell'8 per cento. Anche con tale aumento, il disavanzo della bilancia
commerciale sarà molto grave (previsto in 2.900 miliardi) e
richiederà nuovi sacrifici e ulteriori indebitamenti.
Anche le previsioni per altri paesi, oltre che per l'Italia, segnano
un regresso per il 1975, come appare dai seguenti dati relativi al
prodotto lordo nazionale, resi noti dal "Mondo Economico".
Purtroppo, il
1975 non sarà migliore, ma - lo temiamo seriamente - sarà
peggiore del 1974. Il 1974 è stato un anno di purgatorio: il
1975 non sarà un inferno, ma sarà pur sempre un purgatorio.
In parte, ad evitare il peggio, non tocca solo al Governo e alla politica
governativa, ma a tutti noi, lavorando senza troppo scoraggiarci.
Se ci perdiamo d'animo, sarà ancora peggio.